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- Pubblicato Sabato, 28 Aprile 2012
OSPEDALE: IERI, OGGI E..DOMANI?
Una lunga storia raccontata dai protagonisti
Prof.Enzo Fanini
Quando il sano campanilismo paga:
"Da bicocca malfamata a nosocomio d'eccellenza"
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- Pubblicato Domenica, 29 Aprile 2012
dott.Andrea Loffredo sul filo della memoria
Emergenze e vite salvate
La sera quando vai a letto, prima che arrivi il sonno, ti passano davanti tutti i fatti più salienti della giornata e poi piano piano si aprono i famosi cassettini della memoria ed affiorano i vecchi ricordi di episodi che ti sono accaduti in passato; molti della tua vita privata e molti della tua vita lavorativa. (quarant’anni)
Come ogni racconto che si rispetti ci sono fatti che fanno sorridere e fatti molto seri.
Iniziamo da quello così detto “faceto”, e se vogliamo, di grande attualità.
Una mattina, se non ricordo male era il 1961, si presentò in reparto un signore di circa quarant’anni, veniva da Pescara, molto educato, gentile, quasi si vergognava di dare disturbo, con modi effeminati e con voce bassa chiese del Primario. A Napoli l’avrebbero subito etichettato “nu femminiello”.
Dopo una decina di minuti fui chiamato perchè era necessaria una leggera anestesia generale, mi spegò il chirurgo che il paziente aveva un corpo estraneo nel retto che andava asportato.
Addormentatolo, con un rettoscopio si dilatò l’ano e guardando all’interno, in fondo all’apparecchio, si vide un certo luccichio color oro. Dopo aver fatto un piccolo clisterino di vasellina con una pinza ad anello ( piccolo forcipe) si tentò di far presa su ciò che luccicava. Dopo vari tentativi fu agganciato e con estrema delicatezza, piani piano, venne estratto un bulbo con una lampadina oblunga di 60 watt.
La lampadina fu restituita al paziente dopo averla lavata, avendone ovviamente il diritto di proprietà.
Aveva probabilmente messo in pratica il detto: “Signore dacci i lumi” !!
No comment.
Alcuni ricordi sono indimenticabili, non sono mai stati cancellati ed uno di essi, in particolare, per la sua complessità e risoluzione è sempre presente nella mia memoria. Accadeva nel 1962.
Una mattina di Domenica, come da nostra vecchia abitudine, dopo aver fatto la visita nel reparto, si ascoltava la messa nel corridoio del reparto; terminata la stessa, ci si recava nella cucinetta per prendere il caffè e preparare il lavoro operatorio della settimana successiva.
Giunse, trafelato, un infermiere. Ci riferì che nella medicheria del reparto (all’epoca non esisteva il pronto soccorso come entità autonoma) avevano portato un paziente che, mentre arava, si era rovesciato con il trattore e l’erpice lo aveva colpito in più parti del corpo. Poteva avere trent’anni, pallido e sudaticcio, presentava una ferita penetrante del torace destro, da cui, ad ogni atto respiratorio, usciva un getto di sangue che quasi arrivava al soffitto, ed una ferita penetrante dell’addome medio.
Fu portato in sala operatoria e non essendoci ancora un centro trasfusionale, fui costretto a trovare dei donatori occasionali, ma data l’urgenza ed eravamo pure di Domenica, la ricerca fallì. A quel punto mi si avvicinò il Prof. Fanini (il “Grande Capo” come lo chiamavo e lo chiamo ancora oggi), che é donatore universale. Gli prelevai 300 cc. di sangue e il Professore andò a lavarsi per l’intervento. Salassai anche una infermiera della sala operatoria (Antonietta S.) che si era volontariamente offerta. Dovendo operare sul polmone (primo intervento che si effettuava in Atri) ed oltre tutto in quelle condizioni, adoperai per intubare il paziente un tubo particolare a doppia via (Carlens ) che a seconda della necessità permette di escludere un polmone e dare all’operatore il vantaggio di non essere disturbato dall’atto respiratorio stesso.
Intanto il polmone si era collassato per il pneumatorace provocato dalle ferite (due del polmone) e si era ridotto anche il sanguinamento, sia per lo shock, sia per il pneumatorace compressivo.
Trovata la pedita, si era lesa, per sua fortuna, la vena polmonare e non l’arteria vicina, di un centimetro, nel qual caso non sarebbe giunto in Ospedale.
Pregai il Prof. di tamponare per alcuni minuti la vena e darmi la possibilità di infondere a tutta velocità il sangue prelevato.
Suturata la vena e le lesioni polmonari, riespanso il polmone, fatte le prove di tenuta, il torace fu drenato e chiuso.
Passammo all’addome, l’erpice aveva lacerato due anse intestinali, anche qui grande fortuna, non vi erano danni aglo organi interni, resecate le anse e lavato con antisettici, abbondantemente, il cavo addominale per evitare una peritonite stercoracea, per la cacca uscita dalle lesioni, drenaggi e chiusura.
Si erano fatte le 16,30.
Nel girare la testa del paziente, sul lato sinistro in zona temporo-parieto-frontale alta apparve una piccola ferita sporca di una sostanza bianca. Era sostanza cerebrale e la ferita penetrava per un centimetro. A quel tempo non esistevano: l’angiografia cerebrale,la T.A.C. o la recente P.E.T.. Ci guardammo ed in coro esclamammo: “fatica sprecata”. Furono messi due punti e svegliato il paziente fu portato a letto in una cameretta. Il giorno dopo, passando in visita, lo trovammo tranquillo e sereno seduto sul letto, visitato non aveva alcun deficit nè motorio nè sensitivo. L’erpice aveva colpito in una zona cerebrale muta.
A questo punto è obbligatorio fare alcune osservazioni.
Trovare tutta l’equipe chirurgica di Domenica, il Primario che ti opera e ti dona il suo sangue (esperto anche in chirurgia polmonare), l’erpice che colpisce la vena e non l’arteria, le anse intestinali e non il fegato ol a milza, il cranio in zona muta cerebrale. Si può considerare il tutto o una fortuna sfacciata o, data l’età, il Padre Eterno aveva deciso di non emettere le dimissioni eterne e definitive. (Non esisteva il cartellino, il festivo e lo straordinario)
Dott. Andrea Loffredo
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- Pubblicato Domenica, 29 Aprile 2012
Scelte discutibili che penalizzano il cittadino. La prevenzione, sfida della medicina del futuro.
di Vincenzo Marcone
Il piano di rientro imposto alla regione Abruzzo dal governo centrale, con le conseguenti decisioni assunte dalla sub-commissario Baraldi e dal governatore Chiodi, hanno profondamente inciso sulla sanità Abruzzese. La mancata pubblicazione del nuovo piano sanitario regionale ,vanamente atteso ormai da molti mesi, la dice lunga sulle difficoltà incontrate nella sua stesura. La riorganizzazione della sanità ha previsto e prevederà per il futuro forti ridimensionamenti delle prestazioni in termini quantitativi e qualitativi. I famosi LEA ( livelli essenziali di assistenza ) se pur obbligatori sulla carta, di fatto non sempre vengono erogati con la dovuta tempestività e qualità.
La propagandata riqualificazione del sistema si e’ tradotta in una raffica di colpi di scure sulle strutture ospedaliere e sulle rispettive prestazioni erogate, al sol scopo di fare cassa. Certo non era ipotizzabile la conservazione dello “ status quo “ . Le dinamiche economiche, il progressivo invecchiamento della popolazione e le innovazioni in termini di pratiche mediche e di biotecnologie, hanno profondamente modificato i vecchi approcci diagnostici e terapeutici, soprattutto per ciò che attiene alle pratiche chirurgiche. Di qui una giusta e doverosa riqualificazione della sanità . Ci saremmo aspettati pertanto una svolta in termini di efficienza e di appropriatezza, che prevedesse l’elemento “UOMO” come punto centrale del sistema, sul quale calare le scelte in campo sanitario. Come al solito, quasi nulla di tutto ciò è accaduto. Le scelte ragionieristiche, le spinte politiche e il potere delle lobby e delle corporazioni, hanno di fatto ancora una volta impedito una giusta e qualificata riforma del settore . I modelli aziendali calati dall’alto, senza tener conto delle situazioni locali , hanno determinato un depauperamento delle professionalità e conseguente aumento della mobilità passiva. Allo stesso modo, le beghe di potere hanno mortificato le sacrosante aspettative dei nostri malati che ancora ( a parte sporadici casi) non possono contare su una sanità di eccellenza nella nostra regione.
Nella nostra provincia il nepotismo e l’arroganza della politica hanno ancora una volta mortificato i cittadini con scelte a dir poco discutibili. La meritocrazia rimane troppo spesso una semplice chimera ed il cittadino si trova sempre più spesso a confrontarsi con una sanità che vive solo sulla buona volontà e sulla professionalità di qualche o , forse per fortuna, tanti bravi operatori. Come allora , vale ancor oggi la massima di Publio Terenzio “L’ossequio partorisce amicizia , la verità odio“.
Ciò che dovrebbe essere la norma diventa troppo spesso una possibilità. L’utente è due volte vittima di tale andazzo. Dapprima come utente di servizio e secondariamente come contribuente che si è visto tassare maggiormente con le aliquote regionali e comunali, nonché con l’imposizione dei nuovi tickets che di fatto hanno trasformato le prestazioni erogate dalla ASL quasi antieconomiche, rispetto al mercato libero. Se a questo si aggiunge poi la pletora delle liste d’attesa, ecco allora che il SSN ha perso il suo primario ed unico scopo: la tutela della salute di tutti i cittadini.
Peraltro l’innegabile aumento dei costi della sanità e uno sfrenato liberismo, con evidente e drammatico ridimensionamento del welfare, ormai in voga in gran parte dei paesi industrializzati, sta producendo una grave riduzione degli standards qualitativi erogati. Inevitabilmente ciò porterà nel breve a cambiamenti epocali nel modo di fare salute. In queste dinamiche , tra le diverse innovazioni possibili, di particolare rilevanza per il cittadino appare il necessario ed auspicabile riordino della medicina del territorio. Quella parte della medicina che producendo ove possibile una deospedalizzazione del malato può consentire un risparmio di risorse. Tale riorganizzazione dovrà essere capace di intercettare le primarie esigenze dell’utente e sarà chiamata a garantire , da un lato una tempestiva diagnosi e cura delle patologie e dall’altra, corrette e appropriate procedure di prevenzione nei confronti di patologie croniche, di grande impatto sociale e sempre più immanenti in conseguenza dell’allungamento della vita.
L’auspicio è che la medicina del futuro possa essere prioritariamente rivolta alla prevenzione (prevenire è meglio che curare). In modo particolare dovranno essere costantemente monitorate e precocemente intercettate patologie croniche quali: Diabete , Ipertensione , BPCO , patologie cardiovascolari e particolare attenzione dovrà essere posta nella diagnosi precoce di tumori.
Su questi aspetti di carattere sanitario che non esclude risvolti sociali di tipo educativo e comportamentale si vinceranno le prossime battaglie sulla tutela della salute. A tal proposito vorrei ricordare le strade che si iniziano a percorrere in altre nazioni dove si comincia ad ipotizzare di scaricare sul singolo cittadino il costo sanitario legato a comportamenti impropri in termini di abitudini alimentari e stili di vita inadeguati .
E’ ovvio che in tale contesto, la medicina del territorio dovrà essere messa in condizione di operare nel migliore dei modi, mediante opportuni investimenti in termini di infrastrutture e di formazione specifica auspicando un maggiore interscambio in termini di esperienze e di collaborazione tra ospedale e territorio. Una prima risposta potrà forse venire dall’istituzione delle cosiddette UTAP o NCCP (UNITA’ TERRITORIALI DI ASSISTENZA PRIMARIA e NUCLEI DI CURE PRIMARIE) previste ormai dal lontano 2005, che dovrebbero in qualche misura trasformare il lavoro del singolo medico in operatori maggiormente strutturati, che lavoreranno in raccordo tra di loro, affiancati da figure professionali ed ausiliarie, in auspicabile stretto rapporto con medici specialisti ospedalieri, capaci di offrire prestazioni sempre più qualificate, appropriate e tempestive.
Dott Vincenzo Marcone
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- Pubblicato Domenica, 29 Aprile 2012
Con ottimismo: la nuova era dell’Ospedale di Atri
di Enrico Marini
Non tutti percepiscono che l'evoluzione della scienza medica associata alle scelte doverose di programmazione sanitaria territoriale puo' sembrare una mannaia che infierisce senza pieta' sulle aspettative e convinzioni di molti di noi.
In questi ultimi mesi nostro malgrado siamo stati nell'occhio del ciclone proprio perche' la regione abruzzo ha dovuto operare scelte coraggiose in tal campo in quanto commissariata come "regione canaglia" per i debiti della sanita'.
Questo ha portato a programmare un nuovo assetto dell'offerta sanitaria (pubblica e privata) con enormi economie sul bilancio regionale che di questi tempi piange come tutti i bilanci pubblici; e' proprio il caso di dire che e' finito il tempo delle vacche grasse, rappresentate nel sistema sanita' da ricoveri facili e impropri, da servizi inesistenti ma costosi, da personale mal impiegato e da sprechi in tutti i settori.
In questi mesi di scelte dolorose inoltre abbiamo assistito ad un imbarazzante teatrino sostenuto da molti amministratori locali con dichiarazioni, interviste, offese, denunce e quant'altro, quasi sempre con la convinzione di possedere la verita' in tasca e quindi con il risultato di dire un sacco di corbellerie.
La sanita' e' una cosa seria perche' sulla pelle non si gioca e soprattutto non si fa campagna elettorale.
In questo articolo posso brevemente testimoniare, da operatore sanitario dell'ospedale di atri, mosso da un grande amore per questo ospedale che mi porta a dare molto di piu' di quello che prevede il contratto di lavoro (come tanti altri colleghi), quello che e' accaduto negli ultimi mesi; se c'era il bisogno di ridimensionare qualche reparto o qualche servizio improduttivo l'abbiamo subito, ma molto allarmismo inutile e' stato fatto tanto che ancora oggi la gente si chiede se l'ospedale di atri chiude...
Vorrei ricordare che l'ospedale di atri era, e' e rimarra' un presidio ospedaliero che fa capo ad un ospedale capoluogo dotato di specialita' diverse; ricordo pero' che atri era valutato tra i migiori ospedali nazionali quando aveva pochi reparti ma che funzionavano bene, con primari autorevoli e dediti esclusivamente al potenziamento dellle proprie unita' operative. Come spesso si dice erano anche altri tempi......
Oggi possiamo sicuramente affermare che l'utente che entra all'ospedale di atri dal pronto soccorso o dal cup riceve un trattamento di livello e percepisco che il livello di soddisfazione e' elevato.
Nello specifico, in cardiologia e' possibile effettuare un elettrocardiogramma tutti i giorni senza prenotazione e le liste d'attesa di ecocardiogramma e test da sforzo, nonche' holter si sono notevolmente ridotte, questo anche grazie all'arrivo dell'universita', vera innovazione per il nostro ospedale.
L'arrivo dell'universita' va visto sicuramente con spirito positivo, non solo per la presenza di numerosi medici in formazione che hanno dato un forte impulso alla produttivita' del reparto, ma anche per la possibilita' di accrescimento culturale di tutti noi, e questo rappresenta sicuramente un potenziamento della struttura e non un ridimensionamento, come molti sostengono.
Rimangono sicuramente molti aspetti da migliorare ma continuo a sostenere che molto dipende anche da noi operatori, ancora troppo legati al "pubblico" impiego.
L'ospedale di atri offre professionalita' di alto livello che riusciranno a garantirgli un grande futuro, ne sono convinto.
Dott. Enrico Marini |
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- Pubblicato Domenica, 29 Aprile 2012
Luci ombre dopo anni di servizio: troppe carte e poca attenzione alla persona
di Marco Malvezzi
Dopo venticinque anni di attività professionale,volgendomi indietro,mi accorgo di come e quanto siano cambiati i metodi di lavoro e i rapporti con i pazienti.La crisi che attanaglia il nostro paese si è pesantemente ripercossa sul servizio sanitario facendo diminuire drasticamente gli investimenti e aumentando i tagli sulla spesa. Si insiste tantissimo sui soldi spesi per i farmaci ma questi incidono solo per un 10-15% sulla spesa sanitaria e i controlli in tal senso attraverso l’informatizzazione sono diventati continui.
Tutto questo si ripercuote sul rapporto medico-paziente. E’ difficile far capire al paziente che, dopo anni di spreco, quando erano “mutuabili” gli sciroppi per la tosse e le pomate per i dolori,si era esagerato e che oggi si scontano gli sperperi di quei giorni lontani. Questo rapporto non è più sereno come una volta, quando ci si rivolgeva al medico per un consiglio professionale e si teneva in debita considerazione ciò che si riceveva da lui. Oggi,anche per i mezzi di informazione, internet sopratutti, ci si reca dal medico già sapendo la diagnosi della propria patologia e la terapia da applicare. La frase ricorrente è ”mi sono messo a cercare su internet e ho letto quello che ho”dimenticando che anni di studio, professione, esperienza ne sanno più di pagine scritte aridamente, in modo necessariamente sommario, e per altro senza la certezza di chi abbia messo in rete determinate informazioni. Troppa burocrazia nel nostro lavoro: troppe carte che a volte non hanno nulla a che fare con la nostra professione e che tolgono tempo e attenzione a quello che dovrebbe essere l’unico obietttivo e cioè la
salute della gente. All’orizzonte si profilano ulteriori cambiamenti: un’unica struttura che accoglie medici di base,pediatri, guardia medica e specialisti aperta 24 ore su 24. Ben vengano queste novità se esse servono a risolvere le lunghe file di attesa per esami e visite necessarie al medico di medicina generale per effettuare una diagnosi in tempi brevi e non dopo mesi e mesi da una prescrizione. Nuove sfide ci aspettano, dunque. La classe medica è pronta ad affrontarle ma bisogna che tutti remino nella direzione giusta. Solo così, sfruttando le risorse stanziate, anche se ridotte e investendo sul territorio, si potrà continuare a fornire qualità e standard accettabili di salute.
Dott. Marco Malvezzi