PERSONAGGI ATRIANI

MASSIMO DI FEBBO, DALLA AZIENDA PATERNA ALL’AMORE PER IL FOLKLORE E LA BUONA CUCINA… 

Il primo presidente del coro folkloristico “Antonio Di Jorio” di Atri, Massimo Di Febbo, nacque nella città degli Acquaviva nel 1931 da Italo e Maria Mizii. Gli fu imposto, secondo la doverosa e affettuosa consuetudine, il nome del nonno paterno. Dopo di lui vennero altri cinque fratelli e una sorella.

Trascorse la fanciullezza nell’antico quarto S. Nicola, tra le chiese di S. Francesco e S. Chiara, nel vecchio complesso, dell’industria delle bevande avviata dal padre Italo, morto nel 1976. Nel marchio il nome è “Di Febo” con una sola “B”, mentre il cognome anagrafico vuole la doppia.

La gassosa, antenata della Sprite, divenne la bevanda per eccellenza dell’industria con la caratteristica bottiglia di vetro, per la quale fu creata una canzonetta, con la musica di Antonio Di Jorio e i versi di Giuseppino Mincione. All’epoca il latinista pescarese viveva ad Atri. Erano gli anni ’50 e ’60 e già si parlava di miracolo economico.

Negli anni ’70 Massimo aprì in Piazza Duomo il ristorante “Alla Campana d’Oro”, il cui nome fu suggerito dalla leggenda della campana che veniva suonata per ogni ingiustizia, al tempo del leggendario re Giovanni d’Acri, che divenne subito d’Atri. Ma senza immergerci nella letteratura del Novellino, la campana ricorda i sacri bronzi delle tante chiese di Atri, a partire da quelle della Cattedrale.

La taverna era la vecchia osteria della nonna, Carmela Di Ridolfi, una delle tante cantine del centro storico dove durante la Settimana Santa si recavano gli uomini a giocare a carte e a bere il vino, mentre le donne andavano nelle chiese, tutte officiate, per le celebrazioni. Alla taverna la Signora Carmela abbinava anche il commercio di ceramiche castellane, a ricordo degli antichi rapporti che ebbe Atri con il capoluogo abruzzese della maiolica.

Insegna del ristorante fu una campana fusa in Agnone, come quelle della Cattedrale. All’interno una composizione con il cavallo che afferra la campana per segnalare l’ingiustizia del padrone che non voleva più dargli la biada, opera di Giorgio Sporys, artista polacco, morto nel 1983.

Il ristorante, a base di carne, proponeva tutti i piatti della cucina atriana e un appuntamento annuale era l’assaggio e la degustazione delle virtù, il primo maggio. Tradizione teramana adottata da Atri, dove diverse massaie preparavano l’atteso piatto donato a parenti e amici. Un piatto davvero speciale che molti amanti delle tradizioni popolari rinunciavano a visitare S. Giovanni Lipioni per un’analoga festa o Cocullo, per i preparativi dei serpari, a favore delle amate virtù che gli atriani chiamano “li virtè”, quasi per timbrare di atrianità un piatto non propriamente del paese.

Una sera arrivarono due professionisti alla taverna di Massimo. Erano amanti delle tradizioni abruzzesi e si erano fermati ad Atri. Dopo aver cenato, uno dei due si accorse che si era dimenticato di richiedere le salsicce atriane. Chiamarono Massimo il quale prontamente fece arrivare la ghiotta specialità sul tavolo, ma siccome le salsicce non potevano stare da sole, i due amici ripresero il primo. Praticamente quella sera mangiarono due volte! Fecero molta fatica ad alzarsi poco prima della mezzanotte, ma poi un amico li riaccompagnò a casa. Uno di loro era molto sportivo, pertanto potette subito smaltire la cena luculliana, rinomata per i maccheroni alla chitarra, le scrippelle, il timballo, il cif-ciaf e tante altre cose buone.

L’esercizio passò successivamente a Carmela Cantarini Faiazza e fu continuata la tradizione dei tipici piatti atriani. Rimase sempre la taverna per antonomasia di Atri, e chi non ne ricordava il nome diceva “il ristorante con gli archi”, per dirla con la felice locuzione del Prof. Giovanni De Sanctis, docente di Geografia all’Università di Perugia e a quella di Verona.

Con la gestione di Altomare Giorgio, pugliese trapiantata a Torino, alla cucina tradizionale fu abbinata la pizzeria con forno a legna. E siamo già negli anni ’80, con le varie feste di carnevale, nei pomeriggi precedenti il martedì grasso con i bambini che cominciavano a mascherarsi da punk e dark, come icone di un’ingenua trasgressione.

Massimo fu il fondatore e il primo presidente del coro folkloristico di Atri. Invitò Antonio Di Jorio che faceva i pasti nella sua taverna. L’idea nacque proprio alla “Campana d’Oro”. Era il 1974 e Atri già vantava una tradizione di cori folkloristici, il primo nell’immediato secondo dopoguerra con le direzioni dei maestri Pasqualino Santini e Gino De Petris. Ma il coro “Di Jorio”, dotato di ottime voci maschili e di consistenti voci femminili, era tutta un’altra cosa, invidiato dal m° Ennio Vetuschi di Teramo che avrebbe voluto la vecchia guardia virile per Teramo, in modo da realizzare una compagine davvero con i fiocchi.

Il coro debuttò la sera del 15 febbraio 1975, al Teatro Comunale. Massimo fu presidente per poco tempo, ma il suo nome rimane scritto a lettere cubitali nella storia del coro folkloristico che tuttora porta il nome di Atri in tutto il mondo.

Morì nel 1997 ed è tumulato nel cimitero di Atri. Il suo nome è stato ricordato anche nella festa della birra a Sambuceto dove dal 2001 si è trasferita l’industria “Di Febo”. Una festa all’insegna dell’amicizia e della gioia salutare e serena dello stare insieme.

SANTINO VERNA