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- Pubblicato Mercoledì, 29 Gennaio 2014
- Scritto da Santino Verna
SANT’ANTONIO ABATE NELLA POESIA DI ANTONINO ANELLO
Il poeta dialettale Antonino Anello nella carrellata delle tradizioni popolari atriane, si è imbattuto più volte nel S. Antonio Abate, la cui festa, dopo il tempo natalizio, riapre in Abruzzo una triade calendariale con S. Sebastiano e S. Biagio. Il fondatore del monachismo, vissuto tra il III e il IV sec. in Egitto, forma, sempre per quanto riguarda l’Abruzzo, un’altra triade, con S. Zopito e S. Domenico Abate, i Santi più indagati dai demologi per le feste popolari. S. Antonio è il comune demoninatore delle farchie di Fara Filiorum Petri, quest’anno con la presenza dell’Arcivescovo Bruno Forte, della benedizione delle sagne a Scanno, de “lu sbannimente” a S. Valentino in Abruzzo Citeriore e dei “cicerocchi” di Collelongo.
Anello che festeggia sobriamente l’onomastico anche il 17 gennaio, si è soffermato soltanto sulla rappresentazione musicata del S. Antonio, la manifestazione più vistosa. Le altre due tradizioni sono la fiera boaria, un tempo all’ombra della chiesa di S. Giovanni e la benedizione degli animali, una volta in Piazza Duomo, sagrato della Cattedrale al cui piviere apparteneva la diruta chiesa di S. Antonio Abate nell’omonimo rione e in tempi recenti in Piazza Mambelli, sagrato della chiesa di S. Gabriele dell’Addolorata, parrocchia che incontrò nelle prime fasi della costruzione la flebile proposta dell’intitolazione al Santo degli animali.
Nella poesia “Lu sugne” il poeta atriano fa un veloce riferimento alla rappresentazione. Il sottofondo è la riduzione allo stato laicale dei sacerdoti e nella Cattedrale di S. Maria c’è una celebrazione esequiale che ben presto si trasforma nella visita di un porporato. Dalla sacrestia esce Umberto Sacripante, protagonista dei santantoniari di Atri, avendo impersonato per più di mezzo secolo l’Abate egiziano, e un anonimo si esprime “ci mancava Sant’Antonie!”.
In maniera più ampia il S. Antonio ricorre ne “Na jurnate de meravije”, ambientata a Pettorano sul Gizio, presso il convento, soppresso nello stesso capitolo che decretò la chiusura della comunità di Atri, in occasione della festa patronale dei SS. Benigno e Margherita. Tonino è presente con la schola, e ricompare Umberto preparato per rappresentare il S. Antonio. Chi deve impersonare il diavolo è assente e manca pure il costume da demonio, ed ecco Arturo Modestini che con basco e mantello e la poderosa voce tenorile fa la parte, per la verità marginale rispetto a S. Antonio protagonista indiscusso, del tentatore.
Tonino ha pure scritto un S. Antonio con la musica di Stefano Bizzarri, uno dei migliori fisarmonicisti d’Italia morto proprio con l’amato strumento tra le braccia a Castilenti. La rappresentazione fu inserita nel repertorio del coro folkloristico di Atri, di cui Anello è stato autorevole componente dal 1975 al 1987, nel periodo d’oro, se si pensa alle numerose esibizioni all’estero. Il poeta atriano voleva la sostituzione del diavolo con una donna che in questo caso non si sarebbe vestita da demonio, perché simbolo della tentazione.
Nel 2002 Tonino tornò a parlare del S. Antonio con la poesia “Hatre Nostre” che prende spunto da una canzonetta, dettata dall’affetto delle radici, musicata dal m° Glauco Marcone con il quale ha vissuto due fecondi periodi artistici: dal 1975 al 1978 con il coro “A. DI Jorio” e dal 1987 al 1999 con l’Academia Baptistiana nella chiesa di S. Giovanni che presto tornò in S. Francesco riprendendo l’antica dicitura del Patriarca dell’Ordine Serafico, i cui figli rinverdirono in Atri la tradizione dei cori. La canzonetta fa riferimento alle campane di S. Maria e alla torre campanaria.
Quell’anno, il 17 gennaio, la compagnia di canto popolare “Il Passagallo” di Pineto eseguì il S. Antonio nei borghi storici del neonato comprensorio delle Terre del Cerrano: Atri, Montepagano, Mutignano e Silvi Paese. L’esperienza fu ripetuta l’anno successivo, ma non in Atri, dove aveva lasciato l’amaro in bocca. La menzione del poeta dialettale atriano, sempre attento al ciclo calendariale e biologico e ai fenomeni sociali in continuo cambiamento, riapre un dibattito demologico.
Nel 1983, negli studi radiofonici della RAI di Pescara, si confrontarono Alfonso Bizzarri, docente di storia e filosofia nei licei e musicista di spicco e Donato Di Francesco, cultore della civiltà contadina. Moderava Franco Farias, allora programmista nella sede abruzzese e più tardi Redattore nella medesima. Entrambi portavano avanti una concezione di folklore.
Riguardo al S. Antonio Abate esistono due tipi, uno “interpretato” e uno “presentato”. Tutti e due hanno per comune denominatore uno scritto giullaresco del 1485, il cui autore era dell’Italia Settentrionale. Era la storia di S. Antonio, non ovviamente l’agiografia ufficiale scritta da S. Atanasio, inserita nell’Ufficio delle Letture della Chiesa Universale.
Il S. Antonio “interpretato” prese il volo alla fine del XIX sec. con la forma del melodramma, eseguito nelle case aristocratiche o in quelle che gradivano particolarmente la rappresentazione. I padroni di casa invitavano amici e parenti ad assistere e tutto si concludeva con il “complimento”, compenso dell’esibizione dove le velleità virtuosistiche non mancavano, con l’accompagnamento della fisarmonica e di qualche strumento della musica classica. In tempi recenti ristoranti, circoli ricreativi e televisioni commerciali hanno adottato la tradizione e la conclusione è la lauta cena.
Il S. Antonio “presentato” conserva l’aspetto popolare, perché non ha la paternità di nessun autore, anche se è avvenuta la trascrizione o si sono verificate aggiunte da parte di anonimi poeti locali. Non vi sono pretese melodrammatiche e gli strumenti sono popolari: fisarmonica bitonale, tamburo a frizione, mandolino, piffero e arnesi da cucina che servono ad amplificare il rumore. Lo schema prevede prologo, racconto delle gesta del Santo in conflitto con il diavolo, richiesta di doni in natura, ringraziamento o anche maledizione scherzosa se il padrone non vuole offrire niente (soluzione che si ripete nel giro delle case con la zucca di S. Martino). Si chiedono doni perché il S. Antonio ha la funzione originaria di riequilibrare i rapporti tra ricchi e poveri. Il ricco nel nome di S. Antonio, invocato e lodato, deve dare quello che ha.
Nino Bindi nella presentazione del secondo libro di poesie di Antonino Anello parlava di “pandemonio delle disfunzioni” riguardo alle feste atriane perdute o modificate oppure tornate a vivere grazie a gruppi forestieri. E il nostro Tonino, interprete del diavolo in alcune rappresentazioni, è sempre ad osservare per poi raccontare, nella piacevole arte della poesia in vernacolo, per dirla con Emiliano Giancristofaro, uno dei più grandi studiosi del S. Antonio in Abruzzo, “le storie del silenzio: cronache di vita popolare atriana”.
SANTINO VERNA