CHIESE E DEVOZIONI POPOLARI AD ATRI.

LA CHIESA DI S. REPARATA: ATRI E FIRENZE UNITE NEL CULTO ALLA SANTA, DAL 1353 PATRONA DELLA NOSTRA CITTA’

Annessa alla Basilica Concattedrale è la chiesa di S. Reparata (1757), eretta su una chiesa precedente (1355), con il titolo della protettrice di Atri e della diocesi ora fusa con Teramo. Pertanto ora S. Reparata non è più patrona della diocesi di Atri e neppure di quella di Teramo, ma dell’unica circoscrizione ecclesiastica di Teramo- Atri, assieme a S. Berardo e S. Gabriele dell’Addolorata. Il Santo dei giovani è anche patrono “aeque principaliter” (perfetta uguaglianza) assieme a S. Reparata della città di Atri. Per questo motivo con la Santa vergine e martire di Cesarea, S. Gabriele condivide la soluzione del busto argenteo, entrambi custoditi nel museo capitolare, e il fercolo con il baldacchino del medesimo, con la differenza che per S. Reparata il rivestimento è rosso, riservato ai martiri, mentre per il Santo del Gran Sasso è bianco, colore dei confessori, dicitura preconciliare per designare i testimoni della fede morti senza versare il sangue.

Attualmente il busto di S. Gabriele dell’Addolorata non viene esposto in Cattedrale per la festa liturgica. Si espone soltanto S. Reparata, per il triduo e la solennità, rispettivamente venerdì, sabato e domenica IIa di Pasqua (“in albis”) e lunedì successivo. Una volta il simulacro della Santa compariva anche il 2 febbraio, ricordo di un terremoto che non fece danni grazie alla sua intercessione e l’8 ottobre, giorno assegnato dal Martirologio. Nella data ottobrina S. Reparata viene festeggiata a Firenze, nella Cattedrale di S. Maria del Fiore, con una celebrazione presieduta in questi ultimi tempi da Mons. Thymoty Verdon, responsabile dell’Ufficio della catechesi attraverso l’arte dell’arcidiocesi. A S. Reparata era dedicata la primitiva Cattedrale fiorentina. Oggi ne costituisce il sottempio.

Nel 1320 si cominciò a venerare in Atri S. Reparata, grazie anche ai mercanti fiorentini che venivano in Abruzzo a rifornirsi di lana e zafferano. Nel 1353 fu dichiarata patrona di Atri per volere del Vescovo domenicano Marco Ardinghelli, fiorentino. Nel 1605, Paolo V, su richiesta del Preposito Generale della Compagnia di Gesù, P. Claudio Acquaviva, atriano, donò ad Atri le reliquie della Santa custodite in un contenitore ed esposte assieme al busto argenteo con il plastico della città, realizzato da Valerio e Teodosio Ronci, atriani quanto il cognome.

La festa di S. Reparata era molto sentita nel XIX sec. e anche nel secolo successivo, anche se dal 1901 cominciò a gareggiare con quella di S. Rita, soprattutto in materia di bande musicali. Sotto il profilo liturgico la festa patronale ha il vantaggio di avere sempre il Vescovo ai Secondi Vespri, con il Capitolo e altri sacerdoti. Quando il Vescovo non può venire, ne viene invitato un altro. In tempi recenti qualche festa della Santa è stata abbinata alle Cresime, come nel 1987, nell’imminenza dell’apertura dell’anno mariano. La domenica in albis vide la presidenza dell’indimenticabile Padre Abele, il giorno seguente Mons. Antonio Valentini, Arcivescovo di Chieti- Vasto. C’è stato anche il coinvolgimento delle altre parrocchie cittadine per la festa patronale, e una specie di gemellaggio con Casoli, in provincia di Chieti.

La facciata ha il portale sormontato dal bassorilievo della Santa (XIV sec.) proveniente da Porta Ancellaria, demolita alla fine del XIX sec. dal Sindaco Antonio Finocchi per consentire la viabilità delle carrozze. La porta era così chiamata perché si apriva sull’omonima contrada con la fontana archeologica più vicina al centro storico, ma poco potabile perché piena di calcio. La porta è detta anche Macelli, per il mattatoio pubblico nelle vicinanze. Denomina convenzionalmente un rione. La chiesa è opera di G.B. Gianni, milanese, allievo del Vanvitelli.

L’interno, a croce greca, illuminato dalle finestre di facciata, transetto e tiburio, ha inserti barocchi, ma è sostanzialmente neoclassico. Sulla controfacciata erano presenti la cantoria e l’organo. Vi è stato collocato il baldacchino ligneo (1677) di Carlo Riccioni, emulo del Bernini, atriano di adozione, ma originario di Fano Adriano, dove la transumanza gli aveva consentito i rapporti con la capitale. I Vescovi di Penne e Atri di allora lo incoraggiarono, perché erano tutti provenienti dallo Stato Pontificio. In quel periodo un fuochista di Atri si esibì a Ripatransone e nacque la tradizione del “cavallo di fuoco”.  Il baldacchino era destinato alla Cattedrale, ma non si sposava bene con le linee romanico-gotiche e copriva il ciclo pittorico di Andrea Delitio. Recentemente è sorta la discussione circa una migliore collocazione del cimelio. Qualcuno vorrebbe portarlo in S. Francesco, avendo l’interno barocco. Oppure in un luogo adatto, decontestualizzato, osservato come oggetto da museo. In entrambi casi dovrebbe trasferirsi dal suo “habitat”. S. Reparata è nata autonoma dalla Cattedrale, ma fa parte sempre del complesso monumentale del Duomo con la Basilica, la sacrestia dei canonici, il Museo, la Biblioteca Capitolare, il chiostro, il sottempio (vulgo S. Maria Vecchia) e l’aula Innocenzo IV.

Nel transetto sinistro, l’altare dell’Immacolata, cuore dell’omomima Confraternita, la cui estinzione è stata riconosciuta nel 2005. Il simulacro fu incoronato nel 1867. Dirimpetto è l’altare dell’Addolorata, già di S. Michele, la cui tela è la copia di Guido Reni nella chiesa dell’Immacolata in Via Veneto a Roma, dove dimorò per lunghi anni P. Mariano da Torino.

Nel prolungamento absidale, dov’era l’altare preconciliare, purtroppo demolito, la statua di S. Reparata e i medaglioni di S. Gennaro, patrono della capitale del Regno di cui faceva parte Atri e S. Emidio, protettore contro il terremoto, secondo la tradizione evangelizzatore del Piceno. Nel catino l’affresco settecentesco con l’Assunta e la Santa protettrice, con gli antichi colori di Atri, rosso e blu. Il blu fu cambiato in verde in omaggio all’unità d’Italia e ai sostenitori atriani a partire da Michelangelo Forcella, protagonista dei moti antiborbonici.

Nel XVI sec. fu costruito l’Arco di Monsignore per permettere il passaggio del Vescovo dall’Episcopio alla Cattedrale. Distrutto nel 1935, per migliorare la viabilità, con il placet del Vescovo Carlo Pensa, l’Arco era una barriera contro i venti e rafforzava la statica tra i due edifici. Ormai “Monsignore” lo usava più raramente, perché dal 1912 la residenza abituale era diventata Penne. I Vescovi successivi ebbero tutti un buon rapporto con Atri e Mons. Vincenzo D’Addario caldeggiava il desiderio di viverci in estate, seguendo l’esempio del suo maestro, Mons. Antonio Iannucci che da Pescara saliva a Penne. In questo caso però era lo “zuccherino” alla città vestina che nel 1949 aveva perso di fatto la diocesi. Atri la conservò fino al 1986, anche se il Vescovo stava quasi sempre a Teramo, capoluogo delle due circoscrizioni ecclesiastiche.

In S. Reparata si venerava la Madonna di Pompei, con un quadro protetto da un vetro e un ex-voto. Dal Vesuvio la devozione arrivò subito ad Atri, nella seconda metà del XIX sec. quando con Napoli c’erano diversi rapporti commerciali e culturali. Don Luigi Illuminati aveva conseguito la laurea in lettere a Napoli e aveva insegnato a Messina, dove la Madonna del Rosario di Pompei è particolarmente venerata, attraverso la preghiera e l’affidamento e la concretezza di oboli per la costruzione del tempio della fede (Basilica) e della carità (opere sociali per gli orfani e gli abbandonati).

Nel 2001 Mons. Giuseppe Di Filippo ha scritto la monografia sulla Santa, pubblicata a cura dell’associazione- culturale “Luigi Illuminati” di Atri.

SANTINO VERNA