LE FIGLIE DELLA CARITA’ AD ATRI

…QUELLE SUORE “CAPPELLONE” CHE HANNO ATTRAVERSATO LA NOSTRA STORIA

Per diversi decenni, nell’epoca contemporanea, le Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli hanno operato ad Atri, avendo anche due comunità: ospedale- civile (attuale casa di riposo) e Istituto Ricciconti, palazzo gentilizio dell’omonima famiglia atriana legato al lascito di Domenico alla provincia di Teramo per le orfanelle. Le Figlie della Carità erano chiamate anche “Cappellone”, per via del caratteristico ingombrante copricapo adottato per sottolineare il carisma delle religiose. Essendo quello il cappello delle contadine dei luoghi francesi dove avvenne la fondazione, le suore ne fecero uso.

 

Il copricapo fu lasciato nel 1964, per il cambiamento dei tempi, e fu adottato il comune velo. Le suore erano dette pure “Vincenziane”, dal nome del fondatore che ritardò di un secolo la Rivoluzione francese.

La scuola dell’infanzia che servivano era l’asilo di S. Chiara, sulla cui facciata è la frase del Vangelo: Sinite parvulos venire ad me. Mentre la scuola elementare privata era presso Palazzo Ricciconti, anche se per un periodo le aule furono ospitate nel vicino palazzo baronale Caccianini-Maturanzi, i cui proprietari avevano ottenuto nel XVII sec. il feudo di Frisa. Lo stabile fu acquistato dalla famiglia Ferretti.

Ogni classe era affidata ad una maestra, quasi sempre suora. La quarta e la quinta formavano un’unica compagine, perché c’era quella maschile e quella femminile, affidate a diligenti vincenziane ricordate per la bontà, ma anche con un pizzico di severità. Nelle ore pomeridiane gli scolari tornavano all’istituto per la recita del S. Rosario con le Litanie e per i più piccini era un divertimento fare a gara a chi pronunciava la “esse” di “ora pro nobis” prolungando la sibilante. C’era quindi attività doposcolastica e non mancavano momenti di riflessione e attenzione verso i più poveri e i più deboli di Atri e del circondario. Ai bambini venivano insegnati i fioretti. Alla fine del mese di maggio dovevano consegnare un santino bucherellato. Ad ogni buco corrispondeva un fioretto. Lodevole iniziativa perché le grandi camminate cominciano sempre dai primi passi.

All’ombra dell’istituto si sviluppò dopo l’ultima guerra mondiale, la sottosezione atriana dell’Unitalsi, presieduta dalla Signorina Antonietta Mattucci. Momento clou era il treno bianco di Loreto, in luglio, con partenza dalla stazione di Pineto e la presenza di tantissimi infermi, anche barellati. Per molti era forse l’unico momento dell’anno in cui si usciva di casa e sul vagone di ritorno già si pensava all’edizione dell’anno successivo. Le suore vincenziane vigilavano sempre con premura e amore. Poi venne l’epoca dei pellegrinaggi a Lourdes (regionale e nazionale), in treno e più tardi in aereo, a Fatima, in Terra Santa, e in mete meno conosciute come Banneux e Santiago di Compostela. Loreto rimase sempre un appuntamento importante per tanti unitalsiani, anche se in questi ultimi anni il rapporto con la Santa Casa si è un po’ affievolito.

Rimane in benedizione la memoria della Superiora, Madre Agnese Taralli, aquilana, benefattrice di Atri. Festeggiava ogni anno l’onomastico (all’epoca i compleanni erano poco sentiti), con un pranzo a favore dei poveri. Morta nel 1956, fu tumulata nella cappella delle clarisse di Atri, quasi a ricordare il nesso tra Marta e Maria. Recentemente le ex-collegiali hanno voluto ricordare la guida spirituale della loro vita, con una lapide a destra della cappella dove oltre alle claustrali di S. Chiara, riposano pure le cisterciensi del monastero di S. Pietro, purtroppo demolito.

Il servizio ospedaliero fu sostituito nel 1955 dalle Ancelle dell’Incarnazione. Pertanto le suore di S. Vincenzo appartenevano a due parrocchie diverse, la comunità di Capo d’Atri a S. Nicola, quella di Ricciconti a S. Maria nella Cattedrale. Per via di un ritocco dei confini, anche Ricciconti passò al piviere di S. Nicola, quindi le “Cappelloni”  erano un po’ le suore di S. Nicola, come le “Mandocchi”, le suore della Beata Eugenia Ravasco erano (e sono) le suore di S. Maria.

Le Figlie della Carità promossero la devozione alla Medaglia Miracolosa, la cui storia comincia a Rue du Bac, una via di Parigi nel 1830, quando la Madonna apparve ad una novizia, S. Caterina Labourè. Le medaglie ebbero una grande diffusione, soprattutto nell’ex- Regno di Napoli, perché aveva dato un grande aiuto contro il colera. Ad Atri la statua della Madonna della Medaglia Miracolosa fu portata nella chiesa di S. Nicola e custodita in sacrestia. Viene esposta a destra dell’altar maggiore nel mese di maggio e alla novena dell’Immacolata.

Una volta, al tempo delle Vincenziane, si faceva festa il 27 novembre, e venivano distribuite le medaglie. Un grande devoto della Medaglia era S. Massimiliano M. Kolbe, fondatore della Milizia dell’Immacolata. Verso il martire dei campi di sterminio ad Atri non c’è grande venerazione, forse perché la canonizzazione è arrivata quando i confratelli non c’erano più. E del resto, la beatificazione era avvenuta l’anno prima del capitolo che decretava la chiusura del convento di S. Francesco.

Le Figlie della Carità, ormai trasferite nel nuovo complesso della Fondazione Ricciconti, nel rione S. Antonio, andarono via da Atri nel 1973, ma il profumo della loro non lunga presenza rimane nello spirito vincenziano di tanti fratelli e sorelle che incontrano il Cristo nei poveri e negli esclusi.

SANTINO VERNA