LA SCOMPARSA DI UN GRANDE ABRUZZESE CHE HA FREQUENTATO ANCHE LA NOSTRA CITTA’

PAOLO ALLEVA, L’ARTISTA DEI LIQUORI

E’ morto pochi giorni dopo il compimento della cifra 87, il farmacista Paolo Alleva, realizzatore dello Sport- Caffè, del Punch e della Fata del Cavallone.

Nato a Fara San Martino dal dott. Ovidio, farmacista e chimico e da Emilia Grossi, aveva due sorelle, Lola e Nicoletta. Gli fu imposto il nome dell’Apostolo delle Genti perché quando la madre era incinta, un sacerdote amico nel corso di una cena aveva parlato delle epistole di S. Paolo. Da ragazzo il suo percorso scolastico s’imbattè nella città di Atri, con residenza presso casa Savini in Piazza duchi d’Acquaviva.  Conobbe diversi atriani e con gli amichetti giocava a pallone alla villa comunale.

Laureatosi in farmacia, dal papà ereditò la farmacia nel centro storico di Fara, in un periodo in cui lo speziale lavorava tutti i giorni dell’anno, paradossalmente con maggior dispendio di energie nelle grandi ricorrenze dell’anno, quando l’abbondante alimentazione creava qualche problema di stomaco.

Ma ereditò soprattutto la tradizione di tre liquori faresi: lo Sport-Caffè, volgarmente detto Caffè Sport, con l’etichetta dove è raffigurata la castigata tennista che sorseggia in un calice il liquore, il Punch, ottimo nei rigidi inverni faresi, non molto alta sul livello del mare, ma molto distante dalla costa, lodato da Don Cesare De Titta, grande amico di Fara e la Fata del Cavallone, omaggio alla grotta del parco nazionale della Maiella, ma anche a Gabriele D’Annunzio.

Don Paolo (così chiamato affettuosamente) realizzava soltanto il Caffè e il Punch, perché la Fata, a base di erbe della montagna, sarebbe stata possibile soltanto con prodotti sintetici. In ossequio alla tradizione paterna e di Bernarda, la fedele governante di Don Ovidio, non volle fare l’edizione aggiornata del liquore. Grazie alla moglie, dott.ssa Elena Di Guglielmo, peraltro nipote del Prof. Giulio Bucciante, docente all’Università di Padova, si mantenne la tradizione dei “biscotti di mamma Emilia”, delizie dolciarie meno famose dei liquori.

Grande appassionato di sport, diede vita ad una compagine calcistica farese, con la benedizione di Mons. Aldo De Innocentiis, Arciprete di S. Remigio e la collaborazione di tre amici, il Dott. Marino Rutolo, medico chirurgo di Villamagna trapiantato a Fara e i fratelli maestri Raffaele e Mario Ricciuti, di qualche anno più giovani di Don Paolo, rispettivamente iuventino e interista, innamorati della Maiella.

L’attività dei liquori di Don Ovidio contagiò il papà dei fratelli Ricciuti, Mastro Alberto, autore dell’amaro a base di erbe, usato come rimedio dopo un lauto pranzo per la festa di S. Antonio di Padova ad Atri. Ma non funzionò come digestivo. Il giorno dopo passò tutto.

Don Paolo con la sua bottega è diventato l’alter ego dei pastifici faresi. In tutto il mondo Fara S. Martino è conosciuta per la pasta, ma chi si accosta con meno superficialità alla storia della porta del parco nazionale della Maiella, scopre anche la bottega dello speziale, come ritrovo di tanti compaesani e come una sorta di oratorio laico. Basti pensare che una volta il farmacista, oltre a dare consigli di carattere legale per la difesa dei più poveri, vendeva materiale di cancelleria e candele.

Trasferitosi a Pescara, il dott. Alleva aprì una farmacia alla pineta, all’ombra della chiesa francescana di Stella Maris, in un’altra tessera del microcosmo dannunziano. Nello studiolo zeppo di bugiardini e di ricette, Don Paolo, piccolo e magro, con il camice bianco, ti riceveva offrendoti un caffè della macchinetta all’interno del locale, in luogo del Caffè Sport per chi era astemio. Le foto dei figli Fabio e Marcello e dei nipotini Cloè e Paolo jr. tappezzavano la non grande stanza assieme a quelle di Fara con lo scenario della porta di Terravecchia.

La moglie Elena aveva invece una farmacia a Montesilvano Marina, al “kilometro lanciato”. Fino a poco tempo prima di morire, Don Paolo, quasi quotidianamente da Città S. Angelo, dove aveva la residenza, andava in farmacia, dove non era raro incontrare qualche farese o clienti della provincia di Chieti che comunque avevano avuto a che fare con il paese alle falde della Maiella.

Un po’ come il salone del barbiere o la bottega del falegname. La farmacia di Don Paolo era “il consolato farese a Pescara”, questa volta senza le maglie della lentocrazia e con l’abbigliamento casual e dignitoso degli avventori in luogo dello smoking o di raffinati indumenti.

Ogni tanto il dottore si recava a Fara per incontrare gli amici più cari o lavorare nella casetta dei liquori. E con nostalgia guardava la sua casa che tra il XIX e il XX sec. era un piccolo cenacolo culturale che respirò la presenza di De Titta, Tinaro, Marcolongo e Illuminati con la partecipazione straordinaria di Modesto Della Porta, privo di studi umanistici, ma ricco di quel buon senso e di quella scintillante abruzzesità che da figli della Maiella abbiamo il dovere di recuperare e incrementare, nell’ambito della multiculturalità e dell’accoglienza verso i più deboli.

SANTINO VERNA