I MINORI OSSERVANTI E ATRI

IL RIONE “S. ANTONIO” E UNA CHIESA SCOMPARSA

Con la fondazione del primo convento abruzzese dell’Osservanza, nel 1415, aS. Giuliano (L’Aquila), questa corrente del francescanesimo entrava nella regione. Eredi degli spirituali, gli Osservanti, confluirono alla fine del XIX sec. nei Minori “simpliciter dicti”, ma per molti sono rimasti ancora con il nome di una volta. Altri rami erano gli Alcantarini e i Riformati.

Atri recepì presto la nuova corrente, perché due esponenti della riforma erano abruzzesi o di nascita o di adozione: S. Giovanni da Capestrano e S. Bernardino da Siena, tanto caro al Beato Giovanni XXIII che voleva dichiararlo dottore della Chiesa. Il terzo era S. Giacomo della Marca, originario della propaggine meridionale della attuale regione Marche ai confini con l’Abruzzo. Con S. Bernardino ebbe un grande legame, dato che il compilatore del processo di canonizzazione era Giovanni Ranellucci da Palena, Vescovo di Penne e Atri, poi traslato ad Orvieto.

Nella Cattedrale di Atri si conserva (navata destra) un affresco raffigurante S. Bernardino, la cui iconografia è ben definita: magro, calvo, volto scavato, capigliatura bianca, saio dell’Osservanza. Anche Andrea Delitio lo ha immortalato nel coro. Non vi ha messo S. Francesco, neppure S. Antonio, neanche S. Bonaventura (poteva essere l’omologo di S. Tommaso in una vela degli Evangelisti con i Dottori), solo un testimone della fede dell’Ordine Serafico di fresca canonizzazione.

Nel 1451 fu fondato il convento degli Osservanti in Atri, sul colle di mezzo, ma con l’arrivo dei Cappuccini, nel secolo successivo, la comunità si trasferì sull’altro colle, anticamente denominato Muralto. Fu detto di S. Antonio, perché il convento aveva per titolare il patriarca del monachismo, assai venerato in Atri e in Abruzzo, tanto che è stato definito il Santo più venerato della regione. Nel Medioevo molte calamità venivano attribuite al diavolo e siccome l’Abruzzo era una regione povera e continuamente minacciata, si affidò al Santo che lo aveva combattuto. Ecco allora i tanti riti innestati su quelli del solstizio invernale dalle sagne di Scanno alle farchie di Fara Filiorum Petri, dalla vendita all’asta di S. Valentino ai cicerocchi di Collelongo, per finire al pranzo di Villa S. Maria.

La chiesa di S. Antonio abate, di cui non rimane nulla, forse qualche piccolo rudere, custodiva il simulacro del Santo in trono, in legno scolpito, dorato e dipinto (XVI sec.) dove manca il maialino ai piedi, simbolo degli animali che tenevano compagnia ad Antonio durante la solitudine nel deserto. O forse dei maialini allevati dagli antoniti per il sostentamento delle comunità e l’accoglienza negli ospizi in vari luoghi d’Europa. In luogo dell’animale, una vampa di fuoco, ricordo di una leggenda che vuole S. Antonio portatore del medesimo nel mondo, come Prometeo. La statua è ora custodita nel museo capitolare.

Il portale cinquecentesco della chiesa fu installato nel XIX sec. nella chiesa di S. Spirito in Atri, custodita dagli Agostiniani Scalzi (ma già erano andati via quando il manufatto fu montato), quasi a ricordare il legame tra i Minori, sorta di “Francescani Scalzi” e l’Ordine Agostiniano che professava una maggiore austerità.

Gli Osservanti andarono via con le soppressioni ottocentesche, e nel XIX sec. ricordiamo Fra Gabriele da Atri, legato alla Custodia di Terra Santa. Stesso ruolo ebbe nel secolo successivo Fra Gabriele Diego Balducci (1932-2008), per tanti anni nel convento di S. Petrignano a Collecorvino, di Pineto, quindi dell’antica diocesi atriana. Fra Gabriele, almeno una volta l’anno, giungeva ad Atri come collettore di Terra Santa, e distribuiva medagliette e materiale conoscitivo, facendo visita alle case dei benefattori e incantando grandi e piccoli con i racconti, sapidi e concisi, sulla terra di Gesù. Non era conosciuto come frate minore, neppure come francescano o religioso osservante, ma era il “frate di Gerusalemme”. A qualcuno sembrò rivedere nel cuore quell’Antonio Ronci di Atri che nel XVI sec. aveva operato in Terra Santa.

La presenza dei Minori ad Atri era motivata da tridui e novene nelle varie chiese, frequenti prima del Concilio. Ricordiamo P. Ermenegildo D’Egidio, di Casoli di Atri, P. Igino Taglione e P. Beniamino Di Rocco, della provincia abruzzese. Il P. D’Egidio, predicò durante la festa di S. Rita nel 1946. Si era appena usciti dala guerra e gli atriani vollero una grande festa per la Santa degli impossibili. L’anno seguente il curato della Cattedrale e confessore delle clarisse, Don Saverio Pelusi, originario di Rosciano e già parroco di Alanno, entrò tra i Minori della Provincia Umbra, dove rimase fino alla morte nel 1957 all’età di 77 anni. Al nome di Battesimo premise quello di Francesco in modo che da professo aveva davanti a sé il Poverello d’Assisi e il patrono delle missioni.

I Minori hanno portato la devozione ai Santi propri del ramo: S. Pasquale Baylon, S. Leonardo da Porto Maurizio, S. Diego, S.  Salvatore de Horta, S. Teofilo da Corte etc. S. Pasquale, assai venerato a Villa Bozza, figura in una canzonetta abruzzese, composta da Nino Bindi, in cui si accenna al patronato delle donne, forse per l’assonanza con il cognome.

Nel 1969 i Minori si legarono ancora di più alla città dei calanchi, con l’adesione delle Clarisse di Atri alla Federazione abruzzese-marchigiana, aggregata ai Frati Minori. Pur non essendo presenti nella forania di Atri e con pochi conventi in Abruzzo, questi figli di S. Francesco sono presenti in vari momenti “biologici” delle clarisse (ingressi in monastero, professioni monastiche etc.) e “calendariali” e ricordiamo soltanto la solennità di S. Chiara, detta metonimicamente “Transito”.

I Minori, del resto, sono gli ufficiatori della Basilica di S. Chiara, accanto al Protomonastero, le cui monache hanno la vigilanza peculiare del Ministro Generale dell’Ordine e l’aggregazione, ovviamente, a questo ramo del Primo Ordine Francescano. Per questo motivo la veste delle Clarisse di Atri è color marrone.

SANTINO VERNA