UN PASSATO RICCO DI SPLENDORE E DI CREATIVITA’

 LE ANTICHE MONETE DI ATRI: UNA ESPLORAZIONE STORICA

DELLE NOSTRE RADICI

 

La locale sezione di Italia Nostra, sempre tesa al recupero ed alla valorizzazione del patrimonio municipalistico di civiltà, dedica il Calendario 2003 ai significativi esemplari della prestigiosa serie monetale, in bronzo fuso, di Hatria antica.

Si tratta di un filone importante delle patrie memorie a cui cospicua parte della moderna storiografia nazionale ed internazionale, dal XVIII al XX secolo, ha dedicato studi, approfondimenti e dibattiti.

Tra i primi ad occuparsene con acume e rigore furono due teste forti della filologia nell’età dei Lumi: Simmaco Alessio Mazzocchi (1684-1771) e Giovanni Battista Passeri (1694-1780) che, rispettivamente, nel Commentario alle Tavole d’Eraclea e nel Cronico Nummario, ritennero che le monete atriane fossero le più antiche dei popoli italici e, quindi, precedenti l’espansione di Roma sul versante Adriatico.

A sostegno della configurazione autoctona dei nummi atriani, essi addussero due argomentazioni basilari: a) la pesantezza della libbra locale (375 g. di media contro i 327 dell’asse romano; b) l’iniziale divisione decimale del sistema monetario atriano rispetto al duodecimale romano. Sulla scia di queste considerazioni si collocarono Delfico, Lenormant, Sambon, Haeberling, Sorricchio, Giesecke ed altri.

Di opposto parere furono il Mommsen ed i suoi epigoni (Thomsen, Head, ecc.), che reputarono le monete in questione un superbo retaggio dell’influenza culturale e politica romana ascrivibili, pertanto, ad epoca successiva al 289 a.C.: anno in cui Hatria venne dedotta a colonia latina. I predetti Autori arguirono tutto ciò dall’esame comparato di altre emissioni di aes grave dei Vestini e di Ariminum, risalenti ad analogo periodo (289-268 a.C.) ed aventi le stesse caratteristiche tecniche e figurative delle monete romane.

La querelle è tutt’ora aperta, ma non è questa la sede per insistervi. Ciò che ci preme è proporre una rivisitazione delle impronte monetali in chiave socio-antropologica. Le singole monete, infatti, non costituivano solamente un comodo mezzo di scambio a valore fisso, ma erano anche canali di comunicazione per trasmettere le peculiarità dell’aggregazione urbana. Nelle espressioni figurative venivano evocate e sintetizzate credenze mitiche, convenzioni sociali, strutture organizzative, tradizioni artistiche, attività economiche. Grazie ad esse si dava senso alla vita, si trasfiguravano le inquietudini e si caricava di speranze il futuro. I simboli delle monete, dunque, lungi dall’essere bizzarrie iconografiche, assumevano un significato ideologico poiché incarnavano le aspirazioni ed i rapporti vissuti dalla comunità con la realtà del tempo. Giustamente il Delfico, con sottile intuizione, guardò alle numismatiche memorie come a “veri documenti del primo italico incivilimento”: pagine di bronzo in cui leggere ed interpretare le concrete dimensioni dell’ascesa economica e culturale di Atri nell’età preromana.

Tale rilettura viene agevolata, oggi, dalle accurate riproduzioni, ottenute con tecnica digitale, che evidenziano a vividi colori particolari delle effigi appena percepibili nelle comuni immagini fotografiche.

Superfluo precisare che un calendario, per sua natura, non si presta a trattazioni esaustive e specialistiche di discipline complesse e insidiose come la Storia sulle origini delle civiltà locali. Tuttavia, potremo ritenerci appagati se le notizie essenziali, ivi contenute, sapranno stimolare l’interesse e la curiosità dei lettori per le radici storiche della nostra identità e per il patrimonio culturale tramandatoci dai nostri antenati.

Aristide Vecchioni

 

Le riproduzioni, digital imaging, sono di Mariano Bindi che, in copertina, ha voluto offrirci, come ulteriore contributo, una visione suggestiva ed originale dell’antica monetazione di Atri. Nell’accostamento surreale di simboli mitici a volumi geometrici, egli ha inteso sottolineare come fantasia e razionalità, poesia ed economia, credenze magiche e riflessione critica costituirono i coefficienti inscindibili della vita istituzionale nella civitas dei nostri lontani progenitori.

Ci congratuliamo con l’Autore e lo ringraziamo vivamente per la preziosa collaborazione prestata all’iniziativa di Italia Nostra.


   

ASSE

Diritto: testa senile barbata,con due “H” sdraiate ai lati e la lettera “L” in alto

Rovescio: cane accovacciato (o lupo dormiente) con sotto la dicitura “HAT” e, in alto, un tratto simile ad una “L” capovolta

 Sulle immagini iconografiche dell’asse sono state formulate fantasiose congetture. Alcuni vi scorgono Sileno, dio della letizia; altri il mitico Hatranus o Adrano , dio venerato dagli Illiri a cui era sacro il cane, custode del suo tempio (Pansa - Sorricchio). Il Delfico, dopo aver avanzato una terza ipotesi che identifica il vecchio con Nettuno (dio italico delle acque), esamina il simbolo sul piano antropologico. La benda, ornata di fiocchi e monili che cinge la testa del personaggio, esprime l’attributo esteriore del comando e del controllo politico dall’alto, mentre l’espressione ieratica suggerisce una visione paternalistica ed autocratica dello Stato.

Sul rovescio della moneta il predetto Autore scorge un lupo dormiente che starebbe ad indicare una società prospera, senza lotte intestine e contrassegnata da “sociale armonia agli ordini del ben vivere civile”.

La lettera arcaica “L” è l’iniziale della libbra: unità di peso e di moneta dei primi popoli siculo-italici e, poi, dei Romani.



   

SEMISSE (o QUINCUNCIA)

Diritto: testa femminile che esce da una conchiglia con sopra il segno “S” (semis) e sotto la scritta “HAT”

Rovescio: cavallo alato con cinque sferette onciali

 Il Sorricchio vede nella donna cocleata una Medusa marittima i cui “capelli duri attorcigliati potrebbero essere colubri”. II mito delle Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa che mutavano in pietra chi le guardava in volto) era diffuso nelle remote civiltà italiche e testimonia l’influenza culturale ed i contatti che si instauravano a seguito delle migrazioni dei Pelasgi e degli Etruschi lungo la penisola. Per lo studioso lituano Baltruśaitis, invece, tale motivo iconografico è una delle più antiche rappresentazioni di Afrodite che sorge dal mare: culla magica dei fenomeni vitali ed elemento primigenio della natura.

Su Pegaso, cavallo alato che nasce dal sangue di Medusa, non vi sono pareri discordi. Esso appare in altre antiche monete dei popoli rivieraschi greci e siculi e, pertanto, viene considerato uno dei simboli della cultura marittima e mercantile.

I cinque bolli onciali (indicanti i 5/10 dell’asse) confermano la primitiva divisione decimale del sistema monetario atriano.

 

   

TRIENTE (o QUARTUNCIA)

Diritto: profilo di giovane imberbe volto a sinistra e quattro sferette

Rovescio: vaso diota con pianta in germoglio e scritta “HAT”

 Alcuni numismatici dell’800 ravvisarono nell’efebica figura il dio Apollo: figlio di Zeus e Latona, signore della luce, ispiratore di profeti, poeti e cantori. Delfico esclude questa ipotesi rammentando che, nella iconologia italica e greca, Apollo appare con il capo cinto di alloro.

Luigi Sorricchio, con fervida immaginazione ed istinto deduttivo, avanza l’inedita tesi che l’efebo ed il germoglio del vaso potrebbero essere i simboli della primavera sacra (ver sacrum), cioè di quelle migrazioni rituali verso Sud a cui i giovani ricorrevano in cerca di climi più dolci e di terre più fertili.

Il vaso diota (tipica brocca con i manichi sporgenti al di sopra dell’orlo) era un prodotto dell’artigianato locale. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, elogia la solidità di tali manufatti provenienti da Hatria, mentre assegna la palma della finezza a quelli prodotti nell’isola greca di Coo (“...Cois ea maxima laus, Hatrianis firmitas”).

Le quattro sferette alludono alla terza divisione dell’asse corrispondente a quattro once.

 

   

QUADRANTE (o TERUNCIA)

Diritto: pesce razza (Raja) e tre sferette

Rovescio: delfino e scritta “HAT”

 La razza cartilaginea e l’agile delfino, che si trovano sulle due facce del quadrante, non possono essere considerate meri motivi zoomorfici astrattamente decorativi, ma simboli della cultura marittima.

è fuori dubbio che l’antica Hatria Picena vantasse un’intensa attività portuale sull’Adriatico, alla foce di un corso fluviale.

Ma di quale fiume si tratta? Plinio e Silio Italico ricordano Hadria humectata Vomano, mentre Strabone e Tolomeo parlano del fiume Matrino o Macrino non ancora identificato con sicurezza dagli studiosi e non chiaramente indicato nelle carte idrografiche.

In realtà molti ritengono che il predetto fiume sia il Vomano (Delfico, Palma, Sorricchio, Corcia, Vannucci), alcuni, invece, il Piomba (Nissen, Romanelli) ed altri il Saline (Mommsen).

Comunque sia, al di là della serrata ed irrisolta controversia, resta ferma l’importanza del fiorente emporio marittimo dell’antica Hatria e dei suoi flussi di scambio con le altre comunità che venivano a trovarsi lungo i grandi itinerari commerciali della costa.

Il delfino, simbolo di perizia marinara, appare anche in alcune monete di Ariminum, Luceria e Venusia.

Il quadrante corrisponde al valore di tre once.

 

   

SESTANTE (o BIUNCIA)

Diritto: gallo (o gallina) volto a sinistra

Rovescio: calzare con scritta “TAH” (retrograda di “HAT”)

 Gli elementi figurativi di questa moneta rappresentano i più eloquenti riferimenti alla prosperità economica ed al civile progresso della città. Molti esemplari mostrano un gallo con pronunciati bargigli, mentre altri ne sono privi; ragion per cui la figura monetale è stata spesso interpretata come gallina. In ogni caso, si allude sempre ad una produzione rurale di grande floridezza. Sulla fecondità dei pollai, del resto, avevano parlato Plinio (“Hatrianis maxima laus”) e, in particolare, il geografo Stefano Bizantino, il quale osservava che nell’agro atriano le galline davano due uova al giorno (“gallinae vero bis in die ... pariunt”). E non solo l’agricoltura raggiunse un notevole sviluppo, ma anche l’attività artigianale. Il calzare, secondo Delfico, sta a segnare “il deciso progresso della vita civile che indica in qualche modo l’uso di strade regolari”. Ed aggiunge: “il rappresentare, dunque, cotale arnese sulle monete come un pregio della patria, par che indichi assolutamente merito d’invenzione. Quest’ultima affermazione, francamente, sembra eccessiva. Tuttavia, gli Atriani dovettero raggiungere una tale maestria in questa produzione da giustificarne la sottolineatura nell’ambito della comunicazione numismatica.

Il calzare, vietato allo schiavo, era simbolo dell’uomo libero (Sorricchio). Il sestante, teoricamente, corrisponde al valore e peso di due once.


   

ONCIA (in alto)

Diritto: ancora con lettera “I”

Rovescio: sferetta con scritta “HAT”

 Come nel semisse e nel quadrante, anche in questo caso, appare un simbolo della tipologia marinara: l’ancora.

Secondo Delfico, tale raffigurazione confermerebbe il genio nautico del popolo atriano sia nella navigazione di piccolo cabotaggio costiero come in quella di lungo corso che affrontava il mare aperto.

Il tipo di ancora a due bracci, così stilizzato, si riscontra anche in altre monete di città associate alla civiltà etrusca (Tarquinia). L’oncia rappresenta la decima parte dell’asse.

 

 

   

SEMIONCIA (in basso)

Diritto: lettera “H” (iniziale di Hatria)

Rovescio: lettera “A” con a lato la lettera “S” (iniziali di Asculum)

 Essa solennizza l’alleanza tra le due maggiori città del Piceno: un vincolo di stirpe (foedus aequum) che, sull’esempio dei sistemi federativi apparsi ab antiquo, garantiva reciproco soccorso militare in guerra e relazioni commerciali in tempo di pace.

Per Mommsen, sia pure con qualche riserva, il piccolo bronzo costituirebbe una medaglia celebrativa mentre, per tutti gli altri (Garrucci, Sorricchio, ecc.) sarebbe il più piccolo esemplare del sistema monetario atriano, corrispondente ad 1/20 di asse