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- Pubblicato Venerdì, 16 Ottobre 2015
- Scritto da Alfio Carta
IL RE SOLE, DIO DI FRANCIA
Luigi XIV è ancora il despota e sovrano illuminato
All’inizio di maggio 2015 mi ero proposto la trattazione di temi storici su eventi che hanno contrassegnato il macrocosmo sociale dove accade di tutto e tutto è racchiuso in avvenimenti collegati comunque alla nostra esistenza.
La storia è maestra di vita! Ma è poi vero? Se così fosse le società, le civiltà avrebbero vita migliore. Ho interrotto quel programma, quasi un’improvvisa capriola dialettica, per soffermarmi su alcune estemporanee riflessioni, quasi una deviazione di percorso. Da ultimo l’arrogante, ostentata iattanza della Pubblica Amministrazione nei confronti del cittadino, la tipica minorità sociale degli italiani descritta nelle mie precedenti riflessioni. Queste digressioni non hanno però spento in me la febbre di sentire gli eventi. Così riprendo l’iniziale programma. Nondimeno questa volta voglio soffermarmi proprio e direttamente sui personaggi che nel bene o nel male hanno segnato la nostra società occidentale: una lista lunga ma non chiusa alla società civile.
Conoscere, sia pure per grandi linee, la biografia dei personaggi è come immergersi nella loro contestualità storica, scrutarla come con una lente d’ingrandimento. È un efficace espediente, un grimaldello che ci fa entrare nella storia – anche se ormai dimenticata – penetrare, come nel nostro caso, il significato di un’allegoria.
Ed allora tuffiamoci nello splendore dell’Europa che coincise con il lunghissimo regno di Luigi XIV, il Re Sole, Dio di Francia, della cui morte, peraltro, ricorre quest’anno (sett. 1715) il terzo centenario.
LO SPLENDORE DELL'EUROPA
L’apogeo dello splendore europeo coincise con il lunghissimo regno di Luigi XIV. Alla sua morte, trecento anni fa, le monarchie continentali persero definitivamente un saldo punto di riferimento. Si trincerarono nell’assolutismo più ottuso pur di sopravvivere, dimenticando che se il dispotismo del Borbone era stato interpretato alla luce della moderazione consigliata dalla ragione, tanto da far dire a Voltaire che il sovrano esercitò un “potere illuminato”, non poteva alla lunga essere accettato un potere dinastico accentratore. Certo, Luigi XIV non avrebbe potuto immaginare che dopo di lui sarebbe davvero venuto il diluvio.
L’Europa, quasi senza accorgersene, venne dilaniata da monarchie litigiose che neppure ritenevano la loro legittimità derivante da Dio, figurarsi se poteva innestarsi su un’idea di ragione che prese a circolare ben oltre le cerchie intellettuali. La prova la diede proprio il Re Sole, simbolo scelto da Luigi XIV per dare di se stesso e del suo regno un’immagine di splendore, considerandosi ad un tempo “luogotenente di Dio in terra“, ma anche incarnazione dello Stato da governare.
Luigi “il borbone“. Ma chi erano i Borboni? Nel cuore della Francia, a Bourbon-l’Archambault è ancora oggi visibile un imponente torre quadrata, la Quinquengrogne, ed è l’ultimo ricordo di un antichissimo castello comitale. Da questo castello di Bourbon, ottenuto in feudo grazie al conte di Bourges poco più di mille anni or sono, trasse il casato di un oscuro signorotto di provincia. Il nome ed i meriti del primo Borbone sono rimasti sconosciuti, ma una tradizione tanto compiacente lo vorrebbe addirittura far discendere dallo stesso ceppo familiare comune sia alla dinastia carolingia sia alla dinastia capetingia. Dalla casa dei capetingi (continuatasi nelle case dei Valois, dei Valois-Orleans, del Valois Angouleme) si staccò anche il ramo dei Borboni di Francia allorché Roberto, ultimo figlio di Luigi IX- Capeto, Re di Francia, sposò Beatrice, ultima erede delle terre e del nome dei Borboni. Attraverso alcune generazioni si arriva al 1521, con la morte della duchessa Susanna. Il titolo ducale passa al marito della duchessa per giungere poi a Carlo III di Borbone-Montpensier e alla morte di questi (1527) ai Borboni La Marche-Vendome. Fu questo il ramo più illustre che diede alla Francia i re: Enrico IV, Luigi XIII, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi XVI, Luigi XVIII, Carlo X e Luigi XIX, e diede ai sovrani di mezza Europa consorti regali e imperiali. Da ramo a ramo i Borboni mantennero le caratteristiche familiari di razza e di spirito. Una razza per lungo tempo combattiva e solida della cui tempra Luigi XIV è un’icona. Non risparmiati furono i Borboni, e fra questi Luigi XIV, dalle esaltazioni più iperboliche e dalle critiche più acerbe. Un florilegio di commenti, allineando nomi illustri come quelli di Bussuet, di Voltaire, di Saint-Beuve, di Danton, di Marat, di Robespierre, mostrerebbe un cozzar di propositi, una stupefacente antitesi di giudizio. Lo storico Desormeaux scrisse nel 1772 sui Borboni: “Non si può pronunciare questo nome, il più grande dell’universo senza pronunciare quello della bontà e del valore. Queste virtù, tanto degne dei Maestri del Mondo, sono salite al trono più augusto già con Enrico IV, e sono state l’eredità suddivisa dalla sua posterità immortale”. Meno di trent’anni dopo Robespierre pronunciava: “La storia non avrà pietà di questi sciacalli umani, nutriti da sempre di sangue umano e d’infanticidio, oppressori malvagi di un popolo di schiavi, che hanno mandato al macello ogni volta che la loro furia omicida venne sollecitata da qualsivoglia loro bassa passione incestuosa“.
Luigi XIV è anche tutto questo. Venerato al pari di una divinità, servito come tale dai suoi ufficianti (virtualmente schiavi); da lui dipendeva ogni vita umana e ogni evento del suo regno; mai forse Borbone ebbe potere più assoluto. Per conseguenza il re riceveva quotidianamente numerose espressioni della più piatta cortigianeria, fossero esse dettate dal calcolo o dalla devozione sincera. Al pittore Le Brun, che stava eseguendo un ritratto negli ultimi anni del suo regno, il sovrano chiese “Non trovate che io sia invecchiato?“ Il pittore cortigiano rispose: “ Sire, io vedo solo qualche vittoria in più sulle vostre tempie“. La sua esistenza erano le battaglie vinte, il fasto quale premio della gloria: così nacque Versailles costruita perché ci fosse una cornice fastosa alla sua regalità. Fortunatamente per la stirpe, Luigi XIV contrasse la sifilide solo dopo la nascita dei suoi figli, cosicchè la discendenza fu risparmiata dal male.
Il despota si manifestò alla morte (1661) del suo primo ministro, il cardinale Mazzarino, (peraltro nostro corregionale, collaboratore ed emulo di Richelieu che lo designò suo successore); morte avvenuta nel 1661, vale a dire diciotto anni dopo l’ascesa al trono di Luigi, all’età di cinque anni, quando cominciò ad imparare sotto l’ala protettrice di sua madre, Anna d’Austria, reggente per molto tempo, la difficile arte del governare.
POTERE ASSOLUTO
Quando Mazzarino non fu più accanto a lui, Luigi XIV esercitò un potere personale ed assoluto senza avvalersi di nessun consigliere “costituzionale”, men che meno nominando un altro primo ministro del quale non sapeva che farsene. Lo Stato era lui, La Francia era lui; e tentò di diventare anche “il re dell’Europa”, sfiorando il sogno con tante guerre ed una politica di alleanze dinastiche e matrimoniali ora redditizia, ora fallace. Ma certamente le arti e la cultura che incrementò fecero di Parigi la capitale del mondo. Se fu protettore di Molière e di Racine, non poteva che avere una visione della bellezza coincidente con la grandezza della sua monarchia. La sua corte aveva uno splendore antico capace di influenzare mode e costumi.
Dunque, nessun primo ministro, abrogazione della suddivisione dei poteri, diffidenza per la cerchia di “suggeritori “ troppo ambiziosi: prima di lui c’era Dio; accanto il vuoto e sotto soltanto sudditi che non avevano la legittimità per pretendere di giudicarlo ed orientarlo. C’è un’antologia umoristica ai piedi del Re Sole. Nel 1677 il Re parte per la campagna d’Olanda e invita il commediografo Racine a seguirlo, desiderando sentirlo leggere, la sera sotto la tenda. Racine non ama la guerra e se ne resta a casa. Al suo ritorno il Re lo rimprovera per la sua assenza al campo e Racine risponde: “Sire, la colpa è del sarto e vostra, per l’occorrenza avevo bisogno di un abito da campagna. Ma quando il sarto, che pur lavorò in fretta, me lo portò, Vostra Maestà aveva già vinto“. E tante altre amenità.
Se questo fu Luigi XIV, non si può dire che i fatti non gli abbiano dato ragione. Il suo saggio governo, come per 300 anni è stato riconosciuto perfino dai più tenaci avversari dell’assolutismo, garantiva l’espansione e l’autorevolezza di una nazione unita, florida, ambiziosa. Pur tuttavia una serie infinita di guerre, che ebbe l’effetto di dissanguare la Francia e favorire la coalizzazione contro di lui delle maggiori potenze europee, oscurò in parte i buoni risultati ottenuti avviando, sia pure impercettibilmente, al declino una storia che sembrava non avere fine.
Dopo 54 anni di regno effettivo (dei quali 29 trascorsi in guerra), sostenuto da uomini come Colbert che innovò le finanze fino a farne un modello da esportazione, di Luigi XIV rimase un’inimitabile arte di contemperare le ragioni del trono con quelle della Francia. Della potenza della nazione ne avrebbero beneficiato tutti, soprattutto le classi più povere. E ciò gli è stato riconosciuto anche da chi non lo ha amato, a cominciare dal duca Louis de Saint-Simon, che fu membro temporaneo del Consiglio di Reggenza di Filippo II d’Orleans, reggente per Luigi XV dopo la morte di Luigi XIV, nonché autore delle celebri “Memorie“, dalle quali risalta la figura intima più che quella pubblica di Luigi XIV, offrendoci un personaggio tra luci, ombre, contraddizioni e segnato dal perseguimento di una forte volontà di potenza ovunque si manifestasse l’esigenza di esprimerla. Provò l’amore, intuì che l’ozio era nemico della gloria, tentò qualche debole colpo di mano ora in una direzione ora in un’altra, si rese conto di avere acquistato maggiore libertà con la morte di Mazzarino, pur non avendo avuto abbastanza forza per liberarsene prima. Per completezza di informazione anche Luigi XIV lasciò delle Memorie nelle quali descriveva lo Stato Francese, il disordine imperante e le riforme necessarie.
Il secolo che si apriva con la fine del Re Sole (1° settembre 1715) aveva già in sè il seme del tramonto dei giorni dorati di Versailles e si sarebbe chiuso alla fine con l’avvento di un altro monarca la cui stella rifulse fino ad Austerliz. Con i regni dei successori Luigi XV (padre di 34 illeggittimi) e Luigi XVI si crearono lentamente e gradualmente le premesse per un nuovo ordine sociale, il governo, già deficitario nel 1788, dichiara la bancarotta, il Re licenzia Necker fino alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Gli eventi si fecero via via maturi per il futuro avvento appunto di un altro monarca, dopo Austerliz, un borgo nella uggiosa pianura morava, teatro di una feroce battaglia, detta anche “dei tre imperatori” che segnò la fine della terza coalizione di cui facevano parte Inghilterra, Austria e Russia, le cui monarchie odiavano il messaggio di eguaglianza di una Rivoluzione che diede la corona imperiale ad un luogotenente d’artiglieria, quel Napoleone considerato come “il missionario in stivali“ di quella rivoluzione: nella nebbia di Austerliz spunta il sole di Austerliz.
In questo contesto storico-esistenziale Luigi XIV fu assolutista come il Borbone, ne ripeteva la grandezza, ma i tempi erano maturi per l’affermarsi di ideali incompatibili con il primato del Trono e dell’Altare. L’epoca di Luigi XIV schiude quella di Bonaparte i cui destini sarebbero stati convulsi e drammatici.
Alfio Carta