LUIGI ANTONELLI, IL NARRATORE CHE ESORTA AL SORRISO

UN COMMEDIOGRAFO ABRUZZESE DIMENTICATO

Scopo del teatro, ora come sempre,
 
è quello di reggere lo specchio alla natura,
per mostrare alla virtù il suo volto, alla follia
la sua immagine, a questo nostro tempo
e società la sua impronta.

Shakespeare, Amleto, III, 2 

Luigi Antonelli nasce il 22 gennaio 1877(1)  a Castilenti, amena località teramana i cui scorci panoramici di verde e colline integre gli resteranno nel cuore per tutta la vita.

Studia presso il Convitto Nazionale di Teramo «Melchiorre Delfico». Sin da ragazzo, percepisce la sua vera vocazione: il teatro, attività che rafforza la memoria, vince la timidezza, sveglia la coscienza, ravviva la socializzazione e cultura.

Assieme ai compagni di studio e amici carissimi, Giuseppe Romualdi, Vincenzo Bucci e Luigi Tonelli, fonda la filodrammatica scolastica e muove i primi passi sul piccolo palcoscenico del Convitto recitando, tra l’altro, Per una taglia, farsa di autore anonimo. Conseguita la maturità classica, frequenta i corsi universitari di Medicina a Napoli e poi di Lettere a Firenze, lasciandoli incompiuti.

Agli inizi del ‘900, per esigenze di lavoro, entra nel giornalismo come redattore della Tribuna, condirettore de L’illustrazione abruzzese e corrispondente della rivista La Patria degli italiani. Nel 1911 si trasferisce a Buenos Aires per assumerne la direzione. Rientrato in Italia cinque anni dopo, inizia la collaborazione con il Secolo XX e La lettura. Scrittore elegante, nitido e poliedrico, lascia una eredità ancora tutta da valutare: critica teatrale, novelle e numerosi saggi intrisi di erudizione, passione, idee. Vale la pena rileggere L’anima delle piante e 35 anni di teatro nei ricordi di un maestro, apparsi sul Secolo XX per renderci conto delle sue oculate riflessioni e vaste ricerche su Natura e uomini, condotte con finezza di analisi, gusto dialettico e prosa vigorosamente scandita.

Pur rifiutando ogni visione ideologica totalizzante, Luigi Antonelli rimane un giornalista-saggista impegnato. Egli annota impressioni e manifesta valori etici perfino nelle metafore allusive intuendo che vita e società sono fenomeni correlativi. Presto, gli interessi teatrali lo spingono a lasciare il giornalismo per dedicarsi alla scrittura dei testi. Esordisce il 20 aprile 1910 col dramma La casa dei fanciulli al Teatro Carignano di Torino, allestito e recitato da Ermete Zacconi. Da allora, scrive oltre 40 lavori, interpretati dalle prestigiose compagnie dell’epoca con A. Sainati, A. Gandusio, R. Ruggeri, E. Grammatica, D. Falconi, D. Galli e altri. Il 18 dicembre 1933, data da scolpire, al teatro Argentina di Roma, viene rappresentata la commedia Il Maestro, messa in scena e diretta da un genio indiscusso della drammaturgia, Luigi Pirandello che, l’anno dopo, otterrà il premio Nobel per la letteratura. Studioso di storia musicale, Antonelli scrive due canzoni (Una gondola a Dàkar, Stratosfera) e una piacevolissima operetta Bottega Fantastica, tutte musicate dal maestro e caro amico A. Di Jorio(2). In questo periodo, il Nostro abbandona la produzione scenica per occuparsi di critica drammatica in una rubrica fissa del Giornale d’Italia. L’avvento del cinema sonoro aveva ridimensionato il teatro. La straordinaria vitalità del grande schermo, la sua diversità, la forza di attrazione delle nuove immagini riducevano il teatro ad arte di nicchia, apprezzata da un pubblico decrescente. Le compagnie professionistiche, inoltre, prive di finanziamento statale erano costrette a estenuanti tournée.  In tale congiuntura, si dedica, toto corde, alla narrativa sulla scia della più alta tradizione italiana (Fogazzaro, Verga, Capuana, Tozzi) ma con caratteri innovativi peculiari e fecondi: anti-convenzionalità, «realismo magico», gioco della fantasia trapunta di osservazioni scientifiche acquisite nei corsi di Medicina. Insomma, da una parte vi è il recupero di tutto un filone culturale italiano, dall’altra il suo superamento mediante simboli e segni linguistici capaci di svelare il senso nascosto della vita. Torneremo sull’argomento.

Colpito da male incurabile, rassegnato e non disperato, nel 1941 torna in Abruzzo a Pescara. Dalla sua villetta, posta sulla Pineta, perennemente rapito da sogni giovanili, raccontano gli amici, ascolta il canto degli uccelli, il fruscio degli alberi e il mormorio del mare poco lontano. Muore la sera del 21 novembre 1942(3), mentre a Bucarest veniva rappresentata la sua commedia più nota: L’uomo che incontrò se stesso.

 

AVANGUARDIA E TRADIZIONE  

Nessun fenomeno culturale spunta ex nihilo. Dietro ogni elaborazione ci sono passioni, intelligenza, fobie, gusti sempre stimolati da contesti sociali di popoli e civiltà. Specie l’arte scenica occidentale, nel corso dei suoi 2500 anni di storia, dai primi riti greci alle recenti esperienze, ha sempre modellato materia viva e immediata anche nella finzione. In altri termini, il teatro non è oasi isolata o espressione autonoma di se stesso, ma l’eco della società. Ogni autore, sia pure nel fervore creativo più libero e fantasioso, consapevolmente o no, delinea il proprio orizzonte di sensibilità nell’ambito della realtà concreta in cui si muove.

Le forme di spettacolo, superfluo precisarlo, sono circoscritte a farsa, commedia e dramma. Non manca però una serie di sottogeneri contaminati dove, volutamente, il motivo tragico si mescola al comico, la sofferenza al brio. Memorabile, a tal proposito, rimane l’Ispettore generale di Gogol. Tra le categorie menzionate (farsa, commedia, dramma) non esistono gerarchie di valori, ma solo stile, testo e spettacolo. Aristofane, Plauto, Molière, Goldoni, sommi commediografi per ispirazione e genialità non sono inferiori a Eschilo, Shakespeare, Ibsen e Brecht che hanno fatto conoscere al mondo l’insoluto contrasto tra bene e male, virtù e dissolutezza.

Dopo queste note preliminari, appare chiaro il clima culturale del primo novecento in cui si collocano la formazione e l’itinerario teatrale di L. Antonelli. Rispetto alla grande drammaturgia europea (Ibsen, Strindberg, Cechov), quella italiana è modesta, di corto respiro. Ricordiamo tuttavia G. Giacosa (Come le foglie), G.Rovetta (I disonesti), E.A.Butti (Il vortice), S. Di. Giacomo (Assunta Spina) e altri che assimilano alcuni aspetti del verismo mettendo in evidenza le dissonanze della morale borghese, il fallimento del ruolo sociale di tale ceto e i risvolti oscuri della coscienza.

Negli ultimi anni della prima guerra mondiale, un nuovo tipo di spettacolo teatrale, qualificato «grottesco», desta notevole interesse in Italia e all’estero. Ne sono artefici: Luigi Chiarelli (La maschera e il volto), Rosso di San Secondo (Marionette, che passione!), Enrico Cavacchioli (L’uccello del paradiso) e il nostro Luigi Antonelli (L’uomo che incontrò se stesso). I noti, citati lavori rompono con il passato. L’arte scenica scava nella vita da angolazioni stravaganti e insolite. Ne scruta i vari aspetti: tragedia e comicità, dolore e allegria, realtà e apparenza. Tutto viene riflesso negli specchi deformanti della fantasia per arrivare al sogno e alla magia. Si capisce così come critici sottili preferiscano l’espressione di realismo romantico al posto di Teatro del grottesco.

Occupiamoci de’ L’uomo che incontrò se stesso. E’ la storia di un quarantenne, Luciano de Garbines che, tornando a casa dopo un viaggio, scopre tra le macerie della sua abitazione, distrutta da un terremoto, il cadavere della moglie tra le braccia del suo migliore amico, in atteggiamento che non lasciava dubbi sulla relazione amorosa tra i due. Sconvolto, gira il mondo finchè approda su un’isola misteriosa dove uno scienziato, il Dott. Clint, governa il tempo, fermandolo e donando l’eterna giovinezza. Grazie alle sue arti magiche, il protagonista ottiene uno sdoppiamento. Egli può incontrare se stesso ventenne al quale dispensa consigli per evitare gli errori che avevano generato l’infedeltà coniugale. E’ tutto inutile. L’alter ego, ringiovanito, rimane sordo a ogni avvertimento. Ricommetterà gli stessi falli. Morale: l’esperienza di vita non ammaestra. La sorte dell’uomo è determinata dal suo carattere.

La commedia, rappresentata il 23maggio 1918 al teatro Olympia di Milano con Antonio Gandusio, viene ripetuta al Carignano di Torino. In tale occasione, lo stesso Antonio Gramsci ne rimane colpito e scrive con ammirazione: Molte cose buone si possono e si debbono attendere da questo giovane autore che fornito di tutte le doti che occorrono per forgiare opere che lascino traccia nella vita del teatro….Un lavoro che si stacca nettamente da tutta la serie di novità della stagione, per arditezza di concezione e signorilità di svolgimento. Questo sogno che l’autore ha portato sulla scena superando difficoltà di tecnica teatrale che sembravano insormontabili, questa fine satira della vita ha stupito il pubblico a cui da tempo non si ammanniscono lavori atti a sviluppare il pensiero(4).

Altri lavori teatrali meriterebbero attenzione, ma ragioni di spazio non lo consentono. Prima di fermarci,  vale la pena accennare a L’isola delle scimmie (1922) dove alcuni di questi animali vengono a contatto con tre cinici personaggi umani (un viveur, un professore di morale, una ballerina) che impartiscono «lezioni di civiltà». Abboccano le povere scimmie acquisendo nuovi costumi e organizzazione. Gli effetti sono catastrofici. Perdono identità ed equilibri. In questa originale e amara favola, Luigi Antonelli sembra voler ricalcare, sia pure con poetica fantasia, l’insanabile contrasto, denunciato da Rousseau, tra l’innocenza della natura non violata e l’insidioso inganno di una società ipocrita, corrotta, mercificata, e priva di ideali.

 

I RACCONTI

Luigi Antonelli mostra vocazione autentica e divorante passione intellettuale per la narrativa. La sua tecnica espositiva è nitida, concettualmente densa, antiletteraria, finalizzata a captare i moti profondi dell’esistenza. Anche quando si abbandona, con grazia e sciolta eleganza all’umorismo, ha sempre accenti di riflessione psicologica e vivo sentimento di poesia e umanità. Come accennato, lo scrittore abruzzese si muove sulla scia della complessa tradizione dei racconti italiani senza mai lasciarsi condizionare. A differenza dei predecessori, egli avverte il groviglio di contraddizioni nascoste sotto l’ingannevole superficie quotidiana. La realtà è fluida, quasi sempre squallida e desolata. L’ideale è un orizzonte che non si lascia raggiungere. Onde l’immanente conflitto tra desiderio e realtà, tra sogno e vita. Ne consegue che il pessimismo iniziale di Antonelli viene superato dalla poesia e dalla fantasia che consentono l’affrancamento dai fardelli convenzionali che la società duramente impone. Emblematica, a mio parere, è la novella Il boscaiolo (1925), riproposto con il titolo Il carro stregato(5). La vicenda ruota attorno a un personaggio, Zingano, vigoroso spaccalegna tormentato da sete inestinguibile di guadagno. Avrebbe abbattuto-sostiene l’Autore-tutti gli alberi della terra, ridotte le colline a dei moncherini bianchi, le pianure a delle aie lucenti per saziare la sua terribile ansietà. Una pianta per lui aveva una sola ragion d’essere: quella di tramutarsi in un certo numero di metri cubi di legno(6). Presto, mette su una modesta impresa. Un giorno scopre all’interno di un tronco un tesoro di scudi d’argento. Divenuto ricco, acquista un grande bosco di querce, nuovi carri e buoi per trasportare la legna alla stazione. Mentre, con i suoi servi, rade la collina, un giovane sconosciuto, pallido e malinconico, si aggira nei dintorni assistendo al demenziale e selvaggio disboscamento. Zingano è infastidito da quella presenza, anche se discreta. Nessuno sa chi sia. Per alcuni è un poeta, affascinato dalla natura e dal suo universo di colori e profumi. In un giorno di primavera, come al solito, Zingano abbatte una quercia. La carica su un carro trainato da buoi che, per quanti sforzi facciano, non avanzano. Aggioga al carro otto buoi. Inutilmente. Il carro sembra «stregato» da una misteriosa forza che lo blocca al suolo. Il mattino dopo, arriva il giovane sconosciuto e, appreso da Zingano il maleficio del carro, fruga nella chioma della quercia e libera dai rami un piccolo nido con sei boccucce che si aprivano in silenzio. Alleggerito di quel nido, il carro, finalmente, si muove trainato da appena due buoi.

L’allegoria emerge con cristallina chiarezza: il confronto tra l’agognata vita georgica e l’egoismo di interessi individuali. La narrativa antonelliana non indica soluzioni pragmatiche. Esorta al sorriso e a non disperare. Illusione e fantasia stimolano l’anima umana dandole la forza di incidere sulle ingiustizie. Solo la poesia, esprit de coeur, apre prospettive all’esistenza facendoci ancora confidare nella vita. Altri racconti (La statua malata, I due pini, Le ghiande, I cardellini, Colloquio con la spiaggia, Il pipistrello e la bambola, ecc) sono animati da simbolismi molteplici e pluralità di significati. Tuttavia vi è una presenza costante, unitaria e profonda. Essa riguarda il «disagio della modernità». Ovvero un mondo distruttivo dell’ambiente dove l’esistenza umana non ha più radici nell’armonia cosmica.

Aristide Vecchioni

 

P.S.

Dedico questo breve scritto alla memoria del Dr. Carlo Di Giacomo, anatomo-patologo e fondatore dell’Associazione culturale amici del libro abruzzese. Con pari impegno coltivò attività scientifica e letteratura regionale. A lui va il merito della pubblicazione di tutti i drammi editi e inediti di Luigi Antonelli, nonché di racconti, scritti giornalistici e atti unici, apparsi su Il giornale d’Italia, Il secolo XX, La lettura, Abruzzo illustrato, Le grandi firme.

 

NOTE

1) La data di nascita di Luigi Antonelli è stata definitivamente acquisita dopo la sua morte. In vita, il commediografo abruzzese, con un tocco di civetteria si fingeva più giovane, raccontando di essere nato cinque anni più tardi, cioè nel 1882.

2) Sul sodalizio umano e artistico di Luigi Antonelli con Antonio Di Jorio giova la lettura di alcuni interessanti scritti di Marco Della Sciucca: Antonio Di Jorio. Percorsi della vita tra Napoli, l’Abruzzo e la Romagna, Lucca, Lim-Akademos, 1999 e La poetica degli stili nella musica di Antonio Di Jorio, in Oggi e Domani, a. XIX, 1991, n 6 pp. 27,34.

Inoltre, esiste in Atri l’Archivio-Museo «Antonio Di Jorio» realizzato dall’allora assessore alla cultura Prof. Nino Bindi e inaugurato il 14 dicembre 1996. Tale complesso è una miniera di sorprese. Vi sono diplomi accademici, medaglie, fotografie, manifesti, locandine, opuscoli, echi di stampa, saggi critici, registrazioni d’epoca, interviste radiofoniche riguardanti il grande musicista di Atessa. Spiccano circa 800 lettere scritte a Di Jorio da personalità della cultura (Luigi Antonelli, Cesare De Titta, Giuseppe Garofalo, Luigi Illuminati, Libero Bovio, E. A. Mario ed altri). Tra le preziose testimonianze riguardanti Luigi Antonelli vi è una fotografia, l’unica rimasta, Luigi Antonelli, Marta Abba e Luigi Pirandello, la sera della prima de Il maestro al teatro Argentina di Roma. Tutto il materiale è amorevolmente custodito e sapientemente catalogato. Anima e cervello dell’archivio-museo atriano   è un vero studioso di storia e tecniche musicali, Concezio Leonzi che, con inesauribile tenacia e acume certosino, tutela e valorizza questo straordinario spazio di cultura musicale.

3) Come per il giorno della nascita, anche per quello della morte sono stati sollevati dubbi. Alcuni critici sostengono che il commediografo abruzzese sia morto il 20 novembre del 42 e non il 21 (v. Luigi Antonelli, Teatro, vol. II, Associazione culturale amici del libro abruzzase,2001, risvolto di copertina.

4) Antonio Gramsci, L’uomo che incontrò se stesso di Luigi Antonelli, Avanti!, 2 ottobre 1918.

5) Luigi Antonelli, Racconti, a cura di Giorgio Patrizi, Associazione culturale amici del libro abruzzese, 2002, p. 341.

6) ivi

Dalla RIVISTA ABRUZZESE 2015 n.3