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- Pubblicato Mercoledì, 05 Agosto 2015
- Scritto da Alfio Carta
LA GUERRA DI CRIMEA: UNA CROCIATA RUSSA CHE PUO’ RICOMINCIARE
LA POLVERIERA DEL MAR NERO, LO SCONTRO PIU’ VIOLENTO DELL’ 800
LA POLVERIERA DEL MAR NERO, LO SCONTRO PIU’ VIOLENTO DELL’ 800
Si trattò di un episodio che rimise in moto la competizione e la conflittualità tra gli Stati che ambivano al predominio dell’Europa. La guerra rappresentò un momento della cosiddetta “questione d’Oriente”, intesa quale particolare e delicato momento storico scaturente dalla disgregazione, ormai in atto, dell’Impero Ottomano; situazione che poneva agli Stati europei il problema di una spartizione dei territori ad esso soggetti, fra tutti il territorio balcanico oggetto delle mire espansionistiche russe.
Tutti coinvolti: inglesi, francesi, italiani, russi, polacchi (i cosiddetti cosacchi del Sultano). I loro corpi riposano ancora lì, in Crimea. Nella sola Sebastopoli gli ossari contengono alla rinfusa i resti di 127.583 uomini che caddero per difendere la città. Certo, il XX secolo ci ha regalato massacri di ben altra entità. Ma nessuna guerra del XIX secolo fu così spietata e pervasiva quanto quella di Crimea (1853-1856). Nemmeno la guerra di secessione americana. Ci furono 750.000 morti uccisi in battaglia. Attorno alla città di Sebastopoli vennero scavati, in uno spazio ridottissimo, 120 chilometri di trincee e furono sparati 150 milioni di pallottole e 5 milioni di proiettili o ordigni di artiglieria di vario calibro. E fu in quelle trincee che la guerra da galantuomini, se mai è esistita, andò definitivamente in soffitta. Senza contare le conseguenze politiche durature.
Il conflitto spezzò la Santa Alleanza nata dal Congresso di Vienna (di questo grande evento parlerò in altro saggio) consentendo la nascita di Stati nazionali come Italia, Germania, Romania. In particolare per l’Italia il gioco del Conte Cavour, era perfettamente riuscito realizzando il suo programma di portare il Piemonte al rango di Stato nel processo di unificazione nazionale, con una politica estera abile e diplomatica. Cavour era certo che l’intervento piemontese fosse opportuno, ed i fatti successivi gli diedero ragione. Così un corpo di spedizione di 15.000 uomini al comando del generale La Marmora partì verso la metà del 1855 per la Crimea, dove appunto si svolgeva il conflitto e prese parte alla battaglia della Cernaia ed all’assedio di Sebastopoli, la potente piazzaforte russa che resistette circa un anno all’assedio delle truppe anglo-franco- piemontesi: caduta Sebastopoli, al Congresso di Parigi, dove i rappresentati delle potenze europee si riunirono per le trattative di pace, Cavour, come rappresentante del piccolo Stato piemontese sedeva, a parità di rango, accanto a quelli di Francia, Inghilterra, Austria, Russia e poteva illustrare le penose condizioni di soggezione e vassallaggio in cui le popolazioni del Lombardo-Veneto e dell’Italia meridionale erano tenute dagli Asburgo e dai Borboni. Il Regno Sardo Piemontese esce dai propri limitati confini aumentando il peso politico, preparandosi a diventare la Nazione Italia.
Più importante ancora, la guerra lasciò nei russi la sensazione del tradimento nei loro confronti da parte delle potenze europee. Un tradimento religioso per giunta: cristiani che proditoriamente si schierano con i musulmani turchi senza capire la “santità“ delle guerra contro una potenza islamica.
E se, alla fine, dalla storiografa la guerra di Crimea è stata un po’ dimenticata, la geopolitica quella zona non l’ha dimenticata affatto, visto che ancora oggi è al centro del conflitto ucraino-russo. Dove di nuovo i russi sentono gli europei come traditori e gli europei vedono i russi come aggressori. E di nuovo, come allora, la guerra rischia di estendersi anche ad altri fronti, come il mar Baltico.
Tralascio la ricostruzione di fatti del conflitto, ampiamente illustrati nel nuovo saggio “Crimea. L’ultima crociata“ di Orlando Figes, storico al Birbeck College di Londra, dedicando invece più ampio spazio al “prima“, alle cause. Sottolineando anche tutti quei dettagli legati alla religione che gli storici, pervasi di razionalismo, hanno spesso messo in ombra o valutato come secondari, ma che persino nel presente tornano, con forza sempre crescente, a dimostrarsi motore della storia.
La penisola di Crimea ed il Mar Nero erano (e sono) la porta verso il Mediterraneo, ma i russi, e in particolar modo lo Zar Nicola I, sentivano anche una vocazione a proteggere i cristiani ortodossi di Grecia e in generale dell’Impero Ottomano. E questa vocazione si traduceva anche in un preciso desiderio di controllo sui Luoghi Santi e Gerusalemme (meta di migliaia di pellegrini già allora). Controllo a cui i russi sentivano autorizzati dall’ultimo accordo di pace di Kucuk Kainarca del 1774 (peraltro scritto in russo, turco, e italiano, in versioni divergenti tra di loro e molto interpretabili ). Insomma non discutevano solo di porti ma di ecumene cristiana. Fatto inaccettabile per Francia e Inghilterra e, alla lunga, anche per l’Austria Ungheria.
Era un interesse strumentale? Come quello dei francesi a proteggere invece i cattolici? Forse. Ma fu uno dei detonatori della guerra. E non era un pericoloso detonatore percepito solo dai governi. Un esempio? Nel 1846, sfortunatamente, la Pasqua cadeva lo stesso giorno, come credo quest’anno 2015, sia per i cristiani sia per gli ortodossi. Si creò un problema di precedenza per la celebrazione della liturgia del Venerdì Santo. Iniziarono a picchiarsi i sacerdoti. Seguirono i monaci e poi i fedeli. Crocifissi, incensieri, pezzi d’altare si trasformarono in armi. Poi spuntarono anche delle pistole e dei coltelli (erano epoche in cui si viaggiava armati). Quando le guardie di Mehemet Pascià intervennero c’erano già stati quaranta morti e la sovranità su Gerusalemme, la protezione dei vari cristiani, era già diventata un problema internazionale. Che portò dritta al conflitto, garantendo ai turchi l’appoggio dei francesi.
È solo uno di tasselli della questione, ma dà l’idea del complesso intreccio di fili che si annodano in Crimea, terra di confine, terra di più popoli, terra di più religioni. Terra senza la quale non avremmo forse un’Italia Unita, come in precedenza ho già accennato. In Italia esistono pochi riferimenti che ricordino agli italiani la parte di essi avuta nella guerra di Crimea. Non così in Russia. Sebastopoli cadde, la guerra fu una sconfitta. Ma la resistenza della città divenne un mito. Ed è anche per questo mito che (e non solo per l’importanza geopolitica) che la città per i russi è irrinunciabile. Come recita una ballata, Sebastopli è ancora: “La miracolosa fortezza, schermo della Russia e scudo“. Una linea di culto patriottico a cui non rinunciarono nemmeno gli stalinisti e che è arrivata intatta ai nostri giorni. E questo non andrebbe dimenticato.
Perché il Mar Nero è stata la polveriera dell’Ottocento e sarebbe meglio non trasformarlo nella polveriera anche del XXI secolo. Perché ogni tanto i corsi e ricorsi della Storia esistono davvero, anche se io sono critico verso la teoria deterministica della Storia. Quanto detto spiega come i russi si sentissero vicini agli ortodossi greci nei primi decenni dell’ottocento.
E a chi si è rivolta oggi la Grecia nei guai con l’Europa?
Alfio Carta