“CARILLON”:

UN RACCONTO DI ALESSANDRA DELLA QUERCIA
CONTRO LA VIOLENZA

Carissimi lettori e carissime lettrici,

con grande piacere condivido con voi un altro mio racconto, con cui sono stata selezionata nei due seguenti concorsi letterari nazionali: “No alla violenza contro le donne”, indetto da Historica Edizioni, e “Il silenzio uccide”, indetto dall’Associazione “Il Guscio.”

Buona lettura!

CARILLON

Caterina, sin dalla più tenera età, traboccava di gioia e solarità. Era una bambina di meravigliosa bellezza, dai folti capelli bruni, dalla carnagione olivastra e dai profondi occhi verde smeraldo. Un incanto per la vista ed un toccasana per il cuore di tutti coloro che avevano il privilegio di relazionarsi a lei, poiché trasmetteva entusiasmo da ogni poro, riuscendo a far sorridere persino i tipi più algidi e reticenti. Caterina era l’ultima di tre figli, aveva due fratelli più grandi, Dario e Luciano, che stravedevano per lei e la consideravano al pari di un tesoro da preservare e proteggere. I suoi genitori, Michele e Assunta, erano degli infaticabili lavoratori e provenivano da un delizioso paesino del Mezzogiorno d’Italia, da cui erano emigrati negli anni Cinquanta alla ricerca di fortuna.

La loro meta era la Germania, così austera ed al contempo così inaspettatamente accogliente ed aperta, dove si trasferirono con i loro figli ancora piccoli, a cui tenevano visceralmente. Caterina era assai vispa e socievole e non aveva mai avuto problemi di sorta nell’integrarsi a scuola e con il gruppo delle sue coetanee, con cui giocava e si divertiva condividendo giornate allegre ed indimenticabili. Tanti anni trascorsero lieti e spensierati: lei erudiva le sue amiche sulle tradizioni della sua terra d’origine e loro facevano altrettanto, illuminandola sulla cultura tedesca. Crescendo, però, iniziava a notare delle differenze abissali tra lei e le altre adolescenti. Loro avevano parecchia libertà di pensiero e di movimento,  mentre lei si sentiva perennemente controllata e limitata. Le sue compagne manifestavano una piena autonomia nelle proprie scelte ed iniziavano ad avere i primi filarini, allontanandosi ore da casa senza ricevere alcuna ramanzina dalla loro famiglia, anzi con l’invito di godere appieno di quelle emozionanti sensazioni. Caterina appariva, invece, relegata in una metaforica gabbia dorata: i suoi non le facevano mancare nulla, ogni desiderio materiale che avesse manifestato sarebbe stato esaudito, ma per quanto concerneva invece l’indipendenza mentale, riceveva secchi rifiuti sulla realizzazione dei suoi sogni e bisogni.

Nel frattempo, nelle rare volte in cui si trovava lontana dalle asfissianti mura domestiche, durante un saggio scolastico di fine anno, in cui veniva interpretata la celeberrima opera “Tosca” di Giacomo Puccini, accadde un qualcosa di magico. Mentre si trovava seduta accanto alle sue amiche, sulle note della struggente aria “E lucevan le stelle”, incrociò lo sguardo di Friedrich, il ragazzo che interpretava il pittore Mario Cavaradossi. Alla fine della magistrale perfomance lo attese fuori dal teatro e, senza proferire verbo, già avvertirono tra di loro un’elettrizzante complicità. Caterina cominciò, quindi, a vederlo, pervasa da una gioia indescrivibile, mai provata. Si ingegnava in ogni modo per incontrarlo, il sentimento che stava nascendo era intenso a tal punto che non si frenavano nemmeno per strada per scambiarsi baci appassionati. Peccato, però, che in una di quelle occasioni si trovassero in quella zona i suoi fratelli che, non appena finirono di assistere a quella scena, la rimproverarono bruscamente, davanti a Friedrich e ai passanti, obbligandola a tornare a casa con loro. Friedrich cercò di dissuaderli e di convincere Caterina a non seguirli, ma lei era succube di essi e non poté far altro che assecondarli, mestamente. Una volta rincasati, Dario e Luciano cominciarono a coprirla dei peggiori insulti, appellandola persino “sgualdrina”. Lei non riusciva a replicare, piangeva solamente, amareggiata e delusa da loro, che reputava figure importanti e vicine a lei. Non contenti, loro fecero anche la spia e spiattellarono ai genitori l’accaduto. Caterina si sentì, così,  tradita due volte. La punizione dei suoi non tardò ad arrivare: non sarebbe potuta più uscire per un mese.

A loro giudizio, era troppo giovane per avere storie con un ragazzo, per giunta non italiano come loro. Loro la immaginavano, di lì a qualche anno, in abito da sposa con un emigrante, non con un tedesco, oltretutto intellettuale, che le intimarono di non frequentare mai più. Lei, incapace di reagire, a malincuore acconsentì. Avrebbe, perciò, potuto soltanto andare a ritirare il diploma di maturità e poi sarebbe stata relegata nella sua dimora. Lei, però, approfittando dell’ultima uscita, fece in modo di confidarsi con le sue amiche che, subito, le proposero una via di fuga. Caterina non sarebbe tornata più a casa e sarebbe andata a vivere con loro, nell’appartamento che avevano deciso di condividere in vista dell’imminente esordio universitario. Caterina, ovviamente, nemmeno aveva progetti in tal senso, perché la sua famiglia “vecchio stampo” anelava ad un suo futuro da casalinga con magari una bella prole, che li avrebbe resi nonni e avrebbe garantito il proseguo della loro genealogia.

Le sue amiche, però, le fecero capire che anche lei avrebbe potuto aspirare a qualcosa di più, dato che si mostrava curiosa e volenterosa nell’apprendimento. Si segnò, quindi, anche lei alla facoltà di Lettere, che l’affascinava molto. C’erano, naturalmente, dei costi non irrisori da sostenere e lei non avrebbe potuto contare sull’aiuto dei suoi, quindi intraprese un mestiere che le era sempre piaciuto e che a quei tempi era molto in voga: la sarta. Una mattina di autunno rivide, dopo vari mesi, Friedrich anch’egli iscritto alla sua stessa università. Lui provò subito a riallacciare i rapporti ed ebbe gioco facile perché Caterina non l’aveva mai dimenticato. Insieme cominciarono ad intrattenersi e a pranzare assieme, dopo le lezioni. Lei, durante la convivenza con le sue compagne, aveva maturato delle consapevolezze del suo valore e di quanto meritasse. Friedrich sembrava intrigato da quella nuova personalità che stava esplodendo sempre di più e, ogni giorno, la riempiva di attenzioni e sorprese. Arrivò addirittura  a chiederle di sposarlo. Lei acconsentì e, per pura convenzione, invitò l’intera sua famiglia al suo matrimonio. Sembrava pace fatta, lei ormai aveva più di venti anni, il ragazzo, seppur di nazionalità diversa dalla sua di origine, pareva un buon partito e gli aspettava un roseo futuro da docente.

Lei perdonò i suoi famigliari perché non dava la colpa a loro, bensì alla loro mentalità retrograda, frutto del contesto in cui erano nati e diventati adulti e, soprattutto, perché ormai si riteneva una donna finalmente libera e non imprigionata nei consueti stereotipi. Non le mancava nulla. Lei e suo marito andarono a vivere in un lussuoso villino, che lui aveva ricevuto in dono dai suoi genitori, una coppia brillante e benestante. Dopo un paio di mesi rimase incinta di Angelika, che nacque in un assolato mattino di metà luglio, riempiendo di felicità Caterina e Friedrich. Angelika era un autentico tesoro, che inondava di tenerezza l’anima della sua mamma e del suo papà. Friedrich si stava affermando sempre di più come professore, era assai stimato nell’ambiente e gongolava nell’essere al centro dell’attenzione di tutti. Caterina, dal suo canto, era orgogliosa di essere la sua donna e spendeva ogni secondo nell’educazione della loro piccola, dato che lui spesso era impegnato nella sua attività di docenza, che l’assorbiva appieno.

Angelika era un tesoro di bimba, ma le poche volte che faceva i capricci era quando le mancava fortemente il suo papà e, quindi, Caterina trovò un escamotage per rasserenarla: il Carillon, che le aveva fatto molta compagnia da bambina quando si sentiva sola e trascurata dai suoi cari che erano spesso affaccendati nei loro mestieri. Al Carillon affidava i suoi pensieri, i suoi sorrisi e le sue lacrime. Ascoltare la melodia che emetteva la tranquillizzava straordinariamente. Optò quindi per quella soluzione, che pareva avere i medesimi effetti su Angelika, le bastava osservare quel bellissimo oggetto ed abbandonarsi al suo inconfondibile suono per riprendersi da qualsiasi malinconia. Friedrich acquisiva sempre più prestigio nell’ambito in cui operava, Angelika cresceva a dismisura e Caterina era soddisfatta di avere un marito così invidiabile ed una figlia così affettuosa ed intelligente. Le mancava, però, a quel punto solo una cosa, che inconsciamente invidiava alle sue amiche: la realizzazione personale. Iniziò, dunque, a mandare dei curriculum a varie scuole, perché il suo sogno era lo stesso del marito: diventare insegnante.

Quando, però, glielo confidò, egli si rabbuiò, lasciandola attonita e imbarazzata. Provò, però, ad andare oltre e a giustificarlo. Lei, comunque, non ci sperava di certo di essere contattata e proseguì a vivere come sempre, covando però in sé quel desiderio. Quando meno se l’aspettava, ricevette una telefonata: avevano bisogno di una supplente e, lei, con i suoi studi avrebbe potuto benissimo ricoprire quel ruolo. Se poi fosse andato tutto per il meglio avrebbe ricevuto una proposta ancora più interessante: insegnare a tempo indeterminato. Quando riferì la notizia a Friedrich lui diede di matto, non accettava l’idea di vederla con una sua indipendenza economica ed una carriera professionale. Le intimò, quindi, di rinunciare a quell’incarico. Lei, sulle prime, titubò, ma poi lo trovò inammissibile. Pertanto, contro il volere di suo marito, si recò all’appuntamento con il personale scolastico ed ottenne l’agognato ruolo. Fu l’esordio di un periodo indelebile per lei, che non poteva credere di aver concretizzato quel sogno così agognato, ricevendo gratificanti apprezzamenti dai suoi colleghi. Quei giorni, però, purtroppo furono troppo pochi. Già, perché Friedrich, abituato a sentirsi superiore alla moglie, non accettava di vederla così radiosa e brava nella sua professione.

Scappando dai suoi famigliari era convinta di esser riuscita a fuggire da una prigionia, ed invece ne era iniziata un’altra, ben peggiore. Proprio con lui, con quell’uomo tedesco, che sulla carta sarebbe dovuto essere più emancipato, ma che in realtà celava una chiusura tipica delle menti più arretrate. Non le lasciò nemmeno il tempo di godere di quell’esperienza che cominciò ad ostacolarla in ogni modo, ma lei non indietreggiò di un passo. Per la prima volta si sentiva soddisfatta di se stessa e per nessuno al mondo avrebbe rifiutato quell’improvvisa felicità. L’uomo che aveva sempre amato, però, si stava dimostrando il suo peggior nemico: si trasformò in un violento, prese a sminuirla e a denigrarla davanti a tutti. Il culmine si raggiunse quando lui la picchiò a sangue con l’oggetto a cui lei era più affezionata: il Carillon. Alla cruenta scena assistette, purtroppo, anche la loro bambina che, sconvolta, vide la sua adorata mamma agonizzante in una pozza di sangue, con il Carillon che ancora suonava, ma le cui note in quell’occasione assumevano dei risvolti macabri. Caterina era stata brutalmente uccisa perché aveva finalmente deciso di far emergere la sua vera essenza, questa era la sua “colpa”.

Friedrich finì in carcere e Angelika, incredibilmente traumatizzata, fu affidata ai nonni paterni, gli unici che potevano dedicarsi a lei. Loro, fortunatamente, erano di tutt’altra pasta rispetto al figlio: possedevano una cultura sconfinata ed un’umanità impareggiabile. Accolsero a braccia aperte la loro adorata nipotina e cercarono di riempirla di tutto il loro amore. Lei, pur non riprendendosi mai del tutto da quella straziante perdita, riuscì a crescere sana e forte e, appena adulta, decise di lottare contro ogni forma di crudeltà, fondando una delle prima associazioni antiviolenza che chiamò “Carillon”, in ricordo della sua dolcissima mamma che la coccolava con il sottofondo di quella magica melodica, che ancora aveva nelle orecchie e che la faceva sentire più vicina a lei. Carillon, non a caso aveva una pronuncia simile a “Carry on”, incitazione inglese a proseguire, a non mollare mai. Così lei fece. Per tutta la vita.

Alessandra Della Quercia