- Dettagli
- Pubblicato Lunedì, 06 Gennaio 2025
- Scritto da Alessandra Della Quercia
LO ZIO BUKOWSKIANO
L’ULTIMO RACCONTO SELEZIONATO DI
ALESSANDRA DELLA QUERCIA
Carissimi lettori e carissime lettrici,
di seguito condivido, con grande piacere, il mio racconto intitolato “Lo zio bukowskiano”, recentemente selezionato nell’ambito del Concorso Letterario Nazionale “Storie d’Amore 2024”.
Buona lettura!
“Elisabeth ignorava chi fossero i suoi genitori, non li aveva mai potuti conoscere dato che, dopo la sua nascita, l’affidarono ad uno zio poiché troppo indigenti per mantenerla. Erano una coppia ambiziosa e benestante ma malauguratamente, poco prima che lei venisse alla luce, furono investiti da una grave crisi economica che gli fece perdere tutti i loro averi e li fece migrare lontano alla ricerca di fortuna. Furono costretti, quindi, a rivolgersi, all’unico familiare che potesse prendersene cura per un po’ di tempo: lo zio Bruce.
Lui ne fu inorgoglito: occuparsi di quella splendida bimba sarebbe stato impegnativo, ma sicuramente costruttivo e gratificante. C’era un solo problema: lavorando come agente di commercio non poteva stare costantemente con la piccola creatura, aveva ampi ritagli per sé, ma non sufficienti da coprire tutta la giornata, quindi reclutò sua cugina Clarice che aveva studiato da tata e amava visceralmente i bambini che però, per motivi fisiologici, purtroppo non aveva potuto avere. I primi anni trascorsero così: Clarice e lo zio Bruce, visti dall’esterno, parevano i veri genitori della vispa e briosa Elisabeth, un peperino in gonnella che già iniziava a mostrare un caratterino niente male.
Al compimento del nono anno, oltre allo scombussolamento nell’aver appreso ormai da un pezzo di non aver mai visto la sua vera mamma e il suo vero papà, la vita la rimise alla prova: Clarice, che ormai era una figura femminile di riferimento per lei, avvertì forte la chiamata del Signore e decise di farsi suora, lasciando quindi, totalmente, allo zio Bruce l’onore e l’onere di farla crescere sana e forte. Zio Bruce era il classico tipo burbero e poco loquace, si rimpinzava di Mojito, di sigari e di romanzi del suo idolo Charles Bukowski, ove si tuffava con ingordigia per evadere dalla sua routine insipida e priva di scosse, sognando amori ardenti e tempestosi come quelli raccontati dal famoso scrittore. Zio Bruce aveva una vita sentimentale piuttosto ingarbugliata e complessa: era divorziato da oltre un decennio e non s’era più riaccompagnato con nessuna, un po’ perché era un single incallito e un po’ perché non aveva ancora incontrato quella Donna con la D maiuscola, che lo catturasse a tutti i livelli. Lui aveva un trascorso di avventuriero seriale, alternava periodi in cui restava chiuso in casa ad altri in cui collezionava flirts fugaci, con la speranza di colmare quel vuoto emozionale che tanto lo attanagliava, ma le sue relazioni duravano meno di un battito di ali di un pettirosso e finiva col sentirsi più solo e malinconico di prima. Già, perché quelle donne, a cui si approcciava, non gli lasciavano alcun segno e faceva in fretta a scordarsele, perdendo da subito l’interesse.
Zio Bruce era un uomo sagace, ironico, sensibile, intrigante, con uno charme d’altri tempi e una cordialità squisitamente deliziosa. Tutte queste eccezionali qualità, però, rimanevano serrate dentro di lui: la sua smodata paura di soffrire e il non trovare qualcuna che gli prendesse anima, mente e corpo lo avevano irrimediabilmente reso inaccessibile ed ermetico. All’esterno appariva quasi come una sfinge, col suo sguardo scrutava voracemente ogni dettaglio, cogliendone le sfumature più recondite. Di certo non era un uomo smanioso di mettersi in mostra: si rintanava nella sua coriacea e granitica corazza che nessuno riusciva a scalfire e a scardinare. Si immedesimava completamente nella massima di Bukowski che diceva: “Accontentarsi di chiunque pur di non restare soli. Se dovessi spiegare a parole l’infelicità, lo farei così”. Soltanto con sua nipote Elisabeth riusciva ad essere veramente se stesso e ad esprimere la sua immensa affettività, con lei era un fiume in piena di premure e di dolcezza, la ascoltava e consolava, offrendole il suo appoggio e dispensandole dritte preziose. Lei gli voleva un bene incommensurabile, era il suo faro, l’unica persona su cui sapeva di poter contare eternamente, dato che dei suoi genitori ormai s’erano perse le tracce e ancora non erano ritornati da quel famigerato viaggio in cui avrebbero tentato di dare una svolta alla loro esistenza e di guadagnare abbastanza soldi da garantire sicurezza a loro e alla loro figlia.
Quella meravigliosa ragazzina lo faceva sentire importante e adorato, ma ovviamente non poteva riempirgli quella voragine interiore che urlava e si dimenava alla ricerca di qualcosa di travolgente. Zio Bruce accompagnava ogni giorno Elisabeth a scuola e, nei momenti in cui era libero dal lavoro, girovagava annoiato lungo le strade della città, sedendosi sulle panchine a rimirare il paesaggio o camminando compulsivamente su e giù per i viottoli, con lo sguardo perso e meditabondo. Oramai non faceva distinzioni nemmeno tra le stagioni: per lui erano tutte uguali e ognuna valeva l’altra, come la gente in cui si imbatteva, che riteneva identica e stereotipata. Quell’estate, però, accadde un evento straordinario: i suoi occhi furono calamitati da una donna che non aveva mai visto prima. Ne rimase immediatamente e prepotentemente colpito, fisicamente ma anche emotivamente: avvertiva come un senso di vicinanza estrema, quasi di appartenenza, pur non conoscendola. Era quasi come se avesse già percepito in lei quel quid in più che non riscontrava nelle altre. Quella era, comunque, una sua impressione, non avendoci mai interloquito non poteva sapere se le sue sensazioni corrispondessero a verità o meno. La osservava incantato per ore, provando ad afferrare quanti più dettagli e segnali possibili, lei percepiva la sua presenza e non le dispiaceva, ma era titubante e restia nel rivolgergli la parola. Lui era esattamente come il suo idolo Bukowski, dai modi spicci e rudi, ma capace di sentimenti nobili e profondi. Di lui adorava lo stile letterario così pungente ed essenziale, privo di orpelli e fronzoli, con cui narrava le vicende impetuose che infarcivano i suoi scritti mai banali e talmente schietti da far impallidire i perbenisti più accaniti.
Come il grande, e troppo sottovalutato, Charles detestava le ipocrisie egli individui senza personalità che parevano essere fatti con lo stampino. Lui, se non gli andavi a genio, non ci metteva molto a intimarti di girare al largo. Zio Bruce era così: era raro sconvolgere la sua imperturbabilità, era raro impressionarlo. Ma quella donna, così misteriosa e solitaria, cominciava ad insinuarsi sempre di più nella sua mente, finché un dì l’avvicinò e, abbandonando la sua consueta scontrosità, iniziò a dialogarci e si stupì di quante cose avesse in comune con lei, una tra tutte la passione per Bukowski. Erano due anime in fiamme, che non si lasciavano avvicinare da chicchessia, e questo lo sorprese fortemente, lo notò persino sua nipote Elisabeth, che captava i suoi turbamenti e il suo frequente assentarsi con la testa in un’altra dimensione, quasi estraniandosi dalla realtà contingente. Zio Bruce fu tramortito da quella donna, che si chiamava Sandy e che, già soltanto fissando i suoi occhi e ascoltando le sue prime frasi, era riuscita a leggergli l’anima. Dal canto suo, Sandy si trovava dinanzi ad un uomo enigmatico per molti che con lei, però, esprimeva una parte totalmente inedita, traboccante di passionalità, tenerezza e acutezza. Si respirarono in ogni occasione fosse possibile, giungendo a livelli inimmaginabili di intesa e complicità.
Zio Bruce era estasiato, e al contempo spaventato, da quel tripudio di brividi che lo pervadevano al punto tale da non riuscire più a fare a meno di lei. Sandy, allora, le ricordò la significativa citazione di Bukowski: “Esprimete ciò che sentite, non abbiate paura delle conseguenze, perché il tempo non fa sconti a nessuno. Amate, odiate, buttatevi a capofitto in ogni cosa vi dia emozioni forti. Le persone sono lo spettacolo più bello al mondo. E non si paga il biglietto.” Bruce annuì e avvalorò il concetto, pensando che effettivamente la vita è talmente breve che è un errore fatale sciuparla per delle maledette paure, decise di assaporarla fino all’ultima goccia e concluse: “Questa vita probabilmente mi spezzerà il cuore, ma sono innamorato! Va così, rhum e pera, perché ci sono dei momenti forti che ti lasciano l'amaro in bocca, e altri talmente belli da farti dimenticare quel retrogusto sgradevole che ha la vita.”
Copyright Alessandra Della Quercia