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- Pubblicato Domenica, 15 Dicembre 2024
- Scritto da Nicola Cerquitelli
UN INQUIETANTE INTERROGATIVO
PERCHE’ LA DESTRA DI GOVERNO TEME IL SINDACATO?
La domanda da cui comincia la mia riflessione è questa: serve ancora nell’epoca dell’antipolitica riflettere sulle coordinate generali dell’azione politica oppure no? Tale interrogativo veniva riproposto costantemente da Alberto Asor Rosa nelle ultime fasi della sua vicenda biografica ed intellettuale. All’interno della nostra società “liquida”, i riferimenti sociali si perdono, i discorsi politici girano a vuoto, le strutture organizzative della vita sociale si dissolvono in una sorta di liquidità. A vantaggio, ovviamente, degli apparati di potere e di governo, poiché, se la società civile è liquefatta, mancano reali soggetti politici di contropotere.
Tale questione è decisiva in quanto aiuta a svelare perché tra i giornali di destra e tra molti esponenti dei partiti di governo si stia diffondendo un vero e proprio terrore per la presenza e l’attività del leader della CGIL Maurizio Landini.
Il timore è il ritorno del grande sindacato, che da metà degli anni Settanta fino alla fine degli anni Ottanta è stato protagonista di primissimo piano della politica italiana e ha imposto i suoi temi, le sue idee, le sue riforme, il suo modo di vedere i rapporti sociali e anche i rapporti umani. Come dicevamo, chi occupa posizioni di potere ha come preoccupazione principale l’azione politica di un soggetto che svela l’imbroglio dell’antipolitica e offre punti di riferimento solidi contro la liquidità dei rapporti sociali, così preziosa per le destre internazionali.
Viviamo in una società sempre più diseguale, in cui la condizione umana è dominata dalla precarietà, dal ricatto occupazionale, da basse retribuzioni. Tutto questo genera un sentimento di rabbia, insicurezza sociale, paura. Perciò, l’appello da parte di Maurizio Landini alla rivolta sociale è stato fondamentale, poiché costituisce una chiara presa di posizione contro modelli politici che, dall’Argentina all’Italia, attaccano sistematicamente la spesa pubblica (università, sanità, istruzione, pensioni) per generare insicurezza sociale, rabbia, paura.
Il ruolo del sindacato ha garantito storicamente quella solidità dei rapporti sociali che può essere costruita soltanto privilegiando il tema del lavoro come pilastro della nostra società. Come diceva Bruno Trentin, il lavoro è un diritto di libertà senza il quale la persona umana non si può realizzare completamente e autonomamente, non può attuare il proprio progetto di vita, non entra in relazione sociale con gli altri, e non comprende nemmeno se stessa. Le parole di Trentin fanno da contrappunto alla riflessione di Zygmunt Bauman, il quale descrive gli effetti perversi della società liquida, dove domina un individualismo sfrenato, tagli alla spesa pubblica per finanziare flat-tax, condoni fiscali, deregolamentazione delle politiche sul lavoro. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto la stabilità di un salario viene messa radicalmente in discussione. Nella società neoliberale, l’incertezza delle condizioni di vita è l’unica certezza.
Perché la destra al governo teme il sindacato? Perché quest’ultimo si ribella alla precarietà di vita generalizzata. Il sindacato, negli anni ’70, ha conquistato la legge delle “150 ore”, che ha permesso agli operai di usare 150 ore all’anno sottraendole al lavoro per dedicarsi all’istruzione e gli operai hanno così potuto dichiarare guerra all’analfabetismo. Oppure si possono citare le lotte per esportare la democrazia in fabbrica, trasformando i rapporti di potere al suo interno. Ed inoltre le grandi riforme politiche, ottenute dall’alleanza con il Pci, ma anche con il Psi e la sinistra democristiana, nei campi della sanità, psichiatria, affitti, patti agrari, aborto, stato di famiglia.
La destra è impegnata ad abbattere la grande stagione del riformismo, operazione già tentata, senza successo, da Berlusconi a Renzi. E il sindacato è l’ostacolo principale. Le oscillazioni del mercato e del salario per la destra devono essere l’unica certezza in uno stato di incertezza; proteggere i lavoratori da queste oscillazioni è invece per il sindacato l’unica certezza da opporre alla precarietà imposta dalla società neoliberale.
È evidente che l’insicurezza economica e la paura per un futuro che si staglia minaccioso all’orizzonte rappresentano i motivi principali che spiegano l’amplificarsi dell’astensionismo politico da parte della classe lavoratrice e, più in generale, delle persone di sinistra.
Il Partito Democratico deve considerarsi parte di questa “rivolta sociale” proclamata dalla CGIL, piuttosto che perdersi in dibattiti che girano a vuoto su ipotetiche alleanze con Matteo Renzi. È il sindacato la vera cinghia di trasmissione tra partito e masse popolari e non trasformisti politici come Renzi.
In uno scenario di incertezza generalizzata, in cui ciascuno si sente a rischio a causa di guerre che rischiano di assumere proporzioni mondali, il PD vota a favore per l’invio di armi all’Ucraina e per l’incremento della spesa bellica. Occorre a questo punto ricordare le parole di Pietro Ingrao il quale, nel contesto della guerra in Afghanistan nel 2002, cita l’art. 11 della Costituzione. Questo articolo afferma esplicitamente che l’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali. Soprattutto, l’art. 11 mette a tema questioni che riguardano la vita e la morte dei cittadini: “Se i politici non tutelano questo articolo”, spiega Ingrao, “mancano al loro compito: gravemente. Violano la legge”.
Nicola Cerquitelli