PIETRO INGRAO: UN SECOLO DI VITA VISSUTA ALL'INSEGNA DELLA LOTTA, DEGLI IDEALI E DEL CONFRONTO

I CENTO ANNI DI "UNO STRANO COMUNISTA"

Pietro Ingrao è stato uno “strano” comunista. La sua stranezza è stata quella di ritagliarsi un margine di autonomia intellettuale all’ interno di un partito, quello comunista, avvinghiato al noto centralismo democratico. Stranezza che lo avrebbe però reso uno dei dirigenti comunisti più amati. Insisto su questo punto, la “stranezza”, perché mi vorrei aggrappare a un suo distico che apre una riflessione molto profonda: “ l’ indicibile dei vinti, il dubbio dei vincitori”. Ecco: il dubbio. Parlare di dubbio all’ interno della filosofia comunista è davvero qualcosa di inusuale. Perché la verità, per gli ortodossi comunisti, è qualcosa di assoluto, eterno, immutabile. L’ esigenza del dubitare  ha aperto un nuovo orizzonte di pensiero all’ interno del P.C.I e grazie a ciò possiamo comprendere gli aspri dibattiti con l’ ala migliorista di Giorgio Amendola e in generale con l’ intera dirigenza  legata alla concezione leninista del partito, rivendicando il “ diritto al dissenso”. Pietro Ingrao compie 100 anni. Un secolo di vita vissuta all’ insegna della lotta, degli ideali e del confronto. Nato a Lenola, in provincia di Latina nel 1915, da una famiglia di proprietari terrieri di tradizione liberale, si trasferisce a Roma dove consegue la laurea in Giurisprudenza e in Lettere e Filosofia, avvicinandosi, nel frattempo, al mondo del cinema, al quale rimarrà sempre fortemente legato. La guerra in Spagna contro il generale Franco rappresenta per lui un momento fondamentale , decidendo di abbracciare gli ideali della lotta di classe e partecipando alle lotte antifasciste nella capitale. Nel 1947 Ingrao è nominato direttore dell’ Unità, incarico che manterrà fino al 1956, anno in cui entrerà a far parte della segreteria, dove resterà per dieci anni. Sono stati due i momenti più difficili della sua carriera. Nel 1956 , da direttore dell’ Unità, si trovò a prender posizione in favore dell’ azione delle truppe sovietiche in Ungheria, che repressero nel sangue le istanze  democratiche del leader comunista Nagy. Scelta di cui poi si pentì fortemente e infatti, sempre in ragione del metodo del “ dubbio” , si oppose alle politiche del Comintern e alla cultura dello stalinismo, di cui disse : ”è stato un errore così grande di cui è bene ribadirne il rigetto”.  L’ altro momento che lo ha scosso profondamente è stato quando , tra il 1968 e il 1969, i compagni del “ manifesto” che con lui avevano combattuto per la democrazia interna nel P.C.I., trovarono la forza per rompere con il filosovietismo, aprendo alle istanze dei movimenti giovanili. Quando i vertici deliberarono la cacciata di Luigi Pintor, Lucio Magri e Rossana Rossanda, Ingrao decise di obbedire alle direttive del partito. Fu una decisione sofferta per chi, come lui, ha sempre rivendicato il “ diritto al dissenso” e soprattutto per chi, come lui, è stato sempre aperto ai movimenti che negli anni settanta si stavano affermando nelle lotte operaie e studentesche, in favore di una democrazia di “ massa” , cioè di una socializzazione della politica e di una diffusione della partecipazione popolare come antidoto alla conservazione insita nelle istituzioni, nello stato e nei partiti. E sappiamo come il P.C.I  abbia sempre guardato di sbieco i movimenti alla sua sinistra. Nel 1976 diventa il primo comunista eletto Presidente della Camera, con grande senso delle istituzioni e disponibilità all’ ascolto delle posizioni differenti,  “ partecipando con ardore alla costruzione dello Stato democratico” . Mi corre l’ obbligo a questo punto mettere in risalto un fatto: nel febbraio il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recato a Mirafiori per rendere omaggio all’ amministratore delegato della Fiat e indicarlo al paese quale riferimento per le strategie da adottare anche nel rapporto con i lavoratori: “ sono gasatissimo !” ha dichiarato il premier al termine dell‘ incontro. Ho pensato immediatamente a Pietro Ingrao, il quale subito dopo l’ insediamento come Presidente della Camera ritenne opportuno far visita alle maestranze delle acciaierie di Terni. Ricorreva il trentennale dell’ entrata in vigore della nostra Costituzione e Ingrao si rivolse agli operai definendoli “ costituenti”. Li collocò solennemente e formalmente tra i padri costituenti. Che differenza di stile! Nel 1989,  si oppone alla svolta di Achille Occhetto che trasformerà il PCI in PDS, ma è contrario ad ogni ipotesi di scissione. Nel 1991 aderisce al PDS, come leader dell’area dei Comunisti Democratici. Abbandona il partito nel ’93, aderendo poi a Rifondazione comunista, cui rimarrà iscritto fino al 2008. Ingrao, tra le tante cose, è ricordato oggi come scrittore di poesie: ha saputo parlare di politica attraverso versi letterari, qualcosa di molto difficile da immaginare ai nostri tempi in cui il Politico mi fa pensare a quei reality show molto in voga tra i giovani di cui ora mi sfuggono i nomi. E, di certo, parlare di “ poesia civile” non può che farmi tornare in mente un altro grande intellettuale, Pierpaolo Pasolini. La radicalità del dubbio e il fascino della domanda lo ha portato negli ultimi anni a un  continuo confronto spirituale con la comunità cattolica, frequentando assiduamente il mondo monastico. Colgo nel movimentismo di oggi di Maurizio Landini un’ affinità culturale nella proposta di una democrazia di massa da parte di Ingrao, fondata sulla partecipazione popolare alla vita politica del Paese all’ esterno del partitismo. Sbaglia chi, anche all’ interno della CGIL, critica il leader della FIOM di fare politica. Basta semplicemente ricordare l’ intellettuale e sindacalista Bruno Trentin, considerato a suo tempo un “ingraiano” di ferro, e rileggere le sue tesi congressuali sul rapporto tra partiti e attività sindacale. Come ha scritto Luciana Castellina “ Pietro non usava il politichese perché ascoltava. Sembra banale, ma quasi nessuno ascolta. E siccome ascoltava è stato anche ascoltato da generazioni assai più giovani. Penso al Forum sociale europeo di Firenze nel 2002, per esempio, dove il suo discorso sulla pace conquistò ragazzi che non sapevano neppure chi fosse”. E’ del 1986 il libro che segna l’ esordio poetico di Pietro Ingrao : “ il dubbio dei vincitori”. Franco Fortini a mio parere ha saputo coglierne il significato più profondo: “ i vinti sono anche quella parte di noi medesimi che ha capitolato non di fronte al nemico ma nella rinuncia e nel compromesso; ed i vincitori sono anche quella parte di noi medesimi che non crede di dover provare rimorso per la propria  ( derisoria) vittoria”. Sapete cosa io intendo per derisoria vittoria? A quel popolo di “sinistra” che vota Renzi perché in grado di garantire una facile vittoria, seppure a costo di prostituire quegli ideali a cui io, per fortuna o purtroppo, voglio ancora credere.

Nicola Cerquitelli