SETTIMANA SANTA: RITI E TRADIZIONI ABRUZZESI

IL CANTO DEL GIOVEDI’ SANTO NEL CERRANO

Un netto recupero ha avuto nel comprensorio delle Terre del Cerrano il canto del Giovedì Santo. Narra la Passione di Gesù attraverso il canto, accompagnato dalla fisarmonica bitonale e dal triangolo (“acciarino”). I menestrelli non indossano abbigliamenti particolari, neppure vestiti eleganti, ma basta scorgere il gruppetto di giovani o uomini maturi con gli strumenti appena menzionati e il contenitore per le uova, e subito si capisce il rito che si sta per compiere.

In Abruzzo i canti della Passione sono diffusi a macchia di leopardo. Venivano eseguiti nei primi giorni della Settimana Santa o nel periodo di Passione, come avviene a Francavilla, nella “Domenica delle Croci”, quindici giorni prima di Pasqua, fino alla riforma liturgica la Domenica di Passione (la Ia, perché la IIa era quella delle Palme). Attualmente nel popolo è rimasta la vetusta locuzione, anche se liturgicamente si parla della Va domenica di Quaresima.

Un solo canto in questo periodo fa accezione, perché non parla di Passione del Signore, ma l’esecuzione è identica all’attività dei “passionari”: il rito dell’Annunziata evocante un fatto di sangue, a Villa Pasquini di Lanciano, una delle tante “ville” della città del Miracolo.  Viene eseguito per i casolari, la vigilia dell’Annunciazione del Signore, il 24 marzo. Prima della riforma liturgica la festa puntava i riflettori su Maria Santissima, infatti si chiamava Annunciazione di Maria e popolarmente l’Annunziata o Annunciata in alcuni luoghi. Con il Beato Paolo VI è diventata solennità dell’Annunciazione del Signore, nove mesi prima del Natale e per questo cade in Quaresima. Quando il 25 marzo è compreso nella Settimana Santa o in quella “in albis” (la settimana immediatamente seguente il giorno di Pasqua, così chiamata perché quelli che avevano ricevuto il Battesimo, partecipavano alle catechesi indossando la veste bianca), la solennità viene trasferita al lunedì dopo la IIa domenica di Pasqua, dal 2001 della Divina Misericordia, per volere di S. Giovanni Paolo II. E proprio nell’anno in cui moriva il Papa polacco, l’Annunciazione slittò al 4 aprile, mentre tutto il mondo accorreva nella Basilica di S. Pietro per la visita al defunto Pontefice.

La tradizione dell’Annunziata di Lanciano è stata indagata nell’ultimo quarto del XX secolo da Emiliano Giancristofaro, docente di storia e filosofia nei licei, antropologo e demologo, allievo di Alfonso Maria Di Nola. Frentano quanto il cognome, il docente ha fatto conoscere la tradizione attraverso “Rivista Abruzzese” di cui è stato per lunghi anni direttore prima di passare il timone alla figlia Lia, anche lei antropologa e demologa, e “Storie del silenzio: cronache di vita popolare abruzzese” sulle TV commerciali della regione, con la voce narrante di Elia Iezzi.

I “passionari” andavano per le case, portando un canto abbastanza breve, perché doveva essere ripetuto nella dimora successiva. Le uova hanno evidente significato pasquale, della vita che vince la morte con il tuorlo che esplode dal guscio. Ma anche un aspetto battesimale perché nella forma geometrica rappresenta l’unione tra cerchio (Dio, infinito) e triangolo (uomo, finito), stessa soluzione dell’ottagono, dove il quadrato è simbolo della creatura. Le uova erano quelle fresche, di gallina, prima dell’avvento di quelle di cioccolata (al latte o fondente), ritualmente aperte dopo la Veglia Pasquale nel momento conviviale, prima di coricarsi oppure al risveglio la mattina di Pasqua, con l’abbondante colazione, emotivamente per alcuni più coinvolgente della Veglia.

Il “complimento” poteva essere anche il “fiadone”, tipicamente chietino, una sorta di pizza a base di formaggio, portata in chiesa per la benedizione dei cibi e sovente collocata sugli altari laterali come base d’appoggio, nella Veglia Pasquale. In precedenza il rito era compiuto nel pomeriggio del Sabato Santo con un altare deputato a tale servizio. Quando i cibi, e in primis le uova, erano un bel mucchio, il sacerdote dava  la benedizione.

Un atriano, quasi centenario, raccontava alcuni anni fa che la piccola compagnia aveva fatto un bel mucchio di uova. Passando per i campi, il portatore del canestro inciampò e le uova si rovesciarono e si ruppero. Il campo si ritrovò la frittata e la delusione fu tanta.

Il canto della Passione (ad Arsita si parla di “orologio” e qui il collegamento con una pia devozione che associa un fatto della Passione del Signore ad ogni ora, dal Giovedì al Venerdì Santo), è molto diffuso nell’area a Sud del Vomano, dove addirittura si è trasformato in “sagra”, a Cellino, e la promozione turistica ha avuto il suo fondamentale ruolo. E’ un’area molto sensibile alle tradizioni popolari legate al ciclo dell’anno, sia per la collocazione topografica distante dalla costa con piccoli centri, all’ombra di Penne, dai tanti ricordi serafici, sia per la presenza di umanisti che ne hanno parlato o ne sono stati promotori direttamente o indirettamente, da Antonio Misantoni a P. Donatangelo Lupinetti, da Lamberto De Carolis a Giuseppino Mincione.

Le Terre del Cerrano, comprensorio nato nel 1998, ricavato sull’antica diocesi di Atri con l’aggiunta di Roseto, hanno rivitalizzato il canto del Giovedì Santo con il C.E.d’A. di Pineto, voluto e diretto da Carlo Di Silvestre, etnomusicologo, autore di interviste a cantori e cantrici, soprattutto in occasione del Grande Giubileo del 2000. Da Mutignano i giovani menestrelli si sono spostati in Atri, a ricordo degli antichi legami tra il borgo antico di Pineto e la città ducale, e l’arrivo non è registrato come invasione di campo. Ha suscitato tanta curiosità nei ragazzi che non avevano mai ascoltato quel canto e negli adulti la nostalgia del passato quando tra una pulizia di Pasqua e un lavoro in bottega, il discreto suono del triangolo annunciava la vicinanza della domenica più importante dell’anno.

SANTINO VERNA