COERENZA E MORALITA' DI UN GRANDE UOMO DI STATO

SANDRO PERTINI, IL PRESIDENTE PIU' AMATO DAGLI ITALIANI

 

Coerenza e correttezza morale. Due qualità che è ben difficile trovare tra la gente comune con cui siamo in stretto contatto nella vita di tutti i giorni. Figuriamoci poi tra i politici. Ma ce ne è uno in particolare che ha fatto della coerenza e della moralità due principi di vita inalienabili. Sandro Pertini. Che a venticinque anni dalla sua morte rimane il Presidente più amato dagli italiani. E sfido chiunque a sostenere il contrario. Egli è stato solo un uomo comune, come era solito ripetere, la cui vita rappresenta di sicuro un lascito per le nuove generazioni. Sandro Pertini nacque a San Giovanni di Stella, in Liguria, nel 1896. Si distinse e riportò diversi meriti nella prima guerra mondiale. Nel 1920 si iscrisse al Partito Socialista Italiano e dopo il Congresso di Livorno del 1921 aderì alla corrente riformista di Filippo Turati. Si laureò poi in Giurisprudenza e in Scienze sociali. Prese parte ai movimenti antifascisti e , in seguito alle persecuzione degli squadristi e alle leggi fascistissime del 1926, dovette fuggire in esilio a Parigi insieme ad altri esponenti del suo partito. A Nizza intensificò la propaganda contro il regime, diventando un esponente di spicco tra gli esiliati. Organizzò il suo ritorno in patria per attentare alla vita di Mussolini, ma riconosciuto per caso a Pisa da un esponente fascista di Savona, fu arrestato. Fu prima internato nell’ isola di Santo Stefano ma, ammalatosi di tubercolosi , fu trasferito poi a Turi, dove conobbe Antonio Gramsci con il quale strinse un rapporto di amicizia fraterna. Nel frattempo le sue condizioni di salute peggioravano tanto che la madre Maria, con la quale era molto legato, presentò domanda di grazia al duce. Ma Pertini si dissociò da questo atto , con parole dure nei confronti della madre stessa. Dopo essere tornato in libertà il 13 agosto 1943, partecipò alla battaglia di Porta San Paolo contro i tedeschi e arrestato dalle SS insieme a Giuseppe Saragat riuscì a fuggire grazie ad un’ azione dei partigiani. Negli anni di costruzione dell’ Italia democratica si caratterizzò per la salvaguardia dell’ unità d’ azione dei socialisti e dell’ intera sinistra; si battè molto contro la scissione di Palazzo Barberini del 1947 dove Saragat diede vita al PSDI. Soffrì molto per non essere riuscito ad evitare questa frattura. Non partecipò mai a correnti organizzate all’ interno del PSI e Riccardo Lombardi, leader della sinistra socialista, lo definì in modo affettuoso “ cuor di leone ma cervello di gallina”. Cuor di leone: in quanto sempre pronto a battersi in prima fila, come si evince dalla sua storia partigiana. Cervello di gallina: perché appunto sempre avulso dalle lotte interne al suo partito. Durante il mandato di presidente della Camera si rifiutò di firmare il decreto di aumento dell’ indennità dei deputati perché “in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall'inflazione... voi date quest'esempio d'insensibilità? Io deploro l'iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un'ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera”. Nel 1978 fu eletto Presidente della Repubblica in un quadro di grande marasma politico. Craxi, dopo la svolta del Midas del 1976, in cui impose un accordo forte al suo partito con la Democrazia Cristiana, che diede origine in seguito al famoso C A F ( Craxi, Andreotti, Forlani), non vedeva di buon occhio la candidatura di Pertini, ritenuto un amico dei comunisti. Ma, dopo il quindicesimo scrutinio, il PCI lasciò intendere di volere la candidatura di Pertini, di fronte alla quale il PSI di Craxi non poteva tirarsi indietro. Gli anni al Colle furono segnati da un rigoroso rispetto della moralità. Emblematico un episodio. Pertini, trovatosi in visita ufficiale a Savona, si rifiutò di stringere la mano al sindaco socialista Teardo in quanto inquisito per corruzione e in seguito condannato. Denunciò i ritardi e l’ inefficienza degli apparati statali durante i soccorsi nel terremoto dell’ Irpinia, sollevando il Prefetto dal proprio incarico.  Nel 1979 le Brigate Rosse uccisero l’ operaio e sindacalista della CGIL    Guido Rossa. Ai funerali di Stato, Pertini condannò fermamente il terrorismo brigatista, ricordando che le uniche brigate rosse con le quali aveva combattuto erano i partigiani della Resistenza. Si adoperò tenacemente anche nella lotta alla mafia: nel 1983 sciolse il consiglio comunale di Limbadi, in Calabria, per infiltrazione mafiosa. E chi non ricorda la commozione per la morte di Enrico Berlinguer, le  parole che ripeteva in continuazione a Padova davanti al feretro : "Lo porto via con me a Roma. Lo porto via, come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta", indicano che la politica era qualcos’ altro che una semplice  questione di poltrone e vitalizi. Come avrebbe reagito Pertini di fronte allo scandalo di Tangentopoli? Della scesa in campo di Berlusconi, del  suo dileggio  del Parlamento e delle Istituzioni? Delle vicende di “ mafia capitale” ? Ma soprattutto non posso non chiedermi cosa mai avrebbe  pensato il presidente Pertini della cancellazione dell’ art. 18 e dei diritti dei lavoratori? A me non rimane che aggrapparmi al suo discorso pronunciato al cospetto dei lavoratori dell’ Italsider : « Se non vuoi mai smarrire la strada giusta resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta”.

P.S. Non so se provare più rabbia o indignazione per quei personaggi come Cicchitto o Sacconi che hanno esultato alla cancellazione dello Statuto dei lavoratori. Di una cosa sono convinto: che definirli socialisti è una bestemmia.

Nicola Cerquitelli