LE NOSTRE BELLE TRADIZIONI

LA FESTA DI S. MARTINO AD ATRI

Venerato in tutto il mondo cattolico, S. Martino è festeggiato l’11 novembre. Nacque in Pannonia (Ungheria) intorno al 316, dopo una lunga vita militare, durante la quale avvenne l’episodio del mantello diviso a metà per coprire un povero infreddolito, divenne monaco e per dovere accettò l’episcopato. Fu Vescovo di Tours e sua premura fu l’evangelizzazione delle campagne, sradicando il paganesimo. Sorella morte lo colse l’8 novembre 397 e le esequie furono celebrate tre giorni dopo. Per questo motivo nel calendario la festa divenne l’11 novembre.

In Abruzzo denomina due paesi: Fara S. Martino e S. Martino sulla Marruccina. Nel primo caso specifica una delle diverse “fare” italiane, ovvero comunità longobarde, dove nell’VIII sec. fu eretta la badia di S. Martino in Valle, ai piedi della Montagna Madre. Secondo la leggenda il Vescovo di Tours sarebbe giunto a Fara, e con i gomiti avrebbe allargato il varco, nei pressi dell’abbazia.

Ad Atri il Santo di Tours è eponimo della Chiesa, con annesso romitorio e attiguo camposanto (uno dei quattro cimiteri presenti nel territorio comunale), risalente alla fine dell’VIII sec. e legata all’abbazia di Farfa. La Chiesa di S. Martino è di nuovo menzionata nel XIV sec., mentre l’edificio sacro attuale, con la bianca facciata e campanile a vela, risale alla fine del XIX sec. L’interno fu recentemente restaurato sotto il parrocato di Don Giovanni D’Onofrio, Arciprete della Cattedrale, per interessamento del Prof. Avv. Mattia Persiani, docente di Diritto del Lavoro a Venezia e a Roma.

La festa di S. Martino, legata alla spillatura del vino nuovo, ad Atri e dintorni è associata alla leggenda dell’itineranza del Vescovo di Tours, come ha sottolineato Luigi Braccili. Un giorno S. Martino fu inseguito dai briganti e andò a rifugiarsi in una cantina, dove trovò una botte senza vino, adatta per proteggerlo dall’agguato. Le altre botti miracolosamente si riempirono e i briganti bevvero tanto da cadere addormentati sul pavimento, così da lasciar libero il Santo.

S. Martino compare nei componimenti poetici di Antonino Anello, “La vendette de lu vine” e “La sturnellate de lu vine”. Quest’ultima è cantata, mentre la prima è la storia di un uomo che bevve tanto vino da vomitarlo, così da restituire il frutto della vite, alla terra. Nell’opera di Antonio Di Jorio, è presente nella canzonetta “Paese mè”, forse la più celebre del Mastro di Atessa. Inserita, e non poteva essere altrimenti, nel repertorio dell’omonimo coro folkloristico, diretto dal M° Cav. Prof. Concezio Leonzi, direttore dell’Archivio-Museo. Antonio Di Jorio, lontano dall’Abruzzo, ripensa alla natia Atessa, ma ancora di più ad Atri, e alla campana di S. Martino. L’esile sacro bronzo del campanile a vela sfigura al cospetto delle famose campane della Cattedrale, ma anche davanti alle altre delle Chiese “intra moenia”. Per la verità, S. Martino è più venerato ad Atessa, perché per propiziare la pioggia, nel mese di maggio, gli atessani compiono ogni anno, un pellegrinaggio a piedi, verso Fara, con partenza dalla Chiesa di S. Leucio. La tradizione si affievolì nel corso dei decenni, fu adattata alle esigenze dei partecipanti, con una parte compiuta in pullmann, ma resiste tuttora al logorio del tempo.

Ad Atri, S. Martino, nell’omonima contrada, era festeggiato in maggio, perché periodo più favorevole per programma esterno e processione con la statua “vestita” custodita nella Chiesa. Ma il Vescovo di Tours rimane legato al giorno novembrino, soprattutto per la metereognostica: “San Martino la neve tra gli spini/ San Martinello, la neve per terra”, indicando l’ottava, ripetizione in forma minore della solennità, con esposizione del simulacro in posizione stante del Santo. E anche, per l’estate di S. Martino, ovvero alcuni giorni di bel tempo, prima dell’autunno inoltrato: “L’estate di San Martino, dura tre giorni e un pochino” (per esigenze di rima) e “L’estate di San Martino, dura dalla sera alla mattina”. La festa di S. Martino, in passato, gareggiava con quelle di S. Giovanni e di S. Giuseppe, tanto da chiudere e aprire un quadrimestre, dove erano inserite le celebrazioni del solstizio d’inverno.

SANTINO VERNA