I GIOVANI RISCOPRONO LA TRADIZIONE

LU SANT’ANTONIE A MUTIGNANO 

Si è svolto il 10 gennaio, nel borgo antico di Mutignano, comune della provincia di Teramo trasferito nel 1929 a Pineto, tuttora sede del municipio e capoluogo comunale, la IVa edizione del Sant’Antonio, chiamato “Sant’Antonie de Jennare”, per distinguerlo da S. Antonio di Padova, la cui festa cade il 13 giugno. La grande importanza calendariale per il fondatore del monachismo e padre di tutti i monaci, ha creato il binomio S. Antonio abate-primo mese dell’anno solare.

Un tempo in Abruzzo il solstizio invernale era caratterizzato da tre vigilie: Capodanno, Epifania, S. Antonio Abate. Nel periodo delle ferie del contadino, quando non c’erano grossi lavori in campagna, la sera della vigilia era colorata da squadre di cantori e suonatori recanti l’augurio di buon Capodanno, buona Pasquetta (la prima Pasqua dell’anno, dove peraltro vengono annunciate le feste mobili dell’anno corrente, dopo il Vangelo dal diacono), buona festa di S. Antonio Abate. Non occorrevano particolari costumi o sofisticati strumenti di musica. Si andava nelle case delle famiglie benestanti e con una semplice filastrocca si facevano gli auguri ai presenti in cambio di doni in natura.

S. Antonio Abate è venerato in Abruzzo, in quanto protettore degli animali della campagna. Il lungo eremitaggio nella Tebaide gli fece riacquistare l’innocenza di Adamo, prima del peccato, quando viveva pacificamente con le fiere. E anche Gesù quando era nel deserto, dopo il Battesimo nel Giordano (liturgicamente la domenica che segue l’Epifania), viveva con gli animali feroci. Dai felini di grande taglia il passaggio a buoi, maiali, capre e pecore fu breve. A S. Antonio fu abbinato il maiale ai piedi, simbolo del demonio sconfitto o semplicemente dei vizi che domò con la preghiera e l’ascesi.

La kermesse di Mutignano è stata organizzata, in sinergia con altre associazioni che si occupano di tradizioni popolari, musicali, coreografiche e teatrali, dalla Compagnia di Canto Popolare “Il Passagallo”, nato a Pineto nel 1998, per iniziativa dell’etnomusicologo pinetese Carlo Di Silvestre, fondatore peraltro del Centro di Etnomusicologia, presso Villa Filiani, nel cuore del comprensorio delle Terre del Cerrano. Lo stabile, abitazione estiva, di svago e di controllo dei poderi dell’omonima famiglia atriana, fu all’origine del comune di Pineto, tranquilla cittadina balneare, adatta al turismo estivo soprattutto delle famiglie, per la salubre pineta. Il prof. Di Silvestre nel 1984 aveva cominciato il lavoro etnomusicologico in Abruzzo, sulla scia del suo maestro Roberto Leydi, il cui cognome segnala in qualche modo l’area di provenienza: Ivrea.

La festa si è tenuta in modo significativo il 10 gennaio, quando in tutto l’Abruzzo cominciava l’atmosfera dei riti di S. Antonio Abate. La ricorrenza riapriva una triade di feste liturgiche e popolari, dopo il Natale: S. Sebastiano e S. Biagio, gli altri testimoni della fede. Il primo martire protettore contro la peste, venerato soprattutto ad Ortona e Vasto, il secondo patrono dei cardatori per via del pettine della tortura, la cui venerazione riguarda, a macchia di leopardo, un po’ tutta la regione.

Grosso modo fino agli anni del miracolo economico la rappresentazione musicata del S. Antonio, trasformata in melodramma con orpelli teatrali e velleità virtuosistiche, si teneva in ogni paese d’Abruzzo. Principali interpreti S. Antonio, impersonato da un uomo alto e imponente, vestito sovente da francescano (la figura archetipale del religioso), con barba di stoppa e bastone alla cui estremità è fissato il campanello, il diavolo, ruolo proprio dei ragazzini, meno importante, l’angelo (identificato con S. Michele), gli eremiti, altri diavoletti e un uomo travestito da donna come è cantato in alcuni luoghi: “Sant’Antonio alla cancella/ ha incontrato una giovane bella/ quello era il demonio/ che tentava Sant’Antonio”. La squadra degli attori veniva completata dai suonatori, senza vestiti particolari, per l’accompagnamento, affidato per lo più alla fisarmonica, sorella minore del pianoforte.

Quando rappresentare il S. Antonio non fu più un’esigenza, per il reperimento di materiale suino, dall’itineranza nelle case e nei casolari, si passò a ristoranti, circoli ricreativi, sale parrocchiali, studi di televisioni private (cominciavano le TV commerciali nella regione e gli spazi dedicati alle tradizioni dell’anno erano abbastanza ampi, sull’esempio di mamma RAI), con esecuzione più lunga e più curata e il travestimento in un attiguo locale prima della rappresentazione.

Intorno al 2000 il S. Antonio ha avuto un netto recupero in Abruzzo. Lo studio dell’antropologia musicale ha dato un notevole contributo alla tradizione tipica di questa regione. Il borgo di Mutignano ha ospitato l’accensione del fuoco (la vampa accompagna diverse raffigurazioni del Santo, simbolo del demonio sconfitto), la benedizione degli animali, la rappresentazione per le vie e la consumazione dei cibi legati al solstizio d’inverno.

I giovani stanno riscoprendo con entusiasmo la tradizione, anche grazie alle facoltà di lettere, scienze sociali e geologia dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, con il sostegno dei docenti. All’ombra dell’Ateneo è nato il CATA (Centro Antropologico Territoriale d’Abruzzo), ricco di quel brioche animava negli anni ’70 e ’80 del secolo breve i cori folkloristici presenti sotto ogni campanile, ma con proposte più arcadico-bucoliche che squisitiamente etnodemologiche.

I canti itineranti non finiscono con il S. Antonio, perché tra non molto (e quest’anno Pasqua cade il 5 aprile, il giorno di S. Vincenzo), risuoneranno nei nostri borghi “Lu Giuviddì Sante” che tra i menestrelli nella Villa Bozza degli anni ’30 ebbe Giuseppino Mincione, insigne latinista autore anch’egli di una rappresentazione del S. Antonio Abate con la musica del suo amico Antonio Piovano, già docente al Conservatorio di Pescara, entrambi cultori delle tradizioni di quel popolo che Emiliano Giancristofaro ha definito in dodici lettere “meraviglioso”.

SANTINO VERNA