PER NON DIMENTICARE: GLI EVENTI CHE CENTO ANNI FA SCONVOLSERO L'EUROPA

LA GUERRA DEGLI ALTRI

La pace non è assenza di guerra: è virtù, stato d’animo,
disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia. 

Baruch Spinoza, Trattato teleologico-politico 

 

Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.
(Dove fanno deserto lo chiamano pace)

Tacito, Agricola

PRIMA PARTE: MOTIVI DI UN MASSACRO

1914-2014. Cento anni fa l’Europa andava a fuoco. La follia bellicistica delle grandi potenze scatenava una delle più funeste carneficine nella storia umana: nove milioni e mezzo di morti e sei milioni di mutilati sui fronti, altri dieci tra le popolazioni civili per invasioni, epidemie, carestie (1). La scintilla si sprigiona il 28 giugno 1914 a Sarajevo, capitale della Bosnia, dove lo studente irredentista Gavrillo Princip, con due colpi di pistola, uccide l’arciduca Francesco Ferdinando D’Asburgo erede al trono d’Austria e la consorte Sofia. L’attentato terroristico, di per sé non ha il potere di provocare conflitti. Tutt’al più desta trasporti emotivi senza diventare sbocco obbligato a giganteschi massacri. Viceversa, sono i governanti e i ceti dell’industria pesante a cercare ogni pretesto per legittimare il brutale militarismo e gli enormi interessi in esso celati. In tale prospettiva, la storia offre un vasto repertorio di exempla, ma la genesi della I guerra mondiale resta tra le più istruttive ed emblematiche. Torniamo ai fatti. Nella primavera del 1914, l’Europa appare lacerata da rivalità insormontabili (Francia contro Germania, Austria contro Russia, Germania contro Inghilterra). Sono in ballo il controllo dei Balcani e degli Stretti (Bosforo e Dardanelli), la spartizione del caduto impero ottomano, l’espansione colonialista e l’accaparramento di materie prime nell’Africa nera. Contemporaneamente, all’interno di ogni singolo Paese, i fabbricanti d’armi ed esplosivi producono freneticamente nuovi mezzi di sterminio (gas tossici, dinamite, mezzi corazzati, sottomarini, aerei da caccia, mitragliatrici automatiche pesanti “Maxim”, etc.). Per i potentissimi gruppi meccanici e siderurgici, la febbrile corsa agli armamenti è manna, un affare economico straordinario (2). Nonostante appaiano chiare le cause della gigantesca catastrofe, la storiografia del XX secolo (oltre 50.000 titoli) assume, nella maggior parte, un carattere propagandistico, sciovinistico, ambiguamente apologetico. Ogni nazione belligerante colpevolizza l’altra, il proprio “nemico”. Perfino studiosi di rango (B. Croce, H.A.L. Fisher, L. Hart, G. Ritter, D.M. Smith, A.J.P. Taylor e altri), pur esaminando con precisione la sequenza degli avvenimenti e il clima politico rovente, non offrono una riflessione storica approfondita sulle radici del fenomeno. Scelgono, come punto di vista, “gli interessi generali della nazione” facendo di tutt’erba un fascio, come se il destino di un morto di fame sia assimilabile a quello di un magnate. Prendiamo la famosa Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di B. Croce. D’ispirazione idealistica, il lavoro non si discosta dalle versioni ufficiali sulle ragioni accidentali e occasionali della guerra. La responsabilità vera è attribuita a “una politica avulsa da ogni concetto etico” (3). D.M. Smith naviga lungo la stessa rotta storiografica. Egli ritiene che l’intervento dell’Italia, “uno dei maggiori disastri della sua storia”, sia stato determinato da “un complotto del re, Salandra e Sonnino sfruttando in maniera del tutto irresponsabile il patriottismo degli italiani”(4). Insomma, la struttura del sistema, gli interessi economici antagonisti e lo sviluppo di trust vengono sottovalutati o ignorati. Eppure, nei congressi della II Internazionale socialista (Stoccarda 1907, Copenaghen 1910, Basilea 1912) non erano mancate ferme denunce contro le minacce di un conflitto imminente e totale per ragioni economiche. Nel 1916, Lenin pubblica il celebre saggio: L’imperialismo fase suprema del capitalismo. Egli sviluppa organicamente le analisi formulate dall’inglese J. A. Hobson e dall’austriaco R. Hilferding. In sintesi: la guerra in atto, lungi dall’essere accidentale, è legata alla concentrazione di ricchezze e al suo processo di espansione illimitata e violenta. Finanza e industria, una volta fuse, assumono un peso decisivo sui governi. Anzi, si presentano come patrimonio nazionale, per tutti vantaggioso. Se però manca l’accordo sulla spartizione dei mercati e dei pingui bottini, i trust concorrenti trascinano cinicamente le rispettive nazioni in una “guerra interimperialistica di conquista, rapina e brigantaggio” (5). Decisamente disgustoso è il tripudio di molti intellettuali per il conflitto. Ricordiamone alcuni. In Francia Henri Massis e Alfred de Tarde scrivono: “ Guerra! La parola ha ripreso un improvviso prestigio. E’ una parola giovane, nuova,coperta da seduzione…. E’ un ideale di energia e di forza” (6). In Germania, il grande sociologo M. Weber (più tardi severo autocritico), nell’agosto del 1914, definisce “grande e meravigliosa” la dichiarazione di guerra (7) mentre lo storico F. Meineche confessa “l’ebrezza indimenticabile” provata all’annuncio. In Italia allignano i corifei più esagitati del nazionalismo oltranzista e della follia bellica: Corradini, Marinetti, Papini, Prezzolini, Soffici e D’Annunzio. Quest’ultimo, “esule” in Francia per insolvenze, torna improvvisamente e giovedì, 13 maggio 1915, parla a Roma da un balcone dell’Hotel Regina. Tribuno fuori senno, accusa il neutralista Giolitti di alto tradimento e, in nome della patria, istiga ascoltatori stralunati alla violenza contro “ruffiani e frodatori” (leggasi parlamentari che non la pensano come lui) (8). I redattori della rivista “Lacerba” non sono da meno in farneticazioni. Definiscono Giolitti “la più nota e potente canaglia di Montecitorio e urlano furenti “o la guerra ai tedeschi o la rivoluzione e la guerra civile” (9). Anche Papini non scherza. Inneggia alla “forza creativa” della violenza e alla “bella innaffiatura di sangue per l’arsura di agosto” (10). Monta l’onda interventista. Si moltiplicano le manifestazioni di piazza organizzate da una ciurma di intellettuali rampanti. E’ violenta caccia ai “disfattisti” (11). I cattolici sono divisi (12) nonostante l’atteggiamento del Vaticano, incline a soluzioni diplomatiche. Inizialmente, i socialisti italiani rimangono fedeli agli ideali dell’internazionalismo e della pace. Poi, crollata la II Internazionale (1889-1914) per la defezione dei partiti fratelli (di Francia, Belgio, Germania, Austria) e incapaci di tradurre l’incandescente verbalismo rivoluzionario in azioni incisive, abbandonano le masse popolari alla fatalità degli eventi e, in nome della concordia nazionale, riparano dietro l’irresoluta, ambigua formula “né aderire, né sabotare” (13). Per legittimare una guerra non basta l’esaltazione estetica e mitica di forza, coraggio, bellezza. Deve apparire anche giusta. Si invoca così il riscatto delle terre italiane (Trento, Trieste, Istria e Dalmazia settentrionale) in possesso dell’Austria. Lo impongono gli ideali risorgimentali e il “compimento dell’unità italiana”. Poco importa se l’ambasciatore d’Austria in Italia, barone Karl Macchio, garantisce la restituzione di tutti i “territori italofoni” in cambio della neutralità (14). Il torbido Sonnino, ministro degli Esteri nel gabinetto Salandra, boicotta la trattativa, aderisce al patto di Londra (26 aprile 1915), favorisce l’entrata in guerra contro Austria e Germania. I ceti medi chiudono gli occhi e intonano cori guerreschi. Solo le classi lavoratrici prestano poco ascolto alla mistificatoria euforia patriottica. Specie i contadini, poveri e analfabeti, sono letteralmente strappati al lavoro dei campi e agli affetti familiari per essere trascinati, ignari, nel vortice degli scontri. Male armati, denutriti e scarsamente equipaggiati non vedono niente di glorioso e di bello nella vita di trincea ma fango, sofferenza, atrocità, paura, sangue e rovina. Essi vogliono “tornare a casa”. Avvertono di non avere colpe e responsabilità per quanto accade. La guerra è contraria ai loro interessi. Riguarda altri e i loro malaffari.

Aristide Vecchioni

NOTE:

1)      Cfr. Jean Pierre Fléchard, La grande guerra, in Il libro nero del capitalismo, Marco Tropea editore, 1999, p.130;

2)      tra le più importanti fabbriche d’armi ed esplosivi, interessate al conflitto, ricordiamo: Krupp & Stumm, Mauser, Rheiner-Siegener, Köln Hotteweiler (Germania); Scheneider – Le Creuset, Società della dinamite (Francia); Sckoda & Pilsen (Austria); Putilov (Russia); Trust Nobel (Inghilterra); Düren (Belgio); Acciaierie Terni e Impianti Ansaldo (Italia). Secondo i dati raccolti dallo storico R. Paci, gli impianti Ansaldo, espressamente sorti per la “patria in armi” fornirono: 10.900 cannoni, 3.800 aerei, 10 milioni di proiettili da artiglieria pesante e 95 navi (v. R. Paci, Le trasformazioni e innovazioni nella struttura economica italiana in AA. VV. Il trauma dell’intervento: 1914-1919, Valecchi, Firenze, 1968;   

3)      B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, ed. ec., 1967, p.264;

4)      D.M. Smith, Storia d’Italia 1861/1958, Laterza, 1960, p.488; 

5)      Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, 1965, pp.637-9;

6)      cfr. Angelo d’Orsi, I chierici alla guerra, Bollati Boringhieri, 2005, p.21;

7)      ivi, p.27;

8)      G. D’Annunzio, Per la grande Italia, Milano, 1920;

9)      V. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. IV “Lacerba” – “La Voce” (1914-1916), a cura di Gianni Scalia, Einaudi, 1961, p.387;

10)  ivi, Papini, Amiamo la guerra, 1 ottobre 1914, p.329;

11)  il clima di violenza è presente anche in altri paesi europei. In Francia viene assassinato Jean Jaurès (31 luglio 1914), leader socialista e irriducibile antimilitarista;

12)   i cattolici, all’epoca, non disponevano di una rappresentanza politica nazionale e unitaria. Il partito Popolare nascerà nel 1919. Le innumerevoli organizzazioni cattoliche avevano posizioni difformi e contrastanti. Le stesse gerarchie ecclesiastiche erano divise sull’argomento. Solo il 1 agosto 1917, Benedetto XV, con la “Nota di pace” invocò la fine dell “inutile strage” e la “pace duratura con disarmo”;

13)  la formula è attribuita a Costantino Làzzari, segretario del P.S.I. dal 1912 al 1919;

14)  Karl Macchio (1859-1945), diplomatico austriaco di origine rumena, venne appositamente a Roma per trattare la neutralità italiana. Sulla sua missione pubblicò un libro nel 1931.