PALAZZO TINI

L'ARCIDIACONO RAFFAELE TINI GLORIA DELLA FAMIGLIA E FONDATORE DEL MUSEO CAPITOLARE

Nella rubrica telefonica di Atri compare in Viale A. Moro la dicitura pal. Tini. Chi ha molti anni o conosce la storia della città degli Acquaviva pensa subito all’omonima famiglia atriana. Si tratta invece di un moderno stabile, recensito come “palazzina Tini”, subito dopo la rotatoria, scendendo dall’ospedale, andando verso Silvi, uno dei tanti edifici della periferia Sud di Atri. La presenza di una superba quercia ha ribattezzato la piccola area “lu cerquene”.

Palazzo Tini è invece in Piazza duchi d’Acquaviva. A destra confina con lo stabile comunale dell’ex-pretura, a sinistra, attraverso il portico, con Palazzo Pomenti-Sorricchio. Il primo cognome ha denominato il portico e anche popolarmente è detto “lu spurt de Pumente”.

I Tini, secondo quanto raccontava lo storico locale Loreto Tini (1911-2005), non avevano originariamente questo cognome, ma ne avevano uno più lungo, tipo Modestini. Accorciamenti e allungamenti non erano infrequenti nei tempi antichi, quando la rivoluzione informatica non era prevista neppure minimamente. Era una famiglia benestante di Atri, la cui dimora originaria era in Via Picena, vicino alla casa di Don Luigi Illuminati. Pertanto erano contradaioli di Capo d’Atri.

Palazzo Tini si trova nel rione S. Nicola, pur appartenendo al piviere di S. Maria, secondo la divisione di Piazza duchi d’Acquaviva. Andando verso S. Nicola, tutta la parte sinistra appartiene alla Cattedrale, mentre la parte destra solo per metà è del Duomo. Per questo Portico Pomenti si reputa idealmente di Capo d’Atri, rione un tempo pieno di botteghe artigiane.

Il palazzo aveva una cappella privata, dovuta non tanto allo status di casa gentilizia, ma alla presenza dell’Arcidiacono Raffaele Tini, fondatore del Museo Capitolare. La sua fu un’intuizione molto importante per la città dei calanchi perché nacque la coscienza museale. Dal Capitolare nacque l’Archeologico e via via sono nati gli altri tre musei. Si ipotizzò l’idea del Museo della Grafica d’Autore, con la donazione di Alfredo Paglione e quella del Museo Scenografico con le scene del Teatro Comunale.

Don Raffaele era nato in Atri nel 1875 e si era formato nei Seminari locali. Ordinato sacerdote fu Canonico della Cattedrale e, subentrando a Don Girolamo De Marco, già Rettore del Seminario, divenne Arcidiacono del Capitolo e Delegato Vescovile, prima dignità capitolare. Era cappellano delle clarisse e si adoperò per il riconoscimento giuridico del monastero, avvenuto il 19 novembre 1937, festa di S. Elisabetta d’Ungheria, patrona del Terz’Ordine francescano e, ironia della sorte, più importante nel medesimo del corrispettivo maschile, S. Luigi (Ludovico) di Francia. Nel monastero vi era una nipote, Suor Marcellina Martella (1911-1996) e tumulata nella cappella delle clarisse al camposanto di Atri.

Fu uno degli ultimi sacerdoti di Atri ad officiare nella chiesa di S. Pietro, dove ricevette la Prima Comunione la Prof.ssa Maria Grazia Palma Antonelli, docente di latino e greco. Orfana del papà, volle avere sul genuflessorio la veste del genitore, nel giorno in cui si accostò per la prima volta all’Eucarestia. Don Raffaele passava l’estate a Silvi, mentre alcuni parenti facevano l’inverso: a Silvi in inverno, ad Atri l’estate, per respirare la salubre aria del paese dei calanchi. A Silvi l’Arcidiacono teneva lezioni di materie umanistiche agli studenti, tra i quali il nipote Loreto. E nella cittadina balneare incontrò sorella morte nel 1951, mentre gli era subentrato Mons. Aurelio Tracanna (1906-1967), primo Vicario-Generale di Atri dopo l’unione con Teramo.

All’Arcidiacono Tini è stata intitolata nel 1996 la piazzetta dell’ufficio postale dov’era la chiesa di S. Pietro, in quanto vicina al Museo Capitolare. In quegli anni ci fu pure la proposta di intitolargli quest’ultimo, mentre l’Archeologico avrebbe avuto l’abbinamento a Felice Barnabei. Ma poi si preferì lasciare le targhe come stavano, come pure il Teatro Comunale che nel 1999 incontrò la timida proposta del nome di Luigi Antonelli. Era di Castilenti, ad Atri non era venuto molte volte, amico di Gabriele D’Annunzio, certamente non legato ad Atri, sebbene grande drammaturgo, di poco inferiore a Luigi Pirandello, il Teatro è rimasto Comunale e agli atriani va molto bene.

Alcuni locali di Palazzo Tini furono sede del circolo dei signori. I componenti delle famiglie facoltose di Atri vi si radunavano per il gioco delle carte e discutere tanti problemi. Ma questo avveniva anche nelle case private, quando non c’erano la radio e il televisore, soprattutto nei mesi invernali. Tra i più assidui, l’avvocato Giovanni Pacchioli (1872-1956), felice coincidenza nato e morto negli stessi anni di Don Lorenzo Perosi, la cui sorella Maria, aveva sposato in seconde nozze, Giovanni Tini, fratello dell’Arcidiacono.

I locali terranei del palazzo dal 1968 ospitano la farmacia del Dott. Achille Apicella (1923-2004), tradizione proseguita dal nipote Dott. Luigi Colleluori, sempre con la collaborazione di Remo Alonzo, uno dei pochi atriani a guidare il maggiolino, per giunta verde di colore. Il farmacista, napoletano per parte di padre e atrianissimo per parte di madre, era un grande umanista, con la grande passione per il teatro e si lamentava della frivola preparazione dei giovani di oggi, profondi conoscitori del calcio, ma non della cultura vera e propria.

La memoria di Palazzo Tini è conservata da Fabio Martella, residente a Modena, nelle cui vene scorre sangue atriano. Ogni estate torna nella casa all’ombra dell’oratorio della Trinità, richiamato dalle radici come qualche atriano avverte il richiamo dei luoghi delle origini a un centinaio di kilometri dalla città degli Acquaviva.

SANTINO VERNA