CICCIO INGRASSIA E I LEGAMI CON ATRI

Era la sera della festa di S. Reparata del 2003, il 28 aprile, quando il telegiornale annunciava la dipartita di Ciccio Ingrassia. La processione era rientrata in Cattedrale, gli ultimi bagliori della festa, il pensiero a quella di S. Rita, e le immagini televisive restituivano il volto di uno dei più grandi attori del cinema italiano.

Il figlio Gianpiero, attore anche lui, girò ad Atri, nel 1996, il film di Carlo Delle Piane, “Ti amo Maria”, proiettato l’anno seguente in Piazza duchi d’Acquaviva. L’ennesima storia d’amore, proposta sul grande schermo, questa volta con le immagini della città ducale. Fu l’omaggio del regista casolano, recentemente scomparso, romano a tutti gli effetti, un po' atriano, un po' rosetano, alla città di Atri.

Ciccio era nato a Palermo il 5 ottobre 1922, e il nome d’arte è diminutivo di Francesco. Veniva da famiglia povera, anche se aveva l’aria malinconica di aristocratico decaduto. Non era molto portato per gli studi, ma eccelleva nella recitazione. Cominciò subito a recitare, abbandonando i vari lavori come quello del salumiere per guadagnarsi da vivere. Fondamentale l’incontro con Franco Franchi, palermitano anche lui, e pure lui di famiglia modesta. Entrambi divennero gli eredi di Totò, i “maghi della risata”, perché anche parodiando famosi lungometraggi, strappavano innumerevoli risate. Ciccio e Franco non furono mai volgari, e men che meno triviali. Mai dalla loro bocca uscirono parole oscene del corpo umano, quando queste cominciavano ad apparire sul piccolo schermo, non soltanto nei film, ma pure nei talk-show.

Ciccio ha recitato anche senza Franchi e ha lasciato indelebili capolavori. Uno per tutti, lo zio Teo, di Amarcord di Federico Fellini. Pochi minuti in pellicola, in compenso su un olmo ricostruito a Roma, dove si era arrampicato lo zio paterno di Titta, prelevato dall’ospedale psichiatrico per una giornata di svago, nella campagna romagnola. Il comico siciliano era perfettamente immedesimato in quel personaggio surreale, la cui sofferenza era amplificata da anni in manicomio. All’andata domanda dei preti del borgo, per esser riportato a casa dall’albero, ci riesce soltanto una suora. Un uomo a modo suo affezionato alla famiglia, sempre unita, nonostante le non poche divergenze.

Alter ego del lavoro con Fellini, quello con Luigi Comencini. Fu chiamato ad interpretare la Volpe, mentre Franchi impersonava il Gatto. Sul set socializzarono con Andrea Balestri, scelto fra tantissimi bambini dal regista gardesano, per indossare i panni del gaio ometto di legno. Raccontavano battute, per tener sveglio il giovanissimo pisano, diventato nell’immaginario collettivo Pinocchio e basta. Balestri rimase affezionato a loro, come a Nino Manfredi, un po' meno a Gina Lollobrigida, che esigeva il “lei”, quando la cinepresa era a riposo.

Nel 1988 Ciccio Ingrassia fu inizialmente individuato da Salvatore Nocita, per la fiction sui Promessi Sposi. Per ragioni cinematografiche, il cast doveva essere internazionale, con attori di un certo calibro. Preparazione e fama passavano avanti al localismo. Ma la vinse Dario Fo, per impersonare l’Avvocato Azzecagarbugli. Era sicuramente più indovinato di Ingrassia, e forse uno dei più indovinati del regista di Arcisate (anche se le radici sono siciliane), perché almeno veniva restituito il ramo del lago di Como alla miniserie. Non per nulla il Nobel lombardo non venne doppiato, a differenza di altri personaggi. E neppure nell’edizione inglese.

Dopo la prematura dipartita di Franco Franchi, Ciccio continuò l’attività di attore, ma risentì molto dell’assenza del compagno di professione. Era ospite in qualche trasmissione televisiva e i film venivano proposti, soprattutto in estate, sui canali della RAI e di Mediaset. Un comico che ricordiamo tutti con affetto, insieme a Franco Franchi, come tutti gli altri della commedia all’italiana.

SANTINO VERNA