Felice anniversario

QUARANTA CANDELINE PER IL
MUSEO ETNOGRAFICO DI ATRI

Nel 1982 comincia la storia del Museo Civico-Etnografico di Atri, nato dal solerte impegno di Ettore Cicconi e Massimo Aielli. In quell’anno comincia la campagna di reperimento del materiale per ricostruire la società urbana, artigiana e mezzadrile della città di Atri.

Nel 1987 viene allestita la Mostra di Tradizioni Popolari, presso l’ex-OMNI, dirimpetto alla scuola elementare di Viale Umberto I. Contestualmente, in estate, vengono proiettate diapositive con i tesori architettonici e artistici di Atri e le tradizioni cittadine. Veniva portata avanti, in quel periodo, grazie al Centro Servizio Culturali della Regione Abruzzo, diretto dal Dott. Nicola Petrelli, venuto a mancare lo scorso anno, la diateca con immagini di affreschi ottocenteschi nei palazzi aristocratici di Atri.

Nel 1990 arriva il riconoscimento dalla Regione del Museo Etnografico. Nello stesso anno, il trasferimento presso l’ex-mercato coperto, nell’allora Piazzale S. Pietro, dove sorgeva il complesso monastico, abbattuto nel 1957. Il vecchio mercato, sostituito da quello nuovo a destra dell’ingresso dell’attuale Museo, ospitava in estate, la mostra agrituristica.

Il Museo accoglie circa 3000 pezzi e offre la possibilità di immergersi in un passato non tanto lontano di Atri, e nella vita quotidiana, caratterizzata dalle botteghe artigiane. Il quarto Capo d’Atri ne accoglieva fino a non molti anni fa, una cinquantina. Per gli artigiani era momento di festa, il pomeriggio del 19 marzo, solennità di S. Giuseppe, giorno di precetto e rosso sul calendario, quando nel pomeriggio, venivano cucinate le frittelle di farina e acqua. La devozione al padre davidico di Gesù era praticata nella Chiesa di S. Nicola, dove S. Giuseppe era eponimo di una Compagnia.

Il Museo Etnografico in sinergia con la Direzione Didattica di Atri, ha svolto diversi lavori, per sensibilizzare i ragazzi alla storia e alle tradizioni. Tra questi, nel 1994, “Passeri di Dio”, opera teatrale sul francescanesimo in Atri, con la figura di Filippo Longo, settimo compagno di Francesco. La rappresentazione fu eseguita al Comunale, con l’animazione della schola-cantorum “A. Pacini”.

Vasta la sezione musicale, con strumenti da camera, e soprattutto bandistici. Atri ebbe una banda con i fiocchi a partire dal principio del XIX sec. Uno dei periodi d’oro fu negli anni ’20 quando direttore fu il Maestro Antonio Di Jorio, musicista poliedrico. Sul catalogo del Museo, la banda fu ampiamente rievocata da un allievo di Di Jorio, il Prof. Cav. Glauco Marcone, direttore del doposcuola popolare di musica e per alcuni anni del coro folkloristico.

La sezione di religiosità popolare, cominciò a svilupparsi a partire dagli anni 2000. Cavallo di battaglia il mondo delle Confraternite, a partire da quelle del SS. Rosario e del SS. Nome di Gesù, la prima nell’omonimo oratorio presso la Chiesa di S. Giovanni, la seconda nell’omonima Cappella, sempre in S. Giovanni. Prima del riconoscimento dell’estinzione, nel 2005, le Confraternite continuarono a vivere con i figuranti, uomini e ragazzi di Atri, particolarmente per la processione del Venerdì Santo, la più sentita della cittadina. Il direttore Cicconi aveva suggerito la possibilità del ripristino dell’antico rito, modificato nel 1936 dall’Arcidiacono Raffaele Tini, per garantire maggiore compostezza dei partecipanti e rendere sincronici i vari momenti. Sostanzialmente la processione è rimasta come una volta, con la presenza dei quattro simulacri, in ricordo dei quarti cittadini, i nuovi abiti degli addetti ai fercoli, il giro riguardante le vie principali del centro storico, con sosta sul sagrato di S. Chiara. Ovviamente con pochi sacerdoti.

Ampia la ricostruzione dei minatori del Belgio. Negli anni ’50 partirono da Atri diversi cittadini, dopo il protocollo del governo italiano d’intesa con il Belgio. Il minimo di attività lavorativa nel ventre della terra era di cinque anni. Per partire occorreva l’idoneità, passando prima per l’ospedale di Atri, poi a Teramo e infine a Milano. In Belgio, trovata la miniera dove si sarebbe svolto il lavoro, la quarta e ultima visita. I “belgiaroli” atriani hanno lavorato a Boussu-Bou-Quaregnon, Charl Le Roi, Maurage, Dour, Liegi. Per tutti i minatori il desiderio più grande era quello di tornare ad Atri, e dopo un po' di anni, segnati dal grave lavoro e dalla malattia ai polmoni, rimpatriavano nella città degli Acquaviva o nelle immediate vicinanze. Tutti passati all’altra riva prematuramente, sono stati pochissimi quelli rimasti in Belgio. Per alcuni anni, hanno organizzato la festa di S. Barbara, patrona dei minatori e di tutti i mestieri pericolosi che mettono nel conto il fuoco, inizialmente con le torce e poi con i “faugni”, come l’8 e il 13 dicembre. La piccola statua rimase tanto tempo nella Chiesa di S. Caterina, poi, sempre per interessamento di Ettore Cicconi, fu accolta in S. Francesco e collocata nella Cappella di S. Gaetano. Ma ormai l’unica festa con i “faugni” è l’Immacolata, favorita dal giorno festivo di precetto.

L’Etnografico è il secondo Museo in ordine di tempo, della città di Atri. Ha dato la spinta per la nascita di altri tre Musei: l’archivio-Museo “A. Di Jorio”, il Museo Didattico di Strumenti Medioevali e Rinascimentali e l’Archeologico che inseriamo per ultimo, perché per vicende burocratiche legate al rientro dei reperti, è entrato in funzione soltanto nel 2004 (nel 1983 e nel 1984 erano state allestite, in estate, mostre archeologiche e non si può parlare di Museo).

E possiamo parlare anche di erigendi Musei, come lo Scenografico, legato al Teatro Comunale e quello della Vetrata Artistica, ipotizzato presso l’ex-dispensario, vicino al Cimitero. L’ubicazione era motivata dalla vicinanza alla ditta Cam.Per, dove solerte guida è stato il Maestro Federico Tamburri. I Musei sarebbero così sette, numero perfetto, per ricordare ancora di più i tesori artistici e demologici di Atri.

SANTINO VERNA