IL PROFESSOR GIUSEPPINO MINCIONE,
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA

INSIGNE LATINISTA HA CANTATO CON LA LINGUA
DI CICERONE LE GIOIE E I DOLORI,LE ANGUSTIE
E LE SPERANZE DELL'UMANITA'

Ricordiamo il Professor Giuseppino Mincione, insigne umanista e poeta trilingue (latino, italiano, vernacolo abruzzese) nel centenario della nascita. E lo ricordiamo anche a sette anni dalla dipartita. Nato a Villa Bozza di Montefino, il 22 ottobre 1922, si era formato nei Seminari di Penne e Chieti, rivelando subito la formidabile padronanza delle lingue classiche.

Laureato all’Università di Roma con il massimo dei voti, fu docente di lettere nelle Scuole Superiori e all’Università, e quindi Preside a Pontedera e Pescara. Collocato in pensione, fu Rettore dell’Università della Terza Età e proseguì gli studi, fino all’ultimo respiro, componendo distici latini e portando avanti ricerche su personaggi della letteratura, come Dante e Petrarca.

Sposò la Signora Adriana Corradi nel 1948, ed ebbero due figli, Cinzia, funzionaria statale da poco in pensione ed Elpidio, medico odondoiatra, docente universitario a Modena. Il Prof. Mincione, fu inclito cultore delle tradizioni popolari e dedicò una monografia alla sua Villa Bozza.

Compose innumerevoli canzonette, con musica di Antonio Di Jorio e Antonio Piovano. Con il maestro di Atessa scrisse gli inni di Atri e Pescara, entrati nei repertori dei cori folkloristici regionali, mentre con il docente di Città S. Angelo, fu autore del canzoniere gastronomico, con tanti piatti abruzzesi.

Per tanti anni, il Prof. Mincione, organizzò le “peregrinationes” nelle domeniche di Avvento e Quaresima, in  significative chiese d’Abruzzo come la reggia mariana della regione, la Basilica di S. Maria di Collemaggio, l’Abbazia di S. Clemente a Casauria e quella di S. Maria Arabona. Senza tralasciare chiese minori, meta del turista non frettoloso, come S. Nicola e S. Giovanni in Atri.

In queste domeniche, veniva celebrata la S. Messa in latino, con il rito di S. Paolo VI, animata dai canti gregoriani di un drappello di chierici del Seminario Regionale “Pianum” di Chieti, coordinati da Don Antonio Grumelli, docente di Sociologia all’ateneo abruzzese. Il ceto degli umanisti era formato da vari professionisti, come il Dott. Gaetano Lauri e il Prof. Restituto Ciglia. A quest’ultimo era affidata la spiegazione della Chiesa visitata.

Nella seconda metà degli anni ’90, il Prof.Mincione caldeggiò il gemellaggio di Villa Bozza con Todi, nel nome del comune patrono, S. Benigno. In quegli anni stava studiando l’opera del Vescovo umanista di Penne e Atri, Giovanni Battista Valentini, detto il “Cantalicio”, dal paese d’origine, nell’area tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie.

Amico del Presidente del Senegal, Leopold Sedar-Senghor, poeta e umanista dell’Africa francofona, il Prof. Mincione ricevette numerosi premi per la lingua regia della Chiesa, e ricordiamo soltanto quello di San Paolo VI nel 1966.

Tra gli ultimi studi, l’indagine su Francesco Paolo Rapagnetta, papà di Gabriele D’Annunzio. I biografi dell’Orbo Veggente hanno messo sempre in risalto la madre, Luisa De Benedictis, e invece il Prof. Mincione ha sostenuto l’importanza del Rapagnetta perché volle affidare il figlio al Collegio “Cicognini” di Prato. Se non ci fosse stato Francesco Paolo, Gabriele (divenuto poi d’Annunzio, perché adottato dallo zio) sarebbe rimasto un impiegato di provincia.

La casa del Prof. Mincione, ad un tiro di schioppo dalla stazione ferroviaria di Pescara, in un angolo pullulante ancora di negozi e movida, è stato un salotto culturale, dove si parlava di tutto, dalla letteratura alla storia, dall’archeologia alla religione, e poco di politica, dove intervenivano esponenti dell’abruzzesistica, come Alfonso Polsoni e Vincenzo Di Muzio. Villa Bozza, l’antica “Villa Beotia”, casale del mandamento di Atri, protesa verso Penne e poi verso Pescara, ha dedicato al Prof. Mincione, una stele, nel primo anniversario della nascita al Cielo, nel ricordo dell’insigne latinista che con la lingua di Cicerone ha cantato le gioie e i dolori, le angustie e le speranze, dell’umanità.

SANTINO VERNA