ANNI CINQUANTA: BERTINO VA ALLA FIERA DELL’ASSUNTA….

IL FASCINO E IL COLORE DELL’ANTICA CIVILTA’ CONTADINA

Alla fine degli anni cinquanta le automobili si vedevano come mosche bianche, qualcuno più facoltoso viaggiava con la carrozza trainata dal cavallo, il popolo viaggiava n’gh la carrozz d’ lu scarpar [1].

In campagna si arava con le melotte[2] e le voltarecchie[3],  le case coloniche erano piene di contadini e le stalle piene di buoi.

L’assistenza sanitaria era un privilegio di pochi ed i contadini, che ne erano sprovvisti, pagavano i medici con lo staio[4].

… Bertino, contadino dell’agro atriano, apparteneva a questa categoria e traeva la quasi totalità del proprio reddito monetario dalla vendita dell’unico vitello, amorevolmente allevato per circa un anno e mezzo ed adeguatamente “aggiustato”[5] per la vendita, e la fir’ d’ mezz’agost’ [6]  era la migliore occasione per cercare di ricavarne il giusto prezzo.

La mattina della fiera, di buon’ora, quando la temperatura era ancora fresca e il sole ancora basso sull'orizzonte, indossando l’unico vestito buono, che aveva accuratamente ripulito per l'occasione, e con le scarpe a tracolla, Bertino partiva, scalzo, alla volta del paese. Lungo la strada si fermava ad ogni casa per salutare i compagni dello scambio d’opera, cercando si stabilire il giusto valore del suo prezioso vitello. Era importante centrare il prezzo da richiedere, perché non doveva essere esagerato, ma doveva comunque lasciare  uno spazio per la trattativa.

All'arrivo di Bertino, il campo boario alla porta di San Domenico era già affollato. Commercianti e sensali, forti della loro assidua frequentazione e della maggiore competenza, cercavano di anticipare le trattative.

Tra questi si distingueva un signore alto e magro, con i capelli ben pettinati che già tendevano al grigio, nonostante non fosse anziano. L'uomo indossava un grembiule del colore della cenere e sembrava un dottore o veterinario, invece era un signore[7] che partecipava a tutte le fiere. Piazzava  il suo camion nello spazio migliore e vi legava le bestie da vendere, in attesa di sostituirle con quelle acquistate in giornata.

In un angolo del campo c’erano i venditori di bestiame diverso dai bovini. I maialini erano compressi all’interno di gabbie di legno e si calpestavano a vicenda, emettendo lamenti striduli, mentre il loro castratore prendeva accordi con gli acquirenti per concordare le modalità dell’intervento sugli animali, indispensabile perché faceva addolcire il loro carattere ed ammorbidirne la carne. Pecore ed avicoli avevano uno spazio molto marginale. Qualche commerciante di lame da barba e di vari prodotti miracolosi completavano la coreografia fieristica...

Torniamo al nostro Bertino proprio mentre era alla ricerca del posto ideale che gli consentisse di avere le spalle coperte ed una visuale più vasta possibile. Dato uno sguardo d'insieme, aveva trovato ciò che faceva al caso suo: un terrapieno vicino ad una pianta, grazie alla quale aveva anche un minimo di ombra e frescura.

Poco dopo che si era sistemato, si avvicinava un sensale che, in modo apparentemente distratto, si informava sul prezzo richiesto. La visita era seguita da un andirivieni di persone locali e forestiere che, dopo aver guardato con aria compiaciuta il prezioso vitello, parlottavano tra loro ma senza manifestare alcun reale interesse.

Antonio, un vicino di casa di Bertino e suo compagno di scambio d’opera, che era alla fiera solo per un aggiornamento generale ed incontrare “qualcuno”, lo avvicina in modo discreto per riferirgli che alcuni capi di bestiame, di qualità nettamente inferiore al suo, erano stati venduti ad un prezzo esageratamente alto e consigliava di tenerne conto.

Un secondo sensale, che non godeva di una comune buona considerazione, a causa della sua marginale correttezza, si avvicinava offrendo una cifra offensiva, per quanto era bassa. Sperava di avere qualche possibilità di avviare la trattativa, confidando sul mancato aggiornamento di Bertino. Il cui rifiuto categorico chiudeva ogni possibilità.

Poco dopo, si avvicinava un commerciante che, dopo avere biasimato il suo predecessore, effettuava un’offerta superiore ma ugualmente improponibile. Immediatamente arrivava un terzo sensale che, maledicendo la calura, ricordava a Bertino che anche la sua bestia ne soffriva visibilmente e concludere la vendita avrebbe alleviato lui stesso dallo stesso disagio. Nel frattempo, perorando la causa del commerciante, si faceva garante di un prezzo che in prima mattina si sarebbe potuto avvicinare al giusto ma, alla luce degli sviluppi, restava inadeguato. Il commerciante ed il “suo” sensale si alternavano a vicenda, cercando di convincere il contadino con il solo aiuto della dialettica. Quando l’evento fieristico si avviava verso le ore centrali ed il sole picchiava forte, una discreta folla interessata si era creata nelle vicinanze. Il timore di perdere l’affare rendeva il mediatore più ardito. Si avvicinava, tirando per mano il commerciante, dando l’impressione che volesse perorare la causa di Bertino, offriva un prezzo con un minimo rialzo e si avventava sulla mano di Bertino per attrarla verso quella del commerciante, favorendone la stretta. Bertino ritraeva la mano effettuando un balzo all’indietro degno di un atleta, sembrava che il tatto con la mano del sensale gli avesse provocato una forte scossa elettrica[8].

Mentre questo siparietto andava avanti da una decina di minuti, facendosi largo tra la folla, si avvicinava il buon Di Nicola, che offriva una cifra molto vicina alla richiesta iniziale dell’ormai esausto contadino, con la certezza di fare lui stesso un affare dignitoso. Il nostro eroe, confortato dal supporto di Antonio e di altri compagni di lavoro, ormai stanco e sudato più  per la tensione che per il caldo, arrivava alla conclusione dell’affare. Dopo una calorosa stretta di mano e il seguente saldo dell'affare, entrambi, venditore e acquirente, si salutavano soddisfatti.

Alcune riflessioni emergono da questo spaccato di vita vissuta. La condizione economica e la scarsa circolazione del denaro,[9]  il comune senso dell’onore[10] e un quadro sociale ormai molto lontano e in parte dimenticato[11] .

MARIO FERRETTI

P.S. Lo stimolo a scrivere queste righe muove dal desiderio di trasmettere ai giovani ed alle persone lontane dalla civiltà contadina uno spaccato che aveva un suo fascino e tanto colore. La vicinanza temporale contrasta nettamente con un sistema di vita che è radicalmente cambiato.[12] Tutti i personaggi, tranne Remo Di Nicola, sono inventati ma assolutamente verosimili o con caratteristiche analoghe a persone conosciute all’epoca.



[1]  Con la carrozza del calzolaio = a piedi.

[2] “Melotta” Nota marca di aratro trainato da buoi, il cui nome veniva usato, in senso dispregiativo, per identificare i cafoni, più che i contadini.

[3] Aratro il cui vomere ruotava di 180° per consentire di arare solchi sequenziali, procedendo in entrambe le direzioni, senza dover riprendere sempre dallo stesso lato.

[4] Metodo di pagamento in natura. Al momento della trebbiatura, onorari e compensi relativi a prestazioni ricorrenti (medici, sarti, calzolai ecc.) venivano soddisfatti con un quantitativo di grano prestabilito. Il contratto poteva prevedere anche alcuni polli ed uova, da consegnare in occasione delle feste.

[5] Per ottimizzare l’utilizzo delle risorse del fondo, i vitelli crescevano mangiando erba e fieno, come tutti gli altri animali della stalla. Le ossute bestie, solo qualche mese prima della data fissata per la vendita venivano foraggiati con uno sfarrato di fave, orzo, granoturco ecc., che consentiva loro di assumere aspetto del vitello grasso, dalla carne tenera.

[6] Fiera dell’Assunta del 15 agosto, che fungeva da richiamo per tutta la provincia ed oltre, era l’occasione per la compravendita del bestiame. Anche le mucche da lavoro, quando diventavano attempate, venivano vendute ai macellai e rinnovate con giovani giovenche non ancora domate.

[7] Remo Di Nicola di Sambuceto, contadino/commerciante/macellaio che per chi ha avuto il piacere di conoscerlo sa che era “un vero signore”.

[8] Secondo gli usi locali, la stretta della mano suggellava la validità del contratto al prezzo invocato, anche quando un contraente aveva un atteggiamento generale passivo. La presenza dei testimoni completava il rispetto dell’impegno.

[9] Il lavoro svolto con scambio d’opera, senza alcun tipo di contribuzione previdenziale né assicurazione anti infortunistica, finalizzato ad una produzione destinata al consumo diretto per l’alimentazione umana e animale.

[10] La stretta di mano impegnava contrattualmente molto più di quanto non faccia oggi un contratto scritto e registrato, a meno che non sia predisposto da un buon professionista e sia completo di penali adeguate per dissuadere le inadempienze.

[11] La necessità di collaborazione imponeva un rapporto sociale con i vicini (in campagna erano tali anche quando le case distavano qualche Km.). La lealtà fra compagni si rendeva necessaria anche per costituire un fronte comune, utile a proteggersi verso il mondo esterno che era, mediamente, più scolarizzato, meno statico e comunque più informato.

[12] Da secoli, fino a quel periodo, il motore dei mezzi di trasporto era formato da pochi cavalli che nitrivano, scalciavano e mangiavano fieno e biada, poi …