I FABBRI ATRIANI

VERI MAESTRI CHE SAPEVANO DISEGNARE CON IL FERRO BATTUTO

 

Se Guardiagrele è il capoluogo abruzzese del ferro battuto, Atri è una delle principali cittadine della regione per la lavorazione del ferro, a causa delle diverse botteghe del centro storico dove il fabbro aveva a che fare con materie incandescenti. Con il paese di Modesto Della Porta, poeta dialettale, Atri condivide lo status di paese delle campane, a Guardiagrele per la realizzazione, nella cittadina dei calanchi per l’uso.

Le chiese di Atri sono luoghi dove è possibile ammirare il ferro battuto. Nella Cattedrale tre manufatti nei pressi del presbiterio: la cancellata che separa la navata sinistra dalla sacrestia capitolare, la transenna della rinvenuta absidiola dove c’era il demolito altare dell’Assunta (un vero peccato, perché la Cattedrale di Atri ha per titolare l’Assunzione di Maria Santissima) e il cancello per il passaggio interno di S. Reparata. Una recinzione ferrea esisteva pure per il fonte battesimale.

Moderno l’arredo del presbiterio, con l’estro di Mario Muscianese Claudiani: il candelabro del cero pasquale, la croce d’altare, i candelieri, la credenza e la recinzione della cappella del Santissimo, l’unica cappella laterale propriamente detta della Cattedrale. Ma ferro e legno purtroppo cedono il posto per il “maiora premunt” agli affreschi di Andrea Delitio. Forse il legno ha qualche piccolo vantaggio perché il turista ammira il baldacchino di Carlo Riccione, copia in proporzioni ridotte di quello della Basilica Vaticana, a ricordo dei particolari legami che ebbe Atri nella seconda metà del XVII sec. con lo Stato Pontificio. Fu quello il periodo in cui il ducato d’Atri nel Regno di Napoli divenne a tutti gli effetti l’Alto-Adige del territorio regnicolo. Lo fu pure nel secolo successivo, mentre nel XIX sec. si rafforzarono i rapporti, soprattutto ecclesiali, con il morente Regno delle Due Sicilie.

La chiesa di S. Agostino aveva la maestosa cancellata in ferro battuto nella cappella di S. Massimo, dove si conservavano le spoglie dell’omonimo giovane martire, arrivate nel 1853. Come Castiglione Messer Raimondo ebbe S. Donato, Atri poteva vantare il giovane Massimo.

S. Francesco ha la semplice cancellata nella grotta di Lourdes, realizzata da Pierino Marcone. La grotta, ben inserita nella scalinata a doppia rampa, in pietra di Pretoro, del pennese Fontana, doveva rappresentare un antro tra il presepe francescano e il ninfeo rinascimentale. Con il ritorno dei Minori Conventuali nel 1936 fu convertito in memoria della Madonna di Lourdes, luogo caro ai confratelli di S. Massimiliano Kolbe che chiese alla Madonna la benedizione sulla nascente Milizia dell’Immacolata, presente in Atri prima dell’ultima guerra mondiale.

S. Chiara ha la bussola in ferro battuto, per la porta laterale, quella aperta abitualmente, opera di artigiani guardiesi. Con Guardiagrele c’è quasi un gemellaggio, perché la cittadina ai piedi della Maiella ha registrato la presenza di Andrea Delitio e i luoghi dove ha operato il maestro di Lecce dei Marsi sono pochi. Lo stesso tipo di bussola si trova nella chiesa di S. Gabriele, in armonia con la moderna architettura dell’edificio. In questo caso è presso la porta centrale.

Opere sacre e civili allo stesso tempo si trovano nel cimitero monumentale. C’è il segno del talento di Emidio Assogna, realizzatore tra l’altro dell’insegna della “Campana d’Oro”, il ristorante più centrale della cittadina, gestito da Massimo Di Febbo, dove pranzarono e cenarono tante volte Antonio Di Jorio con la figlia Pasquina, alla vigilia della fondazione del coro folkloristico, nel 1974.

Tra i fabbri ferrai di Atri ricordiamo Pierino Marcone, contradaiolo di Capo d’Atri che abitava a Portico Capritti e nei pressi dell’abitazione aveva la bottega. Vi era l’immagine del Sacro Cuore, sempre munita di un lumicino, segno di una spiritualità mai sbiadita.

Oltre la Cattedrale, la bottega di Mastro Ernesto Tracanna, padre di Mons. Aurelio, Arcidiacono della Cattedrale e Parroco di S. Nicola.

Lungo la Circonvallazione meridionale la bottega dei fratelli Pavone, ammirata da tanti concittadini che facevano la passeggiata alla villa e per tappa obbligata avevano il laboratorio di Luciano. Rivestito del grembiule azzurro, dava gioia a quell’oscuro vano rumoroso e simpatico allo stesso tempo.

Poco fuori Atri, dove ora sono sorte nuove case, la bottega di Giorgio Marcone che addirittura aveva costruito un robot che sembrava il boscaiolo di latta del mago di Oz. Ripescando nello schedario della memoria e confrontando il manufatto con la politica attuale, viene in mente la celebre dicitura renziana della “rottamazione”.

Protettrice dei fabbri, rimasti pochissimi ad Atri e con modalità diverse da allora, S. Lucia, in realtà patrona della vista, assai preziosa per tutti i lavori manuali e non solo. Chi conosce la leggenda della martire siracusana immagina che il patronato dei fabbri sia collegato agli strumenti ferrei di tortura che precedettero il martirio in odio alla fede. Secondo la tradizione, S.Lucia amò tanto i poveri che si sarebbe strappati gli occhi per essi. Per questo si arrivò alla leggenda degli occhi cavati dal carnefice.

I fabbri, con in testa Carmine Pirocchi, organizzavano l’annuale festa che si teneva all’alba del 13 dicembre, con l’accensione e la sfilata dei “faugni”, seguita dalla processione con il simulacro della Santa, conservato in S. Agostino e poi in S. Reparata, a causa dell’impraticabilità dell’antica chiesa di S. Caterina. Con la diminuzione dei fabbri, la festa fu ridotta soltanto alla celebrazione liturgica in Cattedrale, magari con una tovaglia più bella e una S. Messa più curata. Era il giorno in cui in alcune case cominciava l’allestimento del presepe, dove non era stato possibile il giorno dell’Immacolata.

SANTINO VERNA