L’AMICO FRANCESCO ANELLO NELL’ANNIVERSARIO
DELLA DIPARTITA

Spettacolo "Tudino", Roma Sala Orazi e Curiazi Campidoglio.

Ricordare Francesco Anello, attore e regista, significa riavvolgere la bobina della mia vita. Prendo questa frase da un comune amico, mio e di Francesco, Nino Bindi, nato al Cielo un mese prima di lui. In questa bobina c’era l’amicizia con i ragazzi più grandi del sottoscritto che rappresentavano, non di rado, uno dei miti della fanciullezza. Per tre di essi, cominciai a tifare prima Roma e poi Inter.

Con Francesco raramente parlavamo di calcio, anche perché la conversazione con lui riguardava sempre il teatro. L’amicizia con Francesco risale all’autunno 1985 quando veniva a casa nostra, per lavori di ebanisteria, con il papà Antonino, artista poliedrico. L’attività artistica non era relativa soltanto al Teatro Comunale, peraltro in quegli anni ancora in restauro (sostituito dal cinema “Salotto”, poi chiuso e trasformato in supermercato), ma anche ai cori, polifonico e folkloristico. Erano gli anni in cui si delineava la spaccatura nel mondo canoro cittadino: da una parte i cantori di più esperienza, con l’Academia Baptistiana, dall’altra la schola-cantorum “Aristotile Pacini”, rispettivamente nelle Chiese di S. Giovanni (S. Domenico) e in S. Spirito (ora Santuario Diocesano di S. Rita).

Se tra gli argomenti da giornalista pubblicista le tradizioni popolari hanno avuto una parte fondamentale, è anche grazie al Maestro Antonino e a Francesco che hanno presentato e curato il calendario atriano con competenza, estro artistico e professionalità.  E con essi, il fratello Alberto che incontravo puntualmente ogni domenica, alla fine della S. Messa, nella Chiesa di S. Nicola, dopo il servizio liturgico. Riposte le tarcisiane nell’invaso murario delimitato dalla tenda rossa, mi fermavo brevemente con Alberto, mentre gli altri compagni si precipitavano a raccogliere i foglietti, nell’intento di ricavarne aeroplani o barchette. Il meno paziente si accontentava ad accartocciare i sussidi per buttarli nel secchio. E questa era, talvolta, la soluzione del sottoscritto.

Ricordo Francesco, nelle rappresentazioni della Passione, sia nella versione monumentale-itinerante, per le piazze e le vie di Atri, anche nella parte di Erode Antipa, sia in quella squisitamente teatrale, questa volta nella parte del Divin Maestro, in S. Giovanni o in S. Francesco. Sempre gli stavano accanto il fratello Alberto, pure lui nella parte di Erode e lo scrittore pluripremiato Elio Forcella, nei panni di Ponzio Pilato, il personaggio più atteso dopo Gesù. L’imponente e rasserenante sagoma di Elio, metteva in secondo piano apostoli e sinedriti. E non per le probabili origini abruzzesi del procuratore romano.

Francesco lo ricordo pure nel melodramma “La Vergine di Cesarea”, in Piazza Duomo, il 20 agosto 1989. I protagonisti erano cantanti lirici, giunti da varie parti d’Italia, mentre le comparse erano del Teatro Minimo. Alla regia era Danilo Volponi, aiuti Alberto Anello ed Elio Forcella, volto artistico del rione S. Domenico. Una delle comparse era Gianni De Galitiis. L’organizzazione del quadro sacro della rappresentazione fu curata da Piergiorgio Cipollini che prese da S. Giovanni, paramenti e sinnicchio, per la scena dove il Vescovo, seguito dal popolo atriano, si reca in Cattedrale. Il melodramma ebbe un successo indiretto, perché sollecitò il mondo artistico atriano nell’allestimento del corteo storico in costume.

Francesco curò due edizioni del corteo, nel 1998 e nel 1999, quando l’apertura della Porta Santa, riprese piena cittadinanza nelle feste calendariali di Atri. Lungo il pomeriggio dell’Assunta, la parte monumentale del centro storico si trasformava in un angolo tra il tardo Medioevo e il Rinascimento. Il corteo sarebbe diventato un appuntamento annuale, ma nel 2000 la tradizione venne interrotta (quell’anno il tema era il Beato Rodolfo). E fu ripresa, con diversa modalità, in concomitanza con il rito della Porta Santa, la vigilia dell’Assunta, quando il Vescovo, circondato dai Canonici della Cattedrale, dà tre colpi alla prima porta laterale del Duomo, e avviene l’apertura.

Rividi l’ultima volta Francesco, la fine di ottobre del 2020. Contestualmente gli formulai gli auguri per il compleanno. Stavo ripartendo per Lanciano, dove ero stato da poco trasferito. Parlammo qualche minuto della città frentana e subito la conversazione andò a finire sulla vita artistica di Lanciano. Francesco aveva lavorato diverse volte nella città del Miracolo, con piece al Fenaroli. Ricorderò Francesco sempre con grandissimo affetto e ricorderò il profondo attaccamento alla città di Atri. Come il ritornello di un salmo, risuona nelle mie orecchie, quanti direbbero in molti, “ars non dat panem”, ma Francesco ha detto con la sua vita e la sua arte, che il teatro è fondamentale per la maturazione dell’umanità. Se il Verbo si  è fatto carne ed è diventato uomo, anche l’uomo deve diventare più uomo e in questa umanizzazione (che poi è  la vocazione dell’uomo) la cultura ha un compito fondamentale.

SANTINO VERNA