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- Pubblicato Martedì, 10 Giugno 2014
- Scritto da Santino Verna
CI HA LASCIATO GIGINO BRACCILI, GRANDE PILASTRO DELLA RAI ABRUZZESE
LEGATO ALLA NOSTRA CITTA' HA RACCONTATO UN ABRUZZO CHE NON C'E' PIU'
Sorella morte l’ha raggiunto nella notte tra l’8 e il 9 giugno. Un profondo conoscitore delle tradizioni popolari abruzzesi, muore nei giorni della festa di S. Zopito, kermesse tra le più significative in Abruzzo, con il bue che s’inginocchia e un tempo evacuava nei pressi della chiesa. Il Maestro Braccili ha descritto sapientemente la tradizione di Loreto, dove poche ore prima del trapasso, era tornato da Pescara il collega Franco Farias, anche lui cultore del mondo popolare della regione.
Luigi Braccili, rosetano purosangue, era nato nel 1929. Maestro elementare aveva sposato Elena Spezialetti, di Mutignano e aveva due figli, Umberto, inviato della RAI di Pescara che ha curato interessati servizi sul sisma dell’Aquila e Alessandra, residente in Alto Adige. Aveva fatto parte della squadra culturale abruzzese della RAI regionale, quando c’era soltanto la radio, insieme a Fernando Aurini, Emiliano Giancristofaro, Giuseppe Rosato e pochi altri. La sede era in Via Trieste, in pieno centro, tornato a rivivere con la parziale pedonalizzazione di Corso Vittorio.
I servizi di Braccili erano pezzi forti dei programmi radiofonici, dove piacevole dicitore era Raffaele Fraticelli, il poeta chietino che impersonava “zì Carminuccio”. La sede fu trasferita a Via De Amicis, un po’ più a Nord, all’ingresso della zona residenziale della città dannunziana, e i programmi del primo pomeriggio con Braccili e i colleghi continuarono per diversi anni. Poi, nel 1992, avvenne la chiusura e il dormiveglia pomeridiano di tanti abruzzesi non ebbe più l’incantevole sottofondo di tante storie dell’Abruzzo minore.
Il Maestro Gigino era anche legato ad Atri, dove veniva in occasione di tanti momenti culturali. Ammirava le opere d’arte presenti nella Cattedrale e nelle altre chiese, per lui antidoto contro la tristezza. Una volta si trovava a Bolzano dalla figlia e gli faceva compagnia un forte mal di denti. Fu accompagnato dall’odondoiatra e quando si trovò nello studio vide che era tappezzato di immagini di Atri. Il dottore era molto preparato su Andrea Delitio e sui tanti cimeli della Cattedrale. Al giornalista rosetano passò il mal di denti e amava raccontare l’episodio per dire che l’Abruzzo è a volte più conosciuto dai forestieri che dagli autoctoni.
Encomiabile la monografia sui figli illustri d’Abruzzo, ognuno incasellato nella propria provincia. Dalla notte dei tempi a questa mattina si può dire, Braccili è andato alla ricerca di letterati, condottieri, pittori, musicisti e uomini di Chiesa, per dire che l’Abruzzo non è il fanalino di coda dell’Italia. Atri è ben rappresentata nella sua opera e la prova del nove è l’odonomastica che comprende più atriani che personaggi nazionali. Nella città degli Acquaviva infatti non troviamo Via Mazzini o Via Garibaldi, ma Piazza Mambelli (ci sarebbe pure Portico Mambelli, ma l’intestazione è riferita a tutta la famiglia secondo la consuetudine cittadina) e Via Baiocchi.
Gli fa eco la carrellata sulle tradizioni popolari d’Abruzzo che comincia ovviamente con il ciclo calendariale, locuzione tanto cara a Giancarlo Baronti, allievo di Tullio Seppilli, dove problematico è il punto di partenza. Per deformazione professionale, il Maestro Braccili è partito dall’inizio dell’anno scolastico, a settembre, con le tante feste patronali. Si è soffermato anche su tradizioni dimenticate o poco indagate dai demologi come le campane che segnalarono l’arrivo del nemico a Nereto. Un altro teramano doc, morto qualche anno fa, il Dott. Nicola Tonelli, originario di Nereto, ci voleva a volte un’ora per raccontare l’episodio perché apriva innumerevoli finestre, senza mai tediare l’interlocutore.
Interessante pure la descrizione del vaporetto di Ortona, da cui si traggono auspici per l’annata agricola, nella festa di S. Sebastiano, martire conservato nella riforma di Paolo VI che da Arcivescovo di Milano aveva sostato diverse volte nell’eponimo tempio nel pieno centro della città manzoniana che lo venera compatrono.
Altro argomento indagato dal giornalista gli antichi mestieri. E, ovviamente, si sofferma sul microcosmo bandistico con le compagini di Atri, Cepagatti, Cerratina e Notaresco. Parla anche dei sacrifici che facevano i suonatori per integrare i non lauti guadagni come artigiani. Gli avrebbe fatto eco Peppino Antonelli, lo scultore atriano che ti sapeva incantare quando raccontava del bandista a cui fu affidato il compito di ripulire la statua di S. Antonio Abate, perché dormiva sulla brandina messa in sacrestia. In un’altra versione il povero Santo si ritrovò i calzini del bandista.
Gigino Braccili in questi ultimi tempi scriveva su L’Eco di S. Gabriele dove usciva fuori tutta l’abruzzesità, proprio sulla rivista del Santo patrono della regione, sepolto alle falde della più alta montagna dell’Italia peninsulare. E tirava fuori il suo multicolore repertorio.
Con lui se ne va un pezzo di storia abruzzese. Una storia che difficilmente si spiega a scuola e che dovrebbe tornare in radio. Con l’annuncio di Margherita Del Bono e Carlo Orsini, e con il coordinamento musicale di Fernando D’Onofrio. Prosa e canto d’Abruzzo, di un Abruzzo che non c’è più.
SANTINO VERNA