Un uomo alienato non è mai realizzato

ELOGIO DELLA BELLEZZA

Immaginiamo una società in cui tutto è ridotto a puro meccanicismo o meglio : una società in cui l’uomo si distingue dai nostri computer, smartphone e tablet  per il possesso di un particolare organo interno chiamato cuore che assicuri soltanto il corretto funzionamento dei processi biologi. E nient ‘ altro. Un cuore che non è più luogo metaforico da cui nascono  sentimenti, passioni,emozioni: da cui ha origine ciò che chiamiamo bellezza. Immaginare tutto questo non è poi tanto difficile, in un mondo in cui la tecnica è ormai assurta a “essere” del nostro tempo, come avrebbe detto Martin Heidegger. La tecnica non è però la sola fonte di alienazione  dell’uomo contemporaneo, ma anche la società stessa con i suoi reconditi meccanismi . E i filosofi della Scuola di Francoforte denunciarono i limiti e l’illogicità del presente, la sottomissione dell’uomo a quei rapporti di forza che lui stesso ha creato, divenendo schiavo del processo produttivo che lui stesso ha messo in moto. Tra gli esponenti più significativi  di questa” teoria critica della società” possiamo annoverare Horkheimer, Adorno, Marcuse, Benjamin, Fromm che presero  appunto parte  alla cosiddetta “Scuola di Francoforte”. Nel volume “ la dialettica dell’Illuminismo”, Horkheimer ed Adorno sottolineano come lo sviluppo della tecnica abbia portato le relazioni umane a caratterizzarsi secondo un rapporto di utile e sfruttamento, volto all’accumulazione del capitale: il motto baconiano “sapere è potere” si è così rivolto contro la natura, non per conoscerne gli intimi segreti ma per asservirla al dominio dell’umano. Ma questa razionalità strumentale tipica della “civiltà” industriale ha portato  a un appiattimento di valori e idee, in una totalità alienante in cui l’orizzonte di pensiero termina nei confini imposti dalla società: non si possono oltrepassare perché altrimenti si verrebbe etichettati come reietti, sovversivi o asociali. Una ragione che non è critica  ma preconfezionata.  L’uomo perde così la capacità di opporsi allo status quo, la possibilità di essere se stesso ,in cui  l’identificazione sempre più spinta tra individuo e società non lo porta a riscoprire il vivere collettivo e sociale tipico delle poleis greche ma  getta l’uomo stesso nella solitudine che non è certo una libera scelta ma il prodotto finito di una sorta di Babele consumistica che ha mercificato i rapporti relazionali.  In particolar modo viviamo in una comunità che ha perso il senso della bellezza, preferendo al godimento estetico quello sensoriale. Rievocando il mito di Ulisse che incontra le sirene,Horkheimer e Adorno interpretano il canto delle sirene come il richiamo del bello e del sublime a cui Ulisse non può attingere, perché legato ad un albero  il quale simboleggia il legame irrevocabile con la prassi, che lo opprime .Marcuse, con una soluzione forse utopica, vede nella fantasia e nell’arte un enorme potenziale rivoluzionario :” l’arte rappresenta infatti una sfida a definire ciò che è reale, creando nel contempo un mondo fittizio che è tuttavia più reale della realtà stessa”. “ Immaginazione al potere” il filosofo soleva ripetere, divenendo un motto delle proteste studentesche del ’68. La bellezza quindi c’è ancora ma è un porto sepolto “sotto i chiacchiericci notturni, il rumore e gli inutili bla bla bla…” avrebbe detto Jep Gambardella.

ANTONIO CERQUITELLI