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- Pubblicato Domenica, 06 Dicembre 2020
Quando una Tradizione diventa Discussione
"LI FAUGNI"...IL CALORE DEI RICORDI
Quando nella notte il buio è ancora presente, ed esso prelude l’alba dell’8 dicembre, tra le strade del vecchio Centro Storico di Atri ogni anno si rinnova una antica tradizione.
Questo rito, per noi Cittadini di Atri, è un’attesa che aspettiamo e consumiamo con ansia per 365 giorni.
E’ talmente radicata nella nostra mente questa tradizione che il solo pensiero di essere l’unico Paese in Italia ad avere questo tipo di rito ci consente di esserne straordinariamente fieri e orgogliosi. Li Faegne, quando io ero bambino, si usava festeggiarli tre volte l’anno: il 4 di dicembre, in onore di Santa Barbara protettrice dei Minatori, manifestazione che veniva organizzata principalmente dai tanti Minatori Atriani ritornati dal Belgio, l’8 dicembre in onore dell’Immacolata Concezione e, infine, il 13 dicembre in onore di Santa Lucia, protettrice dei non vedenti. Con il passare degli anni, per motivi di carattere organizzativo, si è deciso di festeggiarla solo l’8 di dicembre, in concomitanza con la Festa dell’Immacolata Concezione.
Noi bambini all’epoca venivamo iniziati e istruiti a questo meraviglioso evento dai nostri genitori: erano loro che ci guidavano durante la sfilata, insegnandoci a portare correttamente il Faugno e, contemporaneamente, spiegandoci come comportarci durante il giro per le strade del Centro Storico. Con il passare del tempo, anno dopo anno, diventavamo sempre più capaci ed esperti e la semplice partecipazione alla sfilata diventava un onore, che si trasformava in un vero atto di fede da parte di tutti noi ragazzi Atriani. Svegliarsi alle quattro di mattina era, in quei tempi, l’unico modo per essere presenti e ribadire il senso di appartenenza a questa secolare e straordinaria tradizione. Con il trascorrere degli anni, l’attesa del raduno in piazza si iniziò a consumare rimanendo svegli nelle abitazioni tutta la notte, degustando prelibatezze e leccornie tipiche e dolci fatti in casa e giocando alla tombola, mentre gli adulti si dilettavano amichevolmente giocando a carte. Per noi ragazzi questo rappresentava il modo per non andare a letto e, nello stesso tempo, per gustarci fino in fondo questa tradizione tipicamente Atriana. Durante la notte, si udivano echi di fisarmoniche che accompagnavano balli e, di tanto in tanto, tra le stradine del Centro Storico si udivano voci di comitive di giovani, che per divertirsi passavano a martellare i Battocchi dei portoni o a suonare qualche campanello delle case dei palazzi abitati dalle famiglie più altolocate del Paese. Alle 5 di mattina, quasi tutti con gli occhi arrossati, ma gonfi del desiderio di far parte di questa manifestazione eravamo tutti presenti in piazza grande, eccitati e ansiosi di accendere quel fascio di canne nella promessa di portarne almeno una parte integra fino alla fine della sfilata, per poi adagiarla nel grande fuoco acceso già dalla sera prima davanti alla Cattedrale. All’epoca la Banda Musicale era formata principalmente da Musicisti Atriani guidati con maestria del Maestro Glauco Marcone, valente clarinettista e concertatore. Nella Banda suonavano Musicisti come: Mimì Astolfi “la Pellastra”, prima tromba squillo, Umberto Gianvito “Lu Cuneje” Tromba, Francesco Di Francesco “Pacchiole” Tromba in fa, Il Maestro Giovanni Antonelli primo Flauto, Gino Del Rocino Sax Baritono, Tonino del Rocino Sax Contralto, Bruno Iezzoni “Cicerlè” Sax Contralto, Mario Tini “Masanille” Sax Basso”, Minuccio della Sciucca Trombone, Nicola Benedettini Trombone, Ferdinando Di Francesco Corno, Umberto di Febo Basso tuba, Giacomino di Febo Oboe, Armando Cantarini con il Papà Tommaso Clarinetto, Mario Bonolis Clarinetto, Peppino Di Francesco Clarinetto in mib, Paolo Giacintucci “Pacini” clarinetto in sib, la bassa Musica era rappresentata dal Maestro Nicola Cicirleo Grancassa, Mimì Sargente rullante, Mincenze Cacafuche Rullante solista, Mario Bonaccione piatti, e poi a completare la Banda tutti i ragazzi della scuola di Musica del Maestro Marcone. Un lungo elenco di giovani musicanti che si sentivano onorati e orgogliosi di suonare in quella sfilata storica, che per tanti di loro rappresentava un primo e autentico debutto artistico. Vecchi bandisti, emigrati per necessità di lavoro, per l’occasione ritornavano anche da luoghi lontani per essere presenti e suonare tutti insieme quella marcia storica “Marisa” durante il giro davanti alla sfilata tra le stradine del Paese. Gino Mazzocchitti, già affermato clarinettista della Banda dell’Aeronautica, ritornava ogni anno da Roma per essere presente, ed anche il fratello del Professore Antonio Pavone, Mimì Pavone detto Lu Perecce, valente trombettista, ritornava addirittura da Milano per onorare e testimoniare il suo amore alla sua mai dimenticata Atrianità. Ecco questo era lo spirito di quegli anni. Ci sentivamo tutti fieri e coinvolti , dal più giovane al più Anziano, nell’essere presenti a nel continuare a dare lustro a questa antica ed unica tradizione. Mitica, tra i partecipanti portatori del Faugno, la figura del compianto Giovanni Spezialetti “Scarcette” che insieme ai fratelli Marcone Mario e Fulvio ritornavano ogni anno dalla vicina Pescara per essere presenti alla sfilata, così come facevano altrettanti Atriani che, per motivi di lavoro, erano emigrati in varie regioni d’Italia e ritornavano per quella occasione ad Atri per testimoniare la loro presenza a rinverdire la loro appartenenza a questa millenaria Tradizione. Riaffermare l’Atrianità era un dovere, ma soprattutto un piacere per tutti, e lo facevano non solo per soddisfare la propria anima, ma soprattutto per alimentare quei ricordi mai dimenticati nonostante la lontananza dal luogo natio. Dopo il rientro dei Faugni, si andava tutti alla Santa Messa nella Chiesa di Santa Maria e, appena dopo la funzione, l’unico modo per lenire il freddo mattutino e la stanchezza accumulata nella veglia, era trovare ristoro con un caldo Punch al mandarino per gli Adulti e una bella Bomba alla crema e un cioccolato caldo per noi ragazzi, nei vari bar aperti per l’occasione. Questo in fondo è stato per tanti anni il modo di celebrare la manifestazione e contribuire a darle continuità. Avrei tante storie da raccontare, tanti aneddoti indelebili su quegli anni indimenticabili, ma per chi come me ha vissuto quel periodo, sarebbe un cazzotto al cuore. Ricordi eccezionali che sono nella mente degli innumerevoli ragazzi che si son visti tramandare usanze e tradizioni dai Nonni e dai Genitori, come poi noi stessi abbiamo fatto nel tempo con i nostri figli. Mi ricordo come fosse ieri, quando mio Nonno Vincenzo, alla fine della sfilata si piazzava davanti al grande fuoco e mi diceva: “Pasciò, ascallete ca lu calle de stu Foche nen coste ninte!”. Oggi? Beh, che dire, si è detto già troppo e aggiungere altra carne al fuoco sarebbe come continuare ad alimentare una polemica sterile che vedrebbe ancora una volta da una parte i Tradizionalisti e dall’altra coloro hanno l’immaginario di credere che la formula attuale possa essere l’unica soluzione ai tanti problemi di una società ormai proiettata altrove. Tradizione sì o Tradizione No? Io modestamente ho la mia opinione in merito, ma rispetto anche quella degli Altri. Che dire: Io personalmente me li voglio ricordare così, come questo dipinto magistralmente rappresentato dalla Creatività e dai pennelli del Professor Antonio Pavone: “Li Faegne de Atre de na vodde”.
Melchiorre Ricci Vincenzo