LIBERE RIFLESSIONI IN TEMPO DI CORONA VIRUS

NON TUTTE LE CHAT VENGONO PER NUOCERE

14 marzo 2020, siamo al 5 giorno della più grande prova di responsabilità cui siamo stati chiamati.

Ammettiamolo che non è stato facile raggiungere un livello diffusamente rispettoso delle misure necessarie per frenare il contagio. 

La cittadinanza è un vincolo morale che mai come adesso ci dimostra come il suo contrario non sia semplicemente riconducibile all’essere uno straniero.

Cittadinanza è l’adesione ad uno statuto di regole, anche quelle non scritte, che chiama in causa ognuno di noi.

 Cittadinanza è rispetto dell’altro, generosità sociale, la stessa che oggi impone una salvifica distanza di sicurezza, e che domani auspico diventi il punto di partenza dei nostri orizzonti. Ci insegni a guardare a partire da un metro e mezzo da noi! 

Capiremo con il tempo se la nostra esperienza bellica lascerà una fruttuosa eredità tale da modificare il nostro approccio alla vita e a tutte quelle conquiste date per scontate. Voglio crederci e sperare che, quando tutto questo sarà finito, ognuno si senta più responsabile dell’altro, perché è più che mai verificato che nessuno si salva da solo.

Dall’esplosione del contagio nel lodigiano, una chat di compagni di scuola, attiva quasi solo per il buongiorno, si è trasformata in una novella Radio Londra. In prima linea, un’amica, operatrice sanitaria al fronte.

Forse fanno sorridere queste espressioni, come hanno fatto sorridere me e gli altri compagni, nei giorni immediatamente successivi al 22 febbraio.   A partire da quel giorno, un vero e proprio bollettino di guerra, intervallato da video esilaranti e messaggi vocali sdrammatizzanti, ha instillato nella nostra piccola comunità virtuale crescente consapevolezza delle proporzioni dell’emergenza, della imprescindibilità del restare in casa, sostanziando l’hashtag, e soprattutto del letterale sacrificio di donne e uomini, ANCHE GIOVANI, la cui vita è posposta alla cura di tutti noi.

 E non nego quel subdolo senso di colpa che, forse, è riuscito a far trovare le parole che cercavo da giorni, ma che faticavano a trasformarsi in un pensiero compiuto. Senso di colpa, sì. Di chi, come me, può lavorare da casa e mettersi al riparo dal contagio. Senso di colpa per quanti non hanno ancora capito che sembra agosto ma non lo è. Senso di colpa per i tanti evasori che avrebbero potuto assicurare più posti letto e ventilatori.

Come le ho promesso, riporto uno dei tanti messaggi con cui ci sta raccontando questo che forse stentiamo ancora a crederlo un vero dramma. “…mi viene da piangere…ragazzi caduti sul campo…questa è guerra raga…ci salviamo se ci salvate voi”.

C’è una pretesa che, però, dovremmo tutti avanzare. Personalmente, me ne assumo tutta la responsabilità.

L’organizzazione consolidata dei sistemi di governance, soprattutto, di settori vitali e indispensabili, deve essere ripensata, destrutturata, se non forse rovesciata. È la base che ci sta salvando la vita, non il vertice.

Gabriella Liberatore