PORTAVA ATRI E L'ABRUZZO NEL CUORE

FERDINANDO BOLOGNA, INSIGNE STORICO DELL’ARTE

Nel decennale del sisma dell’Aquila, ha concluso la giornata terrena, lo storico dell’arte Ferdinando Bologna. L’ultimo respiro l’ha esalato a S. Panfilo d’Ocre, nei pressi dell’Aquila dove era nato nel 1925. Si era laureato a Roma con Pietro Toesca.

Si pose sul sentiero di Roberto Longhi, quando in Italia esistevano, nel campo della storia dell’arte, la corrente longhiana e quella venturiana. La disciplina cominciava pian piano a prendere consistenza in Italia, anche con la motorizzazione di massa e le autostrade.

Direttore della Pinacoteca Nazionale di Napoli dal 1950 al 1958, il Professore si è sempre impegnato, attraverso la ricerca, la didattica e la passione, per la promozione dell’arte nell’Italia Meridionale. Ha insegnato a Roma, L’Aquila, Messina e Napoli.

Tra gli innumerevoli studi ricordiamo quelli su Antonello da Messina, condivisi con Alessandro Marabottini, docente di Storia dell’Arte prima all’Università dello Stretto e poi a Perugia, dove concluse soavemente la lunga carriera. E’ stato grande studioso di Caravaggio.

Portava l’Abruzzo nel cuore, il Professor Bologna. In Atri si è soffermato sull’Incontro dei tre vivi e i tre morti, risalenti al XIII secolo, e forse leggermente posti in ombra dal ciclo di Andrea Delitio, i più importanti affreschi del tardogotico abruzzese. Nel 1999, quel misterioso affresco alla fine della navata sinistra della Cattedrale atriana, fu messo in relazione con la presenza di Isabella d’Inghilterra, consorte di Federico II, vissuta in Atri nell’autunno del 1238.

La “domus regia” era presso la Chiesa di S. Giovanni, nella parte Nord-Est del centro storico, dove presto sorse il convento dei Predicatori. L’Abruzzo nel periodo di Isabella era federiciano, legato al mondo germanico, ma dopo non molti anni diverrà angioino.

L’affresco, ennesima declinazione del memento mori, fu valorizzato dopo i penultimi restauri della Basilica (1954-64), quando fu abbattuto l’altare dell’Assunta che ostruiva l’absidiola della precedente chiesa. Vicino al Contrasto, un piccolo affresco di S. Andrea Apostolo con devoto ai piedi, di pittore abruzzese bizantineggiante.

Una delle indagini più famose in Abruzzo, l’attribuzione a Tanzio da Varallo, della tela della Circoncisione nella Collegiata di S. Remigio a Fara S. Martino. L’opera, poco attenzionata dai faresi e dagli storici dell’arte, veniva attribuita al Solario e fu posta in risalto, durante i lavori della Chiesa dell’Annunziata, risalente all’anno 1000, prima parrocchia del paese, incastonata nel nucleo antico.

Tanzio, discepolo del Caravaggio, originario del paese tra Lombardia e Piemonte, vissuto nel clima della Riforma Cattolica, respirò a pieni polmoni l’atmosfera del Sacro Monte, dove uno dei Rettori fu Mons. Francesco Fasola, allievo di Mons. Gilla Vincenzo Gremigni. La formazione fu compiuta anche nella città eterna e breve fu il passaggio in Abruzzo, dove i contatti con la Lombardia erano soprattutto commerciali, con Pescocostanzo, dove viveva una colonia ambrosiana.

Operando a Pescocostanzo, Antonio d’Errico (questo il vero nome), fu chiamato a Fara, pertinenza del Capitolo Vaticano, dove eseguì l’opera d’arte più importante nel paese, per la Chiesa del SS. Nome di Gesù, nel rione Terravecchia, attualmente quasi disabitato. La chiesa, popolarmente detta del Gesù, fu demolita, forse perché fatiscente e nel quartiere rimase soltanto la Chiesa dell’Annunziata.

La Circoncisione di Fara, nel pieno stile caravaggesco, ha ai lati S. Carlo Borromeo e S. Francesco d’Assisi, il primo titolare di un altare nella Chiesa di S. Remigio, il secondo presente attraverso i suoi figli, soprattutto con Fra Silvestro da Fara, il Fra Cristoforo della Maiella. La tela farese, dipinta appena dopo la canonizzazione del secondo fondatore della Chiesa ambrosiana, è coeva di quella dell’altare Arlini, nella Cattedrale di Atri, dove sono presenti pure S. Carlo e S. Francesco, due testimoni della fede che costituivano l’imago brevis del rinnovamento ecclesiale e pastorale. La presenza di S. Carlo, nella tela della liberazione delle Anime SS. del Purgatorio, è motivata dall’origine della famiglia Arlini, proveniente da Pallanza, nel ducato di Milano, passata in tempi meno lontani alla provincia di Novara, come tutta la sponda occidentale del Lago Maggiore. Un passaggio formale, perché i verbanesi non si sono mai sentiti pienamente piemontesi, cullando il sogno, parzialmente avverato, dell’Insubria, territorio del Lago Maggiore, compreso tra Lombardia, Piemonte e Canton Ticino.

Il Professor Bologna è ricordato con grande affetto dai suoi allievi, dal mondo dei beni culturali e dagli abruzzesi. Un ricordo commosso è stato scritto da Irene Tedesco, docente all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, sulla pagina fb. L’allieva ha avuto la gioia di avere due firme del Professore sul libretto degli esami, ma anche un presente natalizio, custodito con cura.

Grazie Professore! Non ho avuto Ferdinando Bologna come docente, neppure come insegnante, e provo una sorta di sana invidia per chi ha attinto direttamente tanta scienza da lui. Entrambi siamo stati riscaldati dal focolaio di affetto dell’Italia Meridionale, da quella geografia di salvezza popolata da tanta buona gente, piena di valori umani e cristiani, la cui metropoli è quel lembo di Cielo sulle antiche rovine pagane al riparo del Vesuvio.

SANTINO VERNA