PESCARA: UNA BELLA MANIFESTAZIONE

IL SANT’ANTONIO ALLE GENTI D’ABRUZZO

Il 20 gennaio, domenica dopo la festa di S. Antonio Abate, presso la sala “G.Favetta” del Museo delle Genti d’Abruzzo, in Via delle Caserme, a Pescara, si è rinnovato il S. Antonio, ormai non più portato casa per casa come una volta.

Nell’attesa dell’esibizione dei due gruppi invitati quest’anno (Pescosansonesco e Chieti), un signore della provincia di Chieti, giunto in anticipo. Vuole assistere al S. Antonio, perché al suo paese non lo rappresentano più, neppure nella soluzione attuale, di una piazza o un locale, per radunare un gran numero di partecipanti. E si lamenta sul vestimento del Santo: trova assurda la mitra in testa.

La kermesse è presentata dall’antropologa Adriana Gandolfi. Si avvicina al pubblico senza microfono, mai usato nella rappresentazione del S. Antonio. E’ una forma di teatro popolare, dove non si esibiscono professionisti, ma gente del paese, dotata di buona voce e capacità coreografiche, senza espletare molte prove. La docente ha parlato di “partecipazione addomesticata” perché al S. Antonio si assiste in piedi, con i diavoli che infastidiscono, con le corse e i salti, il pubblico divertito.

La Prof.ssa Gandolfi è legata al S. Antonio, perché la sua prima esperienza accademica è cominciata proprio con il Santo eremita. In Abruzzo è stato sempre rappresentato e indagato, perché è il Santo più venerato della regione. Il culto arrivò in Abruzzo, grazie alle crociate che costituirono un solido ponte tra l’Oriente e l’Occidente, nel Medioevo. Le reliquie di S. Antonio giunsero in Francia e la chiesa divenne meta di pellegrinaggi, anche se mai come Santiago di Compostella.

Per accogliere i pellegrini, venne fondato un ospizio, gestito dagli Antoniani. Per la manutenzione dell’opera, si dedicarono anche all’allevamento dei maiali. Anche per questo attributo iconografico di S. Antonio divenne il maialino ai piedi. Le genti d’Abruzzo non si ponevano il problema agiografico, ma vedendo l’animale accanto al Santo, lo consideravano patrono degli animali. S. Antonio divenne il riassunto della vita quotidiana abruzzese, perché la fauna legata alle sue genti.

Il maiale “frigorifero a quattro zampe” era indispensabile nella casa del contadino, il cane serviva per la guardia, i buoi per il lavoro, mentre il cavallo e l’asino, erano rispettivamente l’autovettura e l’ape di una volta. E così il gallo, aveva l’incarico di dare la sveglia, per la nuova giornata.

La rappresentazione musicata, tipica della provincia di Chieti, rievoca le tentazioni del Santo. Si va da un minimo di cinque personaggi ad un massimo imprecisato. Il minimo, a volte, è ridotto a due, S. Antonio Abate e il diavolo. Il resto è composto da suonatori, senza un abbigliamento particolare, ma dato che lo svolgevano gli appartenenti alla classe subalterna, vestono da pastori, con lungo e pesante mantello per sfidare i rigori dell’inverno.

Il gruppo di Pescosansonesco, ha presentato il S. Antonio risalente al 1901. La tradizione si perse dopo la IIa guerra mondiale, ma poi tornò in vita. Gli interpreti erano elettrizzati non solo per la rappresentazione, ma anche perché è il primo S. Antonio dopo la canonizzazione di Nunzio Sulprizio. I pescolani l’hanno sempre chiamato “Santo Nunzio”, ma adesso tutti lo dobbiamo chiamare così. Un gruppo dove gli interpreti sono parenti, con la lotta tra il Santo e il diavolo, e il presentatore con il bastone crociato dove spicca l’immagine tradizionale del Santo e le campanelle.

Gli allora studenti dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara, con sede a Chieti, ora laureati, professionisti, con coniuge e figli, alcuni già grandicelli, hanno presentato uno degli allori del repertorio tradizionale. Grazie alla sapiente guida di Adriana Gandolfi è maturato il G.U.T.A. (Gruppo Universitario Tradizioni Antiche).

I Salmi finiscono in gloria anche al Museo delle Genti, ad un tiro di schioppo dalla casa natale di D’Annunzio e dalla chiesa da lui tanto amata, S. Cetteo, e i partecipanti si sono ristorati con gli uccelletti di S. Antonio, dolce per antonomasia della festa che segna la vittoria della luce sulle tenebre. “A Santo Stefano un passo di pulcino, a Sant’Antonio un passo di gallina”, sentenzia un proverbio abruzzese. Si dice, per arrotondamento, che il 17 gennaio aumenta un’ora di luce. Più o meno abbiamo solo mezz’ora, ma era sempre motivo di gioia, perché rimaneva solo il periodo più freddo dell’anno.

Fuori cominciava a piovere. Nemmeno un ambulante con gli ombrelli a scatto e la riserva degli accendisigari. Poca gente per le vie del centro di Pescara. Non è la movida dell’estate o del sabato, già si pensa alla nascente settimana lavorativa. Due ore passate al Museo delle Genti sono un ritorno alle radici, nel ricordo di un Santo, mai vissuto in Abruzzo, ma entrato nel cuore del popolo.

SANTINO VERNA