LA NOSTRA TERRA E LE SUE TRADIZIONI

I GRUPPI ABRUZZESI DEL SANT’ANTONIO ABATE

La rappresentazione musicata del S. Antonio abate, melodramma o canto senza maschere, è una tradizione tipicamente abruzzese. Incontriamo appendici nelle regioni limitrofe, ma sempre intrise di abruzzesità. Per questo S. Antonio Abate è stato definito il Santo più venerato in Abruzzo.

Ogni paese aveva una ristretta compagnia di “santantoniari”, tutti uomini, anche se bisognava impersonare una donna, e questo avveniva pure nella pantomima del miracolo di S. Domenico a Pretoro, Rapino e Villamagna, in date diverse. La rappresentazione del S. Antonio, anche con tanti metri di neve, si teneva sempre nel periodo della festa, intorno al 17 gennaio. Si entrava nel clima di S. Antonio Abate, almeno la settimana precedente, a volte con l’Epifania.

Nel Teramano, Atri ha avuto sempre una compagnia del S. Antonio, il cui apice fu raggiunto dopo la IIa guerra mondiale, grazie ad Antonio Di Jorio che scrisse alcuni melodrammi, affidati a Umberto Sacripante, il più famoso santantoniaro d’Abruzzo. La rappresentazione entrò subito tra i numeri del coro folkloristico e fu portata in tutta Europa, con grande consenso di pubblico.

Silvi ha avuto il sostegno della corale “G. Lerario” della Parrocchia di S. Maria Assunta, e soprattutto in questi ultimi anni, la rappresentazione ha avuto un netto recupero. E’ stato riproposto il testo di Atri, con l’interpretazione di Vincenzo Comignani. Penna S. Andrea, porta avanti un S. Antonio molto più popolare, con il gruppo chiamato dei “santantoniari”. Azzinano di Tossicia, ha avuto il suo S. Antonio immortalato dalla pittrice Annunziata Scipione. E’ un canto più scarno, perché i cantori non vanno mascherati, ma nella tela sono riconosciuti, per l’abbondante neve e gli strumenti musicali della tradizione popolare. Molto famoso, per motivi discografici, il S. Antonio di Teramo, interpretato da Raffaele Fraticelli, con la caratterizzazione di zì Carminuccio. Il canto, composto da più quartine, non ha riferimento al materiale suino, motivo principale del giro delle case. Il poeta chietino, ultranovantenne, dotato di gradevole voce, poco si presta ad impersonare il padre dei monaci, perché poco robusto.

Nel Pescarese, a dispetto della città adriatica dove si recuperano piatti di pesce in luogo di salsicce, lonze e prosciutti, spicca il S. Antonio di S. Silvestro, con vasta gamma di personaggi, dove oltre al S. Antonio, vi sono diavoli, eremiti e angeli. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca quello di Città S. Angelo, dove nella lotta contro il demonio, S. Antonio è aiutato dall’angelo, evocazione di S. Michele, eponimo della Collegiata desiderosa della dignità cattedralizia.

Si distingue il gruppo di Scafa, grazie al testo di Pasquale Stromei e la musica di Gaetano Iezzi, nell’ambito dei festeggiamenti del Santo eremita, con “lu sbannimente”, organizzato da Concezio De Ascentiis, il cui figlio m°Valentino, ha diretto e dirige vari cori di Pescara. I santantoniari di Scafa comprendono S. Antonio, il coro degli eremiti, il diavolo e l’angelo. Da qualche anno è stata introdotta la variante della tentazione, interpretata da Fiorella Zappacosta. La parte del Santo è affidata a Franco Ronzone, con l’uso della barba naturale.

Nel Chietino, il S. Antonio è entrato nell’Università abruzzese, grazie agli studi etnodemologici presenti sin dall’alba dell’ateneo. Tra i vari docenti ricordiamo un luminare dell’etnomusicologia, il calabrese Diego Carpitella. Attualmente si rinnova a Torrevecchia Teatina (nella foto) con la solerte guida di Francesco Giovanni Stoppa, docente di geologia, anche per sottolineare la relazione uomo-ambiente. Il gruppo comprende i soliti personaggi, con la novità della presenza di una donna, nel ruolo di un eremita. La rappresentazione usa costumi della schietta tradizione popolare, senza ricorrere a velleitarismi teatrali. Le corna dei diavoli erano preparate con i peperoni, anche per analogia con la denominazione popolare “diavulille”, perché scotta quando insaporisce i cibi. Ricorda il fuoco e quindi la punizione dell’Inferno.

Si è persa nel dimenticatoio la rappresentazione di Fara S. Martino, dove artisti e poeti locali celebravano il S. Antonio, con l’ausilio degli strumenti classici e della demologia. Tra questi spiccava il “bubbù”, chiamato anche tamburo a frizione. La fine della kermesse, con tanto di benedizione degli animali sul sagrato della Chiesa Maggiore di S. Remigio, fu accentuata dalla demolizione della statua in trono del Santo eremita, sulla quale nacque la leggenda di un rigido inverno, quando il pesante simulacro, in mancanza di legna, fu buttato nel fuoco. Un ristretto gruppo esisteva a Lanciano, e non poteva mancare l’indagine di Emiliano Giancristofaro, il più grande demologo abruzzese, sul sentiero di Benedetto Croce e Alfonso M. Di Nola. Il docente frentano, nel 1993, firmò un audiovisivo sulle feste del solstizio invernale, partendo dall’Epifania per finire al giorno di S. Sebastiano.

A Vasto, la rappresentazione comprende come in Atri i soli due personaggi di S. Antonio e del diavolo, corredati dal coro. Si sono esibiti, dopo la Messa, come a Silvi, nella chiesa di S.Antonio nella città di Diomede, per essere ripresi da TRSP.

Nell’Aquilano ricordiamo il gruppo di Collelongo per corredare la festa dei “cicerocchi” e di Trasacco, indagati dalla docente di lingue Elisabetta Ciccarelli. L’insegnante accostò i santantoniari marsicani ai gruppi di ragazzi in giro per le case, la vigilia di Ognissanti, per Halloween. Tradizione esistente in Abruzzo, la vigilia di S. Martino, senza vestimenti particolari e poi globalizzata dalla moda anglosassone, alimentata dagli scambi linguistici e dai mezzi di comunicazione sociale. La telegrafica filastrocca finisce con una maledizione scherzosa per chi non offre cibo o denaro, e così avveniva in alcuni canti del S. Antonio, quando il cibo veniva apprezzato molto più di oggi.

SANTINO VERNA