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- Pubblicato Martedì, 20 Marzo 2018
- Scritto da Adriano Della Quercia
OPINIONI \ RIFLESSIONI
REDDITO DI CITTADINANZA SI O NO?
La vittoria del Movimento 5 Stelle ha riportato al centro del dibattito politico il reddito di cittadinanza, sussidio presente in tutti i Paesi europei con eccezione di Italia e Grecia. Quanto proposto qui da noi dal M5S consiste, in sintesi, nella possibilità, per le persone senza lavoro, di ottenere una determinata somma (fino alla concorrenza di € 780 per una persona singola) nel rispetto di alcune regole: iscrizione agli Uffici di Collocamento, disponibilità a effettuare percorsi formativi e a prestare la propria opera per progetti comunali utili alla collettività, accettare uno dei primi tre lavori che vengono offerti. Il costo di tale provvedimento si aggirerebbe intorno ai 16 miliardi di euro e dovrebbe riguardare circa 9 milioni di italiani.
Nel seguire il dibattito che in questi giorni tiene banco su quasi tutti i media, si ha l’impressione che la maggior parte degli analisti lo ritenga inapplicabile perché troppo costoso.
Non saprei se scommettere sulla loro competenza e imparzialità, ma sicuramente è lapalissiano affermare che ogni governo, fermo restando le necessarie coperture finanziarie, ha la facoltà di emanare provvedimenti utili al raggiungimento di propri obiettivi: lo ha fatto anche Renzi con gli 80 euro in busta paga. Il problema casomai è politico, ovvero sulla condivisibilità o meno di scelte che indirizzino i soldi dello Stato in una direzione piuttosto che in un’altra. E qui arriviamo al nocciolo della questione. Ho il sospetto che il vasto fuoco di sbarramento al reddito di cittadinanza nasconda in realtà aspetti che nulla hanno a che vedere con la reale fattibilità: penso per esempio al consenso elettorale che un simile provvedimento determinerebbe e che tanto fa paura a quelle forze politiche che non hanno saputo dare risposte alle istanze provenienti dalla società reale; penso alle preoccupazioni di chi vedrebbe messi in pericolo posizioni di rendita e privilegi nel reperimento delle risorse necessarie; penso soprattutto alla frustrazione di tanti politici nel non poter più usare l’arma del lavoro per propri tornaconti elettorali.
Neanche convincono le argomentazioni di chi definisce il reddito di cittadinanza una forma di assistenzialismo. A leggere nel suo insieme la proposta del M5S non solo si ha l’impressione che non si tratti affatto di un sostegno passivo, ma anzi che tenda a smuovere un mercato del lavoro da troppo tempo ingessato. Con la sua introduzione a mio avviso ci troveremmo di fronte ad una situazione invertita della domanda / offerta lavorativa, poiché lo Stato, per diminuire le risorse da destinare agli inoccupati, avrebbe maggiore interesse a creare nuove opportunità di lavoro. Non per niente, tra le varie voci del progetto troviamo anche incentivi per le aziende che assumono chi riceve questo sostegno economico, laboratori per la creazione di nuove imprese nei centri per l’impiego, concessione di beni demaniali per start-up innovative e per progetti di recupero agricolo.
Ma a voler mettere da parte le questioni tecniche, quali alternative è in grado di offrire la vecchia classe politica nei prossimi anni, per far fronte alla domanda occupazionale? E’ pronto il “lavoro di cittadinanza” sbandierato con tanta enfasi? O forse sto sbagliando e il problema è solo nel mettersi d’accordo sulle definizioni: “reddito d’inclusione” o, come sento in questi giorni, “assegno universale per la famiglia”, suonerebbero meglio?
Realizzare il reddito di cittadinanza non sarà una passeggiata, poiché implica interventi anche in altri settori dell’apparato produttivo e richiede ingenti risorse, ma se pensiamo a quante volte lo Stato è intervenuto in settori strategici (uno per tutti: Alitalia) con risultati disastrosi e manager liquidati profumatamente - tutto sulle spalle dei cittadini - allora il reddito di cittadinanza è a portata di mano: per una volta si darebbe qualcosa invece di prendere.
Adriano Della Quercia