TRADIZIONI ABRUZZESI

LE FESTE DI FEBBRAIO

“Cherr, cherr, cannelor che mò t’arpass Biajol”. Questo proverbio atriano sulla Candelora in italiano si legge “Corri, corri candelora che adesso ti sorpassa Biagio” e traduce la fotografia dei primi giorni di febbraio. La festa della Candelora è il 2 febbraio mentre quella di San Biagio è il 3 ed è per questo motivo che è nato il proverbio.

La festa della Candelora, era già nella mia fanciullezza poco seguita, essa è la festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Durante la messa, al mattino presto, si benedicono le candele, simbolo di Cristo “luce che illumina le genti”, che poi si portavano a casa.

La festa di S. Biagio, protettore della gola, era più seguita. Durante la messa si benediceva la gola con due riti: il primo poggiando due candele incrociate sulla gola, benedette il giorno prima; il secondo ungendo con il segno della croce la gola con l’olio benedetto. In entrambi i riti si invocava l’intercessione del santo.

La festa di S Biagio era più seguita perchè alla fine c’era il premio.  Per colazione ci toccava “lu tarall di Sant Biaj”. Era un pezzo di pane duro a forma di cerchio, il tarallo, con chicchi di anice e neanche dolce. Ogni anno un  tarallo a me e due alle sorelle. Quando sono venuto a Roma ci sono rimasto male che il 3 febbraio non c’era il tarallo.

A carnevale c’è il proverbio “Carnevale valente, oggi la ciccia e domani la lente”. A Carnevale tutta la settimana era impegnata nella tradizione culinaria atriana. Si iniziava con il giovedì grasso “scrppel ’imbuss” per pranzo e si finiva con le lenticchie del mercoledì delle ceneri. La festa iniziava la sera del mercoledì con la preparazione “de li scrppell”,  la padella bisognava ungerla con il lardo del maiale per farle venire bene “p farl arda”. La crespella si attaccava alla padella e veniva fuori con i buchi e tutta storta. Giovedì brodo con carne ed ossa di maiale. Mia madre farciva la crespella con pecorino e cannella ed a pranzo mi toccava 4 crespelle. Alle 4 del pomeriggio avevo già digerito tutto.

Il giorno dopo carnevale, con l’inizio della quaresima, era d’obbligo mangiare le lenticchie (la lente del proverbio) e dico che era l’unico giorno dell’anno che mangiavo le lenticchie. La mamma mi mandava ad acquistarle dal negozio di Antonio, detto lu cumò, in via Picena perché erano i migliori. Nel negozio campeggiava la scritta “Oggi non si fa credito ma domani SI”.

Il nostro carnevale era semplice, ci mascheravamo con quel poco che c’era a casa e qualche maschera di cartone acquistata da Giulia Zanni. Così mascherati si andava a casa di amici e parenti e poi sfilata per il corso e a piazza duomo.

Un anno l’attenzione cadde sulla maschera di Napoleone Bonaparte. Era Giovanni Spezialetti, bravissimo e valente fabbro, padre del professore Massimo, vestito tutto di nero, da generale, con il cappello di Napoleone, petto in fuori, portamento elegante e sontuoso destò ammirazione e stupore e regalò una giornata diversa e bella a tutta Atri.

Un altro anno l’associazione studentesca ASA e il circolo ACLI organizzarono un trenino con sopra gli organizzatori, ma non riporto i nomi perché non li ricordo tutti. Un altro carnevale diverso tra trenino e maschere che stavano sotto. Ho visto che quest’anno è stato organizzato un magnifico carnevale con tanti carri e tantissima partecipazione di persone. Spero che sia l’inizio di un ciclo diverso e fecondo di festeggiare il carnevale ad Atri.

Il carnevale di Atri era famoso per il veglione e il cenone del martedì organizzato nel meraviglioso teatro. Il Comitato organizzatore girava per il paese a raccogliere tutto quello che veniva donato (maggior parte bottiglie di pomodoro) che servivano per la lotteria. La sera di carnevale al teatro si ballava e si cenava, timballo e spaghetti alla chitarra non mancavano, fino a notte inoltrata. Una particolarità della tradizione atriana è che il cenone veniva fatto a carnevale e non come adesso il 24 e il 31 dicembre. Il mio primo veglione al teatro fu nel primo o secondo anno di università (20 anni circa).  La lotteria era che il povero donava al ricco. Il povero metteva i regali che poi il ricco che andava al veglione vinceva.

Nicola Dell’Arena