Nella storia... le radici della crescita
Quale futuro per la nostra città?
Atri tra memoria e progetto
di Ezio Sciarra 

 

Ogni cittadino ha una memoria storica e una mappa mentale della sua città. Da essa nasce la consapevolezza della sua identità e il progetto stesso di vita. La testimonianza della mia memoria culturale di Atri e della mia mappa vuol essere un contributo per la consapevolezza dell’identità comune, attraverso una selezione significativa anche per orientare il futuro. 

La civiltà di Atri si estende per oltre duemila anni avanti Cristo conservando tracce e testimonianze di diverse culture da cui ha avuto origine e floridezza nell’antichità, dalla civiltà illirico-sicula a quella picena, a quella etrusca, a quella romana, di cui sono visibili i resti nelle antiche terme, nei mosaici, nel teatro, nelle mura, nelle monete, negli abbondanti materiali archeologici.

Di questo grande periodo seleziono momenti con valenza simbolica sullo spirito di un mondo che ci comunica i suoi messaggi. Si vuole che il nome di Atri derivi dall’abitudine a costruire case dotate di atrio, dove si adunavano all’aperto, intorno al fuoco dei Lari, senza distinzione, tutti i componenti della famiglia, dai padri ai fanciulli, dalle donne agli schiavi, mostrando uno spirito di comunità che dovremmo recuperare in un’età minata dalla atomizzazione sociale.

Si vuole anche che Atri abbia dato il suo nome al mare Adriatico, in quanto grande emporio commerciale con un suo porto presso Cerrano aperto verso est, rappresentando anche una linea di connessione privilegiata con il Tirreno attraverso la via Valeria che la collegava a Roma, di cui intorno al300 a.Cr. divenne come colonia la prima posizione  sull’Adriatico. Uno spirito di apertura al mondo in uno snodo strategico e di imprenditorialità che funge da monito in un tempo di autorefenzialità localistiche.

Alla caduta dell’impero romano Atri fu invasa dai barbari e fece parte delle diverse dominazioni successive longobarde, angioine, aragonesi. Ma al calar del medioevo dopo esser diventa sede vescovile, come espressione di una comunità religiosa corale di popolo, nobili e clero, edificò la mirabile cattedrale dell’Assunta, portata a termine nel 1305, con la solida facciata a pietre riquadre, il decoro elaborato dei portali romanico-gotici, il magnifico ciclo di affreschi interni tra le più alte espressioni del rinascimento pittorico, lo snello ed elegante campanile proteso al cielo, simbolo delle aspirazioni religiose e ideali di un popolo che affermava la sua rinascita e che ancor oggi è un monito di ripresa sociale.

Del resto eretta a diocesi Atri aveva ottenuto il diritto di eleggere un proprio podestà e formare statuti comunali, come è documentato da una bolla di conferma della diocesi, ora conservata nell’archivio capitolare di Atri, inviata nel 1252 del papa Innocenzo IV al Podestà,al Consiglio e al Comune di Atri. Sul genere dei Comuni toscani come forse nessun altro in Abruzzo, Atri godette dunque di statuti e di ampie libertà comunali, con un parlamento di 200 probi viri scelti tra le tre classi dei dottori, dei possidenti, degli artigiani; con la custodia militare affidata a un Capitaneus esterno nominato per suffragio popolare; con un Massarius esterno eletto dal popolo e rinnovato ogni sei mesi. Sotto il potere feudale degli Acquaviva la città otterrà l’approvazione dei suoi Statuti nel 1531. Un segnale di autodeterminazione politica, di libertà comunali, di partecipazione popolare, che ha lasciato una lunga traccia e che può alimentare ancora il progetto di cittadinanza. 

Dal 1395 al 1760 Atri è stato Ducato degli Acquaviva di cui il quattrocentesco palazzo ducale è preziosa testimonianza, e tuttora centro della vita istituzionale cittadina come sede del comune. Gli Acquaviva hanno lasciato una traccia profonda in Atri, come memoria di una dinastia di alta nobiltà costituita da condottieri e cardinali, da diplomatici e letterati, imparentata con gli Aragona monarchi di Napoli, con un enorme territorio con epicentro ad Atri che si estendeva per varie regioni, da Giulianova a Conversano di Bari. È il messaggio di un governo politico ampio e di lunga durata che ancora ammonisce su virtù e valori pubblici, ma forse ancor più su una eccellenza culturale che può per noi costituire ancora un progetto e una eredità, di cui piace sottolineare significative vicende e protagonisti.

Come sintesi di una cultura religiosa ed umanistica, scientifica e politica, nel 1599 Claudio Acquaviva promulgava da generale dei Gesuiti la “Ratio studiorum”, manifesto dell’ordinamento degli studi che avrebbe improntato la formazione delle classi dirigenti per tutti gli ordinamenti futuri dell’istruzione superiore.

Andrea Matteo Acquaviva, guerriero, umanista e mecenate, arricchì Atri di opere d’arte e di letteratura, accogliendo in un centro i letterati del suo tempo ed installando una stamperia che pubblicò una sua Enciclopedia, secoli prima di quella dell’illuminismo francese. Un monito ad incentivare i progetti culturali della città in un’età in cui la stessa economia deriva dalle capacità della ricerca culturale e della comunicazione.

Il cardinale Troiano Acquaviva entrò  in rapporto con Giambattista Vico per il tramite di Celestino Galiani e Vico proprio a Troiano dedicò la sua “Scienza nuova” che inaugurava una nuova visione del mondo storico, e che il cardinale fece pubblicare come all’epoca comportava la dedica dell’opera.

Tra le molte stagioni che sono presenti nella mia mappa mentale di Atri, e su cui più ampia potrebbe estendersi la memoria, voglio considerare almeno quella dell’età risorgimentale, se non altro per il cadere dei 150 anni dello stato italiano unitario, che nel marzo dello scorso anno abbiamo celebrato nel teatro comunale di Atri, ricordando che da Atri è partito l’unico abruzzese dei Mille garibaldini, Pietro Baiocchi, ispirato nella sua coraggiosa azione per l’unità e l’indipendenza della patria dal suo maestro Ariodante Mambelli, prete e mazziniano, anima filosofica del Risorgimento nazionale ed abruzzese. Un monito all’impegno politico ispirato da alta cultura e nobili passioni civili.

Tutto questo patrimonio ultramillenario che abbiamo selettivamente considerato può essere valorizzato da Atri per alimentare la sfida del futuro, dopo aver subito una caduta della sua composizione sociale con lo spopolamento progressivo per via dell’urbanizzazione costiera; una riduzione della sua base economica retta dall’artigianato professionale e dal latifondo agricolo conseguente alla transizione alla tecnologia industriale; una alterazione culturale dei suoi ceti elitistici nel passaggio alla società di massa; una perdita della memoria della sua identità storica proporzionale alla perdita progressiva della sua ampia titolarità territoriale risolta nell’isolamento di una cittadina collinare.

Per superare la sua crisi attuale, Atri deve proiettarsi in progetti ambiziosi, recuperata la consapevolezza dello spessore della sua storia millenaria e la memoria del messaggio che giunge dai suoi momenti migliori. Se questa rinnovata consapevolezza diventa patrimonio comune, allora è possibile innestare azioni concrete e di ampia portata, come quella di riscoprire una propria ampiezza dimensionale necessaria alle sfide attuali, che esigono una massa critica di risorse, popolazione e territorio sul modello della condizione geopolitica e strategica rivestita da Atri nel passato. Non si tratta certo di ricomporre i confini della sua estensione ducale, ma di aprirsi a patti territoriali, intese progettuali, strutture federative nei territori prossimi che ancor oggi si riconoscono nel solco dell’identità storica di Atri per appartenenza culturale ed economica. Intendo quel territorio che, all’incirca, corre dal Borsacchio al Fino e risalendo dalla costa alla montagna.

 Con questa dimensione si può pensare a un futuro che consenta di inserirsi nel flusso di reti interne prima di autosufficienza e poi di sviluppo, avendo come obiettivo del progetto quello di intercettare innovazioni della contemporaneità, innestandole nel recupero dei nessi di continuità con sue antiche vocazioni.

 In primo luogo occorre intercettare risorse energetiche consentite dalle varietà territoriali utilizzando la produzione idroelettrica, il solare, l’eolico, il carburante da biomasse, tanto da sviluppare attività della piccola e media industria diffusa per l’incremento occupazionale, soprattutto giovanile, nell’economia reale.

Occorre ancora garantire la valorizzazione del patrimonio idrico investendolo nelle colture biologiche e stagionali di nicchia, per la salvaguardia ecologica del territorio, della varietà delle sue specie, dei suoi allevamenti tradizionali, delle sue trasformazioni alimentari tipiche, con un recupero dell’economia primaria ed agricola.

Occorre investire nelle scuole delle botteghe dell’alto artigianato prima che i maestri scompaiano e non possano più trasferire ai giovani i loro talenti, tanto più pregiati oggi quanto più rari.

Particolare attenzione va posta al sistema bancario locale e alle sinergie che può sviluppare per il sostegno finanziario delle iniziative di impresa e per l’accesso al credito degli operatori e delle famiglie.

L’interesse all’autosufficienza delle reti interne deve andare di pari passo con l’apertura alle reti esterne, attraverso una sistematica ricostruzione delle peculiarità della grande tradizione storica di Atri per alimentare flussi commerciale e turistici mirati ad una mappa delle sue eccellenze, con un sistema di ricezione integrato tra mare, campagna e montagna.

La presenza recente dell’Università sollecita in particolare progetti di alta formazione residenziale e telematica, con la possibilità di costituire un polo di attrazione, ad esempio con l’insediamento di centri di ricerca e di un’editoria multimediale ad elevata specializzazione, capace di attrarre studiosi da ogni parte, nella città che vide le prime stamperie, i circoli culturali, le pubblicazioni di eccellenza, che ancor oggi segnano una sua vocazione epocale.     

Ezio Sciarra
Professore ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali
Università degli studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara