UN PRETE PROFETA CHE INQUIETA LA COSCIENZA

DON MILANI A MEZZO SECOLO DALLA MORTE

Stroncato da un male ribelle ad ogni tentativo della scienza, entrava nella Pasqua eterna il 26 giugno 1967, Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, tanto amato e tanto contestato in pari tempo. A volte abbiamo assolutizzato qualche sua frase e l’abbiamo adottata per le nostre situazioni.

Don Lorenzo Milani Comparetti (questo il cognome completo) era nato a Firenze il 27 maggio 1923 da Albano e Alice Weiss. Il bisnonno Domenico Comparetti era un illustre filologo. La famiglia non era credente, ma per salvarlo dalle leggi razziali, in quanto le origini erano ebraiche, gli fu amministrato il Battesimo. Viveva in una delle famiglie più facoltose di Firenze, una delle poche a possedere l’automobile negli anni ’20.

Gli studi li compì al liceo “Berchet” di Milano e quindi si diede a corsi d’arte e pittura. Ma saranno la strada verso la vita cristiana e cattolica e il sacerdozio. Fondamentale l’incontro con Don Raffaele Bensi, Parroco di S. Michelino a Firenze, a due passi dal Duomo. Nel 1943 entrò nel Seminario di Cestello, e nel 1947 uscì sacerdote, nella Cattedrale di S. Maria del Fiore, per l’imposizione delle mani dell’allora Arcivescovo Card. Elia Dalla Costa. Con Don Lorenzo furono ordinati il futuro Arcivescovo Silvano Piovanelli e Don Giuseppe Padovani, poi Parroco dell’Ascensione a Rifredi, con la moderna artistica chiesa.

Cappellano di S. Donato a Calenzano, accanto all’anziano Parroco Don Daniele Pugi, Don Lorenzo diede vita alla scuola popolare. Infastidiva i benpensanti e dava il sospetto di adesione al comunismo, mentre si preparavano le elezioni del 1948. Durante la processione del Corpus Domini, era l’eco della preghiera del Proposto: “Signore non perdonare loro che non sono con noi, ma perdona noi che non siamo là con loro”.

Nel 1954, a dispetto della ventilata promozione a Parroco di S. Donato, fu inviato dall’Arcivescovo Dalla Costa, ormai avanti negli anni, nella minuscola frazione di Barbiana, dove l’antica parrocchia di S. Andrea era oggetto del decreto di soppressione. Alle falde del Monte di Giovi, si trovava nei pressi dei luoghi natii del Beato Giovanni da Fiesole e Giotto. Ma non era l’arcadico paesaggio del pastorello (mestiere che l’allievo di Cimabue non esercitò, ma la leggenda s’impadronì della storia che lo volle finanziato dall’Arte della Lana) osservato dal pittore superato dall’allievo, ma un luogo senz’acqua, senza luce, senza strada. Una quarantina di abitanti.

Don Lorenzo non si ribellò all’autorità ecclesiastica. Avrebbe potuto cambiare parrocchia o andarsene via. La frase “L’obbedienza non è più una virtù”, va contestualizzata e certamente non si riferisce al consiglio evangelico e alla professione emessa dai religiosi. Si sentì sempre figlio e membro della Chiesa, di cui sentiva il bisogno per la Confessione.

A Barbiana fondò la scuola, dove si recavano i bambini anche dai paesi vicini, sostenendo tanti sacrifici per arrivare alla canonica. La scuola durava tutto l’anno, anche la domenica. Sembrava il contraltare del paese dei balocchi, invenzione toscana di Carlo Lorenzini. Alla scuola di Don Lorenzo s’insegnava di tutto, non solo le materie curriculari, ma tutto quello che poteva servire per la vita.

Firenze in quegli anni viveva una grande stagione ecclesiale, a partire dall’Arcivescovo Elia Dalla Costa. Incontriamo zelanti sacerdoti come Don Giulio Facibeni, maestro del Card. Piovanelli e Don Divo Barsotti e ferventi religiosi come P. Gino Ciolini, P. David Maria Turoldo e P. Giovanni Vannucci. L’alter ego dell’agostiniano di S. Spirito, lo scolopio P. Ernesto Balducci. Per la parte politica e amministrativa, Giorgio La Pira, terziario francescano e domenicano, il cui figlioccio fu Franco Zeffirelli, autore del kolossal di Gesù che almeno per la scenografia e la ricostruzione rimane insuperabile. Purtroppo le derive non mancarono, come la comunità dell’Isolotto.

Inizialmente incompreso dall’allora Patriarca di Venezia, Card. Roncalli, poi S. Giovanni XXIII, fu anche aiutato dal Beato Paolo VI. Grazie a lui gli arrivarono medicine dal Vaticano quando ormai il male aveva compiuto la sua parte. Don Lorenzo non ha sfornato direttamente sacerdoti, ma molti giovani che hanno intrapreso la strada del ministero ordinato hanno avuto anche lui come punto di riferimento. Ha formato diversi operatori nella politica e nel servizio sociale, come Michele Gesualdi e Gian Carlo Carotti.

Non voleva che Barbiana divenisse Santuario alla sua morte. Si è sforzato di non migliorare la viabilità dal posteggio dei pullmann al sagrato della chiesa, con annesso camposanto dove riposa, circondato da un quaderno e da foglietti di tanti che scrivono una preghiera o un pensiero. Temeva che a breve distanza dalla prematura morte l’agevole asfalto avrebbe permesso l’arrivo del furgone con lo zucchero filato o il venditore dei gattini gonfiabili.

E invece, scesi dalla corriera, un percorso in salita. Il tempo di pregare un Rosario, di meditare più approfonditamente un Mistero, di stare in silenzio con il creato. Come avrebbe fatto Don Lorenzo, per tanti anni dipinto come un rivoluzionario, un Che-Guevara in talare, un sacerdote con la proposta della disobbedienza continua. E’ uno sport intercontinentale riplasmare Santi e testimoni secondo i nostri gusti e le mode frivole e battagliere.

Se sono arrivato a conoscere e amare Don Milani, lo devo alla mia materia preferita, la storia dell’arte. Un bulimico della pasta, pur di vederne i cartelloni pubblicitari e fruire della degustazione, andrebbe subito alla Marcia della Val Serviera domenica 2 luglio prossimo. E così un appassionato della “culla dell’arte” non può misconoscere un sacerdote educatore che peraltro ha pure insegnato questa meravigliosa disciplina, né poteva essere altrimenti nella terra di Giotto e Cimabue.

SANTINO VERNA