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- Pubblicato Venerdì, 09 Giugno 2017
- Scritto da Santino Verna
"Abruzzzo mio,terra da amare"
MOSTRA COLLETTIVA AL CIRCOLO ATERNINO DI PESCARA
Dal 6 all’11 giugno, la mostra collettiva “Abruzzo mio, terra da amare” è allestita presso il Circolo Aternino di Pescara, in Piazza Garibaldi. La parte antica della città dannunziana si riconferma centro culturale con la casa del Vate, quella di Flaiano, Corso Manthonè, luogo della movida pescarese e la Cattedrale di S. Cetteo, dove la torre campanaria, riecheggiante quelle abruzzesi del tardo Medioevo, è stata parzialmente restaurata.
Alla mostra partecipano giovani artisti abruzzesi, di nascita o di adozione, colpiti dalle tradizioni regionali e dal recente sisma. Un modo poetico per ribadire il desiderio di rialzarsi, dopo la calamità dello scorso inverno con la tragedia di Rigopiano.
La partecipazione straordinaria è di Francesco Di Natale, artista chietino, poeta della canna di bambù. Le sue opere erano state qualche tempo fa esposte all’interno della Cattedrale di S. Cetteo. L’autore ha ricostruito i principali edifici sacri d’Abruzzo, a partire dalla Basilica di Collemaggio, colpita dal sisma aquilano, simbolo della regione. Tra quelle sacre mura nacque il primo giubileo della storia della Chiesa, consolidato dal suggerimento del Beato Andrea Conti di Segni. La chiesa celestiniana per antonomasia è ricostruita nei minimi particolari, anche nel campanile a vela, soluzione inaspettata, perché per la più grande Basilica d’Abruzzo, era d’obbligo la torre.
Per la provincia di Chieti, il maestro Di Natale ha ricostruito in bambù la Collegiata di S. Maria Maggiore a Guardiagrele, con la torre sulla facciata e il fastigio in ferro battuto per le campane. La patria di Modesto Della Porta era il centro abruzzese dei sacri bronzi, come lo è adesso Agnone. L’illuminazione delle vetrate conferisce un aspetto peculiare del manufatto.
Due le tradizioni popolari fermate nell’insolito materiale vegetale: la processione del Cristo deposto a Chieti e l’accensione delle farchie a Fara Filiorum Petri. La più antica teoria del Venerdì Santo, risalente al IX secolo, comprende la partecipazione di tante confraternite cittadine e rurali. Nel manufatto dell’artista chietino, per esigenze di spazio, è presente l’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti.
Le farchie, particolare subunità del macrocosmo dei fuochi del solstizio d’inverno, si accendono ogni anno, la sera del 16 gennaio, e sin dall’avvento della radio e del piccolo schermo, è stata attenzionata e portata nelle case di tutti gli abruzzesi. Nella ricostruzione del maestro Di Natale è messo in risalto il trasporto della farchia (enorme fascio di canne, con le fattezze di una piccola torre), sulla quale siede un suonatore di organetto, sottofondo acustico della kermesse. Vengono intonati antichi canti della vita di S. Antonio, padre del monachismo, molto venerato nel Medioevo, quando tutte le calamità e le asperità erano attribuite al demonio. Dato che il Santo lo aveva combattuto e vinto, divenne patrono degli animali della campagna e dei rurali. L’Abruzzo lo elesse patrono morale e in ogni borgo, sul sagrato della chiesa parrocchiale, venivano benedetti gli animali nel giorno della festa.
Rimanendo nelle feste santorali, Pierpaolo D’Annibale, giovane pugliese trapiantato a Pescara, ha immortalato la festa dei serpari a Cocullo, dal titolo “Giovedì di maggio”, perché, se la festa liturgica dell’abate benedettino è il 22 gennaio, per esigenze climatiche, è traslata al Calendimaggio, anche se in questi ultimi anni ha subito un leggero trasferimento, per consentire un maggior flusso di presenze.
L’acrilico su tela rappresenta la famosa statua, avvolta di serpenti. Qui cogliamo il passaggio dal reliquiario alla statua, perché se un tempo le processioni erano incentrate sui resti del corpo del Santo, portati in una preziosa teca dal sacerdote, in tempi più recenti il simulacro è diventato indispensabile nella teoria conclusiva della festa, abitualmente nei Secondi Vespri.
Il maestro d’arte Stefano Polidoro, ha invece, rappresentato un trofeo del Venerdì Santo a Chieti, opera di Raffaele Del Ponte. Se ricordiamo principalmente la processione teatina per il Miserere di Saverio Selecchy, eseguito da tanti suonatori, anche professionisti, subito dopo vengono i simboli, o i gruppi dei simboli, una Passione per immagini. L’artista, docente di Tatuaggio, si è soffermato su uno dei trofei più conosciuti, il gallo sulla colonna, sulla quale sono applicati la mano dello schiaffo e le fruste, disposte a X, ennesimo riferimento alla prima lettera di Christos. S’intravede un fratello dell’Arciconfraternita, incappucciato per conservare l’anonimato o forse per sentirsi importante quella sera. Sullo sfondo la turba dei fedeli e dei turisti, venuti da diverse parti del mondo.
Kristi Rama, artista albanese, formatosi nella bottega paterna, ha dipinto “Rocca Calascio”, una delle meraviglie dell’Abruzzo interno, dove le montagne sono Alpi trapiantate nell’Italia peninsulare e cime per scorgere l’Adriatico e il Tirreno.
Micaela Ballone ha operato una reinterpretazione della fontana delle 99 cannelle, alter ego della Basilica di Collemaggio per la città dell’Aquila. Un numero entrato nella leggenda del capoluogo abruzzese, faro di cultura e commercio, soprattutto nel Medioevo, dove anche le chiese sarebbero 99. La federazione dei castelli anche se comportò un numero minore di edifici sacri, può vantare più chiese di Chieti, la diocesi più antica e più vasta d’Abruzzo, il cui exploit ecclesiale si è avuto nel XX secolo, con l’istituzione del Seminario Regionale e del Tribunale, e tre Arcivescovi con la porpora.
Durante la mostra è giunta la notizia della scomparsa di Trento Longaretti, l’artista centenario che ha lasciato il segno del talento anche nella Galleria d’Arte Contemporanea della Pro Civitate Christiana in Assisi. Nella città del Santo Poverello si è imbattuto realmente e virtualmente nell’Abruzzo con gli artisti Venanzo Crocetti, Carlo Aloisio da Vasto, Giovanni Bartolomucci, Vinicio Verzieri e Remo Brindisi.
Pescara non è molto ricca di arte sacra contemporanea, è ricca comunque di arte “sic et simpliciter” perché il fenomeno D’Annunzio, lo si voglia o no, resiste ancora.
SANTINO VERNA