Parole e musica di una sentita devozione

GLI OTTANT’ANNI DELL’INNO ATRIANO DI S. RITA

La festa di S. Rita, in Atri, è caratterizzata dall’inno, composto nel 1937 dall’Arcidiacono Raffaele Tini, con la musica del m° Antonio Di Jorio. Un inno che esprime tutta la devozione degli atriani per la “Santa degli impossibili”, quest’anno, a causa dell’impraticabilità della chiesa di S. Spirito, ricoverata in S. Nicola, per l’annuale festa, la più sentita della città dei calanchi.

L’Arcidiacono Tini aveva una forte vena poetica e letteraria, esternata anche nel periodico locale di cui era responsabile. Ebbe l’intuizione, nel 1912, dopo la visita di Giuseppe Sacconi, del primo nucleo del Museo Capitolare, il tesoro della Cattedrale, come poteva essere definito, con la conservazione delle opere d’arte di varie epoche, provenienti dal Duomo e dalle chiese dell’antica diocesi.

Mons. Tini, Don Raffaele come era affettuosamente chiamato, compose anche l’inno a S. Reparata, ma quello di S. Rita è rimasto nel cuore di tutto, perché eseguito dalle compagnie biancovestite, durante il pellegrinaggio a piedi, dai paesi vicini a Sud del Vomano, fino alla chiesa di S. Spirito. L’ultimo tratto era percorso in ginocchio. Nell’inno, S. Rita è invocata “nostra protettrice”, senza fare torto a S. Reparata, ma registrando la religiosità degli atriani.

La musica è di Antonio Di Jorio, il padre della canzone abruzzese. Con la festa di S. Rita formava un nesso inscindibile, perché nel 1922, appena giunto in Atri, abbinò alla stessa, la Maggiolata o festa di maggio, come avveniva ad Ortona. La Maggiolata fu portata pure a Lanciano e corredò diverse feste santorali in Abruzzo, con l’esibizione di allegri cori. In Atri, una festa analoga si teneva il 13 giugno, giorno di S. Antonio di Padova, contemplato tra le dieci celebrazioni dello Statuto Municipale. Il passaggio a S. Rita fu anche motivato dal breve dell’indulgenza, concesso nel 1901 da Leone XIII, su richiesta del Vescovo Giuseppe Morticelli.

La storia è stata ricostruita sapientemente dagli studiosi Ettore Cicconi, fondatore del Museo Etnografico e Carmine Manco, indimenticabile insegnante nella scuola statale e pubblicista. Una storia che affonda le radici nella lunga presenza agostiniana presso la chiesa di S. Spirito. Poiché i figli di S. Agostino hanno un santorale molto scarno, a differenza dei Francescani, hanno curato molto bene il culto di S. Rita, addirittura prima della canonizzazione, avvenuta nell’Anno Santo del 1900. E non si sono fatti problemi, per il timore di oscurare i due protagonisti dell’Ordine, S. Agostino e S. Monica, come forse è avvenuto per qualche famiglia religiosa, dove sono stati messi alla porta, talvolta, Santi significativi, concentrando l’attenzione solo sul fondatore.

La Maggiolata per lungo tempo fu associata a S. Rita, ma come diverse tradizioni atriane, conobbe il suo autunno. Manifestazione analoga era l’Ottobrata, con l’uva in primo piano, e per questo denominata anche “festa dell’uva”, abbinata alle celebrazioni della Madonna del Rosario, riproponendo l’antica rivalità tra i quarti Capo d’Atri e S. Giovanni. Nel 1973, su proposta dell’assessore Prof. Pino Zanni Ulisse, peraltro pronipote dell’Arcidiacono Raffaele Tini, la Maggiolata fu trasferita al 15 agosto, non solo per ragioni turistiche, ma anche per colorare la solennità dell’Assunta.

La festa di S. Rita rimase sempre abbinata alla canzone abruzzese, con la partecipazione del coro “A. Di Jorio”, diretto dal m° Cav. Prof. Concezio Leonzi, in Piazza Duomo, sulla cassa armonica. Vi hanno partecipato in edizioni recenti, diverse formazioni canore, come il coro “F. P. Tosti” di Francavilla al mare, nel 1995. Il comitato, presieduto da circa mezzo secolo dal Cav. Antonio Concetti, tiene sempre presente la componente folkloristica della parte ricreativa.

L’inno “O nostra S. Rita/ fidenti ti preghiamo/ allietaci la vita di grazie e di favor”, risuona nella piccola chiesa di S. Spirito, nel triduo e nel giorno della festa. Si entra nel clima della stessa con i 15 giovedì, pratica, esemplata sui martedì di S. Antonio, a partire dal XVIII secolo, in ricordo dei 15 anni della presenza della spina dolorosa sulla fronte della Santa. Atri recepì subito questa consuetudine, e la continua tuttora, annunciata dalle campane di S. Spirito. Nell’inno si parla delle rose, i fiori di S. Rita, imago brevis del profumo diffuso dai Santi con la testimonianza evangelica. Le rose rosse sono simbolo del mese di maggio, in cui S. Rita concluse la giornata terrena, ma pure della Pentecoste, la solennità liturgica che talvolta può cadere il 22 maggio.

L’inno di Don Raffaele e del m° Di Jorio è tutto atriano, e quindi Atri non ha dovuto mutuare brani dal canzoniere del Santuario di Cascia e Roccaporena, come è avvenuto per “O dei miracoli”, versione popolare del “Si quaeris miracula” di S. Antonio. Anzi, quest’ultimo veniva eseguito dalla banda per molti altri Santi. E alcuni ricordano l’indimenticabile m° Cav. Glauco Marcone alla festa di S. Vincenzo Ferreri in un paese che gridava agli allievi “L’inno a S. Vincenzo”. E la banda suonò l’inno al Taumaturgo di Lisbona. Il popolo fu ugualmente felice, perché la concorrenza esiste tra gli uomini, ma non tra i Santi in Cielo.

SANTINO VERNA