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PENSIAMOCI IN TEMPO: Santa Reparata, una festa da riscoprire

Le celebrazioni in onore della Patrona possono diventare un grande evento sociale e culturale per la città se riportate all’antico splendore

 

 

Nessuna luminaria, una normale processione con banda per le vie cittadine, qualche fuoco d’artificio a chiusura dei festeggiamenti, un solo giorno di festa.

Ecco come Atri si è ridotta a festeggiare la sua santa patrona, Reparata di Cesarea di Palestina, una ragazza appena quindicenne di nobili costumi martirizzata per la sua fede nel 250 d.C.. Le celebrazioni per il santo patrono della città, che dovrebbero essere un momento di richiamo per la cittadinanza e anche per le località vicine, ad Atri sono praticamente snobbate, passano nel disinteresse generale. Gli atriani provano ogni anno una profonda amarezza nel vedere così trattata la loro protettrice. È squallido vedere la processione che passa per le vie di Atri semi-deserte, buie, dove la processione stessa sembra essere un qualcosa di estraneo e incongruo. Se si vedesse quanto è valorizzata, partecipata e motivo di vanto in tante città la festa del patrono, sarebbe difficile non vergognarsi. Facciamo un piccolo salto nel passato e vediamo come è nata e come si svolgeva un tempo la festa patronale.

Nel Medioevo, Atri era un Comune, governata da un Parlamento Comunale (una sorta di Consiglio o Giunta) i cui membri erano eletti direttamente dal popolo, così come allora avveniva in altre città italiane più grandi, ad esempio Firenze. Atri e Firenze intrattenevano da tempo fiorenti scambi commerciali; alla metà del Trecento i rapporti si fecero sempre più intensi e nel 1352 accaddero due fatti importanti: Atri emanò per la prima volta gli Statuti Comunali, una carta con le leggi della città, ispirati a quelli fiorentini, e proclamò come protettrice la stessa santa di Firenze,Reparata. Fu proprio il governo comunale di Atri a proclamare il patronato, un fatto strano visto che si tratta di una cosa che dovrebbe spettare alla Chiesa; e fu sempre il Comune che decise di fissare la festa al Lunedì dopo l’Ottava di Pasqua, discostandosi dalla data canonica che è l’8 Ottobre. Dopotutto, i motivi che portarono al patronato di Santa Reparata sono di natura piuttosto civile: secondo il Parlamento Comunale, per intercessione di Santa Reparata sarebbero finiti gli scontri tra guelfi (alleati del Papa) e ghibellini (alleati dell’imperatore tedesco) che opponevano le famiglie atriane e la guerra tra Atri e Città Sant’Angelo. Santa Reparata, perciò, divenne l’esaltazione stessa del Comune, gloria e vanto della Atri comunale. Il carattere spiccatamente civile del patronato si evince anche dal fatto che fu il Comune, nel 1355, a decidere la costruzione della chiesa dedicata alla santa, e infatti ancora oggi in cima all’altare campeggia un grande stemma di Atri con i colori cittadini rosso, bianco e blu (oggi sostituito dal verde).

Era il Comune ad accollarsi le spese dei festeggiamenti. Innanzitutto, un mese prima il Comune nominava quattro uomini, i probi viri, che provvedevano a tutto il necessario per la buona riuscita della festa, e quattro pacieri per ogni quartiere, i quali avevano il compito di riconciliare famiglie in discordia in modo da poter celebrare la festa in perfetta pace.

Le strade venivano addobbate con festoni e fiori (si parla di giunchi e mortelle).

Il primo giorno di festa, il Sabato, un messo, accompagnato da musici pagati dal Comune (tamburini e trombettieri), girava per le strade di Atri leggendo il bando con il programma.

Il Sabato e la Domenica si correvano i ludi, una sfida (che comprendeva anche una competizione cavalleresca) tra i quartieri della città; a quello vincitore andava il ‘palio’, cioè un drappo di stoffa rossa, più un gallo e della porchetta. Non poteva mancare il dramma sacro con la rappresentazione della vita della santa, a cui davano inizio le esibizioni degli istrioni, cantori e ballerini. Il Lunedì, il giorno vero e proprio di festa, tutta la popolazione andava in piazza (o, se era cattivo tempo, nel Duomo) ad assistere al solenne pontificale del vescovo.

La sera, la festa si concludeva con l’accensione delle faci, un grande falò attorno al quale si ballava e si cantava fino allo spegnimento. Nei tre giorni il Comune provvedeva anche ai tripudii, la distribuzione gratuita di carne ai poveri. E’ facile constatare che si tratta soprattutto di celebrazioni civili e l’unico momento religioso importante è la messa del Lunedì.

Nel Rinascimento, con i duchi Acquaviva, la festa di santa Reparata ebbe alcune modifiche . Era sempre il Comune che provvedeva ai festeggiamenti: benché ora il potere fosse nelle mani del duca, le antiche magistrature comunali erano rimaste, governando la città assieme agli Acquaviva.

Fu istituita la fiera e venne dato maggior risalto alle celebrazioni religiose, organizzando per la prima volta la processione. Si trattava di un corteo grandioso: accompagnavano l’immagine della santa il duca e la sua corte, il Comune con tutto l’apparato amministrativo e con i quattro probi viri, i quattro quartieri (iquartidi Santa Maria, San Nicola, San Giovanni e Santa Croce, tuttora esistenti) con i propri pacieri e le rappresentanze dei casali, i borghi dei dintorni sottomessi ad Atri, e cioè: Silvi, Mutignano, Villa Bozza, Casoli, Preteto (oggi San Giacomo), Melegnano (Santa Margherita), Montepetito (San Martino), San Giovanni a Cascianello e Mariano. Vi erano poi tutti gli ordini religiosi, il clero diocesano, il vescovo e le confraternite con i propri simboli. Al posto delle faci, i duchi introdussero i fuochi d’artificio e le prime luminarie. Con la fine del ducato, nel 1760, la festa di Santa Reparata prese pian piano a declinare: la parte civile si ridusse solo alla fiera e alla partecipazione del sindaco alla processione; non parteciparono più i quartieri e i casali, in quanto Cascianello e Mariano erano scomparsi, Villa Bozza era passata a Montefino e Silvi e Mutignano erano diventate indipendenti. Anche la rappresentazione sacra, che nell’Ottocento era ancora apprezzata (nel 1842 fu scritto il nuovo dramma La Vergine di Cesarea), nel Novecento invece sparì, così come sparirono le confraternite. Negli ultimi decenni è venuto a mancare anche quel poco che serviva a dare un minimo di decorosità e solennità alla festa: sono scomparse le luminarie e la cassa armonica in piazza, i tre giorni di festa si sono miseramente ridotti a uno. E’ tempo che Atri rispolveri ben bene la sua Storia, poiché la città sembra averla un po’ dimenticata, anzi la snobba anche; bisogna che essa prenda autocoscienza del suo grande passato e si impegni per realizzare manifestazioni di un certo livello che destino la curiosità e l’interesse della cittadinanza tutta e dei forestieri, partendo proprio dalla sua festa patronale. In molte località la festa del patrono è stata riportata agli antichi splendori, diventando un collante sociale e motivo d’orgoglio per i cittadini: mi vengono in mente il Palio di San Floriano a Jesi, o la Giostra della Quintana ad Ascoli Piceno in onore di Sant’Emidio, che è oggi una delle manifestazioni più note d’Italia. Anche qui le celebrazioni del patrono erano state quasi abbandonate; gli amministratori e le associazioni cittadine hanno preso in mano la situazione, fermando un processo di decadenza e disinteresse. Diciamolo chiaramente: se una manifestazione viene ridotta, o non organizzata affatto, non è solo colpa della crisi, ma vuol dire che gli stessi cittadini non se ne importano più di tanto, altrimenti non si spiegherebbe come invece altre feste crescano ogni anno d’importanza. L’Amministrazione Comunale e tutte le associazioni culturali devono allora smuovere la cittadinanza e provare a organizzare la festa di Santa Reparata in modo che essa torni ad essere il motivo d’orgoglio della città come un tempo. Perché non riportare in vita i ludi? Finalmente anche Atri, al pari di altre importanti città d’arte e di cultura abruzzesi, potrebbe avere il suo gruppo storico, che non deve essere (come purtroppo delle volte spesso accade) un piccolo gruppetto di persone che si incontrano solamente in quel dato giorno per sfilare con i costumi d’epoca, ma una vera e propria associazione culturale che interagisce con le varie realtà del territorio e intrattiene contatti anche con gruppi extra-regionali. I ludi potrebbero essere una splendida occasione per riunire i cittadini di Atri e identificarli ognuno con un quartiere, rendendoli così parte attiva della manifestazione, facendo partecipare inoltre le rappresentanze di quelli che una volta erano i casali del Comune atriano e, perché no, anche una delegazione di Firenze, da cui Atri ha preso la patrona, favorendo l’inizio di una sinergia culturale tra i Comuni. Anche la processione potrebbe vedere la presenza dei figuranti in abito antico, con il duca, i quarti e i casali, rievocando il suo antico allestimento senza intaccare, al contempo, lo svolgimento attuale; magari anche il sindaco, i consiglieri e la giunta potrebbero vestirsi, visto che, come già detto, il patronato è stato opera del Comune. Infine, si potrebbe nuovamente inscenare in piazza il dramma della Vergine di Cesarea, le cui ultime edizioni risalgono agli anni ’60 e ’80.Attorno alle tre manifestazioni principali fin qui elencate (ludi, processione e dramma) potrebbero poi essere organizzati altri eventi minori, come mercatini medievali o l’annuncio del bando.

Con questo articolo ho certamente riportato fuori un pezzetto di storia atriana, uno spaccato di società antica che può incuriosire molti; l’augurio è che però queste non diventino parole sprecate, buttate sul foglio solo per sporcarlo e per leggerle come la favoletta della sera, ma che siano un incitamento ad organizzare per la prima volta un evento di alto livello culturale e di grande interesse. Altrimenti, possiamo benissimo mettere la parola fine sulla festa patronale, facendola scomparire così come accaduto a tante altre tradizioni atriane.

Gioele Scordella