CENTENARIO DELLA NASCITA DI PADRE TUROLDO

UN PROFETA, POETA DELLA FEDE

Il 22 novembre 1916 nasceva a Coderno, in Friuli, Giuseppe Turoldo, uno dei protagonisti della poesia religiosa del XX secolo. Il Friuli povero e periferico influì profondamente nel piccolo Giuseppe, nato in famiglia numerosa, dove per andare a scuola metteva un umile gonnellino. La mucca era mantenuta soltanto nella buona stagione, perché in inverno diventava una grande spesa.

La madre lo avviò alla marianità, portandolo al Santuario della Madonna delle Grazie in Udine, dove si recava per chiedere l’intercessione presso il Signore, per il pane quotidiano. In quelle sacre mura, Giuseppe prese coscienza della vocazione ed entrò tra i Servi di Santa Maria, uno dei cinque Ordini Mendicanti che formano la composizione stellare, con i Francescani, i Domenicani, i Carmelitani e gli Agostiniani.

Nel 1940 fu ordinato presbitero nella Basilica della Madonna di Monte Berico. Intanto aveva assunto il nome religioso di David Maria, riassunto della vocazione: il poeta della Bibbia e la Madre del Redentore. Gli fu offerto il ruolo di Assistente Universitario e fu predicatore nel Duomo di Milano, negli anni in cui la seconda città italiana per numero di abitanti si riconfermava centro dell’economia nazionale. Le prediche infuocate non dovevano essere gradite al ceto egemone, per dirla con Alberto Cirese, e fu costretto ad emigrare, vivendo tutto nell’obbedienza al Papa, ai Vescovi e ai Superiori dell’Ordine.

Rientrato in Italia, appena dopo la morte di S. Giovanni XXIII, si stabilì proprio nel paese del Papa buono, nell’abbazia di S. Egidio a Fontanella, un vecchio cenobio dove nessuno voleva più andare. Gli fu affidato dall’Arcivescovo di Bergamo, Mons. Clemente Gaddi, il quale glielo diede a condizione di non farne una distilleria o un luogo di miracoli, perché questi ne erano già abbastanza nel Vangelo. Il Vescovo voleva essere accolto come amico nel centro ecumenico di Padre Turoldo.

Legato al Beato Paolo VI, Papa Montini lo incaricò di parlare ai lontani. “Tutti siamo lontani”, disse il frate servita. E il Papa della Trasfigurazione gli rispose, “E’ vero, Padre David, tutti siamo lontani!”. Amico di Pier Paolo Pasolini, anche per via della friulanità, fu molto vicino a P. Ernesto Balducci, P. Giovanni Vannucci, Giorgio La Pira e Don Lorenzo Milani, del quale scrisse la prefazione alla monografia della Fallaci.

Nelle tante peregrinazioni, si fermava a Padova, da S. Antonio di cui fu grande devoto. Come di S. Francesco. Non amava la devozione mielosa verso il Taumaturgo di Lisbona, invocato per avere un marito o per il portachiavi smarrito.

Ammalatosi di tumore, il “drago” come lo chiamava, fu lucido fino al momento della morte. La cattedra del dolore fu sempre la badia a Sotto il Monte, dove accorrevano tanti fedeli, soprattutto giovani. Non sembrerebbe. Il frate magro dal volto diafano, dalla bellezza angelica, dalla voce tuonante come gli antichi profeti, dalla caratura intellettuale, richiamerebbe poco il mondo adolescenziale e giovanile, come vuol far crederci una certa sociologia. Non era certamente un uomo di Chiesa che per rendersi simpatico era in prima fila ad osservare il ritiro della Juventus a Vinovo. Forse lo trovavi più facilmente alla presentazione di un libro o al taglio del nastro per un Museo.

Non giocava certamente a fare l’uomo di cultura. Ripeteva spesso che noi muoriamo perché adoriamo cose da nulla. Il male di oggi è l’amore del nulla. Una situazione che ci ha fatto affibiare il termine “entusiasmo” a cose che non lo meritano.

L’ultima apparizione pubblica, il 2 febbraio 1992, festa della Presentazione del Signore. Era minato dalla sofferenza e le braccia erano segnate da lividi e cerotti. Però quel giorno sembrava lo sposo preparato per le nozze, avvolto in un raffinato camice bianco con le guarnizioni colorate ai polsi e alle estremità e una stola oro, come si usava nelle prime Messe della riforma liturgica del Vaticano II. Senza grosse pretese, ma con grande entusiasmo nel cuore. Stavolta, vero entusiasmo. Non riusciva ad alzarsi in piedi, eppure tenne l’omelia e un breve pensiero alla fine della Messa.

La S. Messa fu trasmessa in televisione, perché in quegli anni, il coordinatore Don Attilio Monge, sceglieva per la giornata della vita (prima domenica di febbraio) una chiesa o un’assemblea con gli ammalati. Padre Turoldo era ricoverato alla casa di cura “S. Pio X” dei Ministri degli Infermi (Camilliani) a Milano. La S. Messa fu celebrata dall’allora Superiore della comunità, P. Carlo Vanzo. Una ripresa certamente non molto felice, perché bisognava posizionare le telecamere in luoghi angusti. Per giunta c’era la processione con le candele e il tempo limitato dalla TV di Stato. La voce fuori campo era di P. Ferdinando Batazzi, del convento di Ognissanti di Firenze. Terminato il collegamento, P. Turoldo si complimentò con tutto lo staff della S. Messa, allora soltanto su Raiuno. Sottolineò il fatto che molti infermi, non volevano i parenti alle 11 della domenica, perché dovevano seguire l’Eucarestia sul piccolo schermo.

Il 6 febbraio, la nascita al Cielo. Le esequie furono celebrate a Milano, nella chiesa di S. Carlo al Corso, dall’allora Arcivescovo, il Card. Carlo Maria Martini, amico di P. Turoldo. Il porporato ricordò che la Chiesa tardi riconosce la profezia. Così fu per Don Primo Mazzolari, così è stato per David Maria Turoldo.

SANTINO VERNA