IL NOSTRO ILLUSTRE CONCITTADINO E LA PRESTIGIOSA UNIVERSITA'

LUIGI ILLUMINATI, MESSINESE DI ADOZIONE

Tra i figli illustri di Atri, spicca Don Luigi Illuminati, insigne latinista che ha immortalato la cittadina natale ne “Un paese d’Abruzzo nella seconda metà dell’Ottocento” (1947), con ristampa anastatica (1988), a cura dell’omonima associazione culturale. “Cominciai a scrivere queste pagine in una piovosa giornata di gennaio siciliano, che nella solitudine di una camera d’albergo mi faceva ripensare in tristezza di nostalgia alle gelide, nebbiose e nevose giornate del mio paese in Abruzzo” (p.7). Questo l’incipit del libro, una carrellata di ricordi d’infanzia, con l’autorevole e paterna presenza del Sindaco Antonio Finocchi, un popolo di aristocratici, canonici, artigiani e contadini, le tradizioni popolari e una frecciata al rivale di Pescara quando parla dell’”atmosfera in cui respirò la gioventù falsamente inebbriata da codesto culto disumano e violento” (p.11).

Il frontespizio presenta l’autore, non come sacerdote e canonico della Cattedrale di Atri, ma nella veste di Ordinario di Letteratura Latina nella Università di Messina. Praticamente nella pagina non c’è nessun riferimento diretto ad Atri, ma solo quello implicito del paese d’Abruzzo. Ne potevano essere tanti, e Atri, a ragione, poteva considerarsi cittadina o addirittura città.

Messina era ed è un’Università prestigiosa. Già nel XV secolo erano cominciati i progetti di un ateneo nella Città dello Stretto, ma si dovette arrivare al 1548, quando, con il beneplacito di Paolo III, S. Ignazio di Loyola, diede il via al prototipo dei collegi della Compagnia di Gesù con quella che diverrà l’Università messinese. Fino al 1499, 19 erano gli atenei nella penisola italiana, divisa in tanti Stati. Un numero certamente non piccolo, perché, se messo a confronto con le regioni attuali, quasi ognuna avrebbe l’Università. La Polonia e il Portogallo, nello stesso periodo, erano privi di atenei, e la Croazia, ne aveva appena uno.

L’Italia meridionale aveva le sedi di Napoli e Salerno, e non molti erano gli studenti che le frequentavano. Si sviluppò l’idea dell’Università ubicata in una città distinta dal capoluogo di regione, e di conseguenza abbiamo Padova per il Veneto, Pisa per la Toscana e Pavia per la Lombardia. Stessa soluzione si potrebbe dire per Messina, ma agli albori dell’Università era, in pratica, il capoluogo della Sicilia, perché punto nevralgico tra Oriente e Occidente. Anche sotto il profilo ecclesiastico, aveva un’importanza peculiare, con l’imponente Cattedrale e la sede archimandritale del SS. Salvatore, imago brevis del periodo bizantino.

Rifondata nel 1838, dopo un lungo periodo di decadenza, l’Università di Messina, conobbe una seconda giovinezza, proprio mentre si preparava ad accogliere Don Luigi Illuminati, con l’insegnamento di Gaetano Salvemini, Giovanni Pascoli e Salvatore Pugliatti. Nel “cursus studiorium” di Giorgio La Pira, amico di Pugliatti e Salvatore Quasimodo, Messina ebbe un ruolo fondamentale. Il giovane professore di diritto, si trasferì a Firenze dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Nel periodo fascista fu presente il rischio di una fusione tra Messina e Catania, alimentata dalla rivalità fra le due città, per il predominio nell’isola. Se Palermo vantava lo status di città baronale con i palazzi e le chiese monumentali e Catania, con il polo industriale, era definita la Milano del Sud, Messina era di fatto la capitale culturale della Sicilia, con la presenza di studenti provenienti dall’isola e dalla Calabria.

Per la storia dell’arte, l’ateneo messinese, proprio nell’anno della morte di Illuminati, accoglieva Alessandro Marabotti Marabottini (conosciuto con il secondo cognome da lui preferito), insigne studioso di Antonello e Polidoro da Caravaggio, viaggiatore, sportivo e collezionista che, con il solo stipendio di docente, comprava opere d’arte nei mercatini, formando il primo nucleo del Museo di Palazzo Baldeschi di Perugia (nel cui ateneo si era intanto trasferito), inaugurato il 20 dicembre dello scorso anno. Da Messina, proviene pure Caterina Zappia, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Perugia, la più grande studiosa di Maurice Denis.

Don Luigi, difficilmente chiamato con il nome, anche per evitare la confusione con i canonici atriani Colaianni, Montebello e Tieri, lasciò il segno del suo talento in diverse città italiane. A Roma, da lui sempre amata, perché “caput mundi”, a Genova e Cagliari dove fu docente, a Napoli che lo vide studente di lettere, a S. Severo e Lanciano, luogo dell’inizio della carriera. Nel capoluogo frentano aveva conosciuto Don Cesare De Titta, e con Don Evandro Marcolongo e Don Ireneo Tinaro si recava ogni tanto nella casa dello “speziale” a Fara S. Martino, con la partecipazione di Modesto Della Porta. Ma la città dello Stretto, oggi dotata di diverse facoltà, con sedi staccate tra Sicilia e Calabria, rimase il luogo che meglio riassume l’attività di intellettuale e umanista.

Un riferimento all’Università dell’isola lo incontriamo in una lapide all’ingresso del Monastero di S. Chiara, dove si ricordano anche due figure legate alla rinascita della comunità claustrale: il Servo di Dio Stanislao Amilcare Battistelli, Vescovo di Teramo e Atri e la storica Badessa, Madre Chiara Matilde Grillone. Il Canonico Illuminati era cappellano delle clarisse, elogiate dal medesimo per i mostacciuoli di mandorle e cioccolato, i bocconotti e i finocchietti. Gli serviva Messa, Raffaele Marcone, e qualche volta pure il figlio Costanzo, già funzionario della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

Come Don Giuseppe De Luca, contemporaneo di Illuminati, teneva a definirsi “prete romano”, malgrado la provenienza da Sasso di Castalda, il sacerdote di Atri, amava dirsi “docente messinese”. Il Mezzogiorno d’Italia, di cui l’Abruzzo è la propaggine settentrionale, almeno storicamente, non attrae molto, ma è stato e continua ad essere un vivaio di cultura, da alimentare e offrire per la promozione umana e la valorizzazione di un multicolore e radioso territorio.

SANTINO VERNA