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- Pubblicato Sabato, 08 Ottobre 2016
- Scritto da Santino Verna
EVENTI CHE ABITANO LA NOSTRA STORIA
IL BEATO INNOCENZO XI E LE RELIQUIE DI SANT’ILARIO A MUTIGNANO
Era il 7 ottobre di 60 anni fa, quando Pio XII beatificava un suo illustre predecessore sulla cattedra di Pietro, Innocenzo XI, il Pontefice del dono delle reliquie di S. Ilario a Mutignano. La beatificazione suscitò minore emozione della canonizzazione di S. Giovanni XXIII e S. Giovanni Paolo II, perché i due Papi del XX secolo hanno lasciato un segno fondamentale nel cammino della Chiesa. Ma la celebrazione riuscì imponente per via dell’apparato cerimoniale di Pio XII.
Benedetto Odescalchi (questo il nome anagrafico) era nato a Como il 19 maggio 1611 da Livio e Paola Castelli Giovanelli, di Gandino. La famiglia paterna era lariana, tra le più ricche della Lombardia spagnola. Siamo nel secolo in cui fu ambientato il famoso romanzo di Alessandro Manzoni. Grazie alla sua famiglia, la Compagnia di Gesù era arrivata a Como e il giovane Benedetto, dopo la primaria formazione umanistica, si era formato dai figli di S. Ignazio, dove, perché riconosciuto tra gli alunni meritevoli, fu iscritto alla Congregazione mariana, compagine gesuitica, il cui erede, per certi versi, oggi è il MEG (Movimento Eucaristico Giovanile).
Compì una formazione anche di economia e commercio, presso uno zio a Genova, mentre nella capitale e a Napoli si formò come giurista. Nella principale città del Mezzogiorno d’Italia, ricevette la tonsura, senza però aspirare al sacerdozio. Infatti gli incarichi ecclesiastici ricevuti nel corso del periodo giovanile, li assolse da diacono. Ma nel 1650 fu eletto Vescovo di Novara, una diocesi più vaste d’Italia, e questo comportava l’ordinazione sacerdotale e la consacrazione episcopale. Accettò per obbedienza, e assunse a modello di guida del gregge, S. Carlo Borromeo, riformatore della Chiesa, promotore dei Seminari di cui è patrono e grande nella misericordia, soprattutto verso gli appestati. Il Vescovo Benedetto fu prodigo verso gli ultimi nella diocesi di S. Gaudenzio, come lo era stato, a Macerata e Ferrara, quando dovette gestire i postumi della carestia in alcune aree dello Stato Pontificio.
Sollevato dall’incarico di Vescovo di Novara, per motivi di salute, la Provvidenza lo fece salire sulla cattedra di Pietro, in un momento difficile per la Chiesa, ancora minacciata dai turchi. Erano stati vinti nel 1571 nella battaglia di Lepanto, con l’intercessione della Madonna del Rosario, ma l’obiettivo dell’Europa rimaneva sempre presente nella Mezzaluna. In parte i turchi vi erano riusciti, conquistando una parte dei Balcani, ma nel secolo XVII si spinsero fino a Vienna.
Innocenzo XI aveva assunto questo nome in ossequio a Innocenzo X. Durante il pontificato, contrariò il nepotismo e restaurò la chiesa di S. Maria di Monterone, nei pressi del Gesù, dove c’era un ospizio per l’accoglienza dei pellegrini senesi. Sorella morte lo colse il 12 agosto 1689 e subito fu avviato il processo per il riconoscimento delle virtù eroiche. Ma come non di rado avviene in queste operazioni (abbiamo l’esempio del Beato Rodolfo, con la beatificazione avvenuta tre secoli dopo il martirio), Innocenzo XI dovette aspettare molto.
Il 26 settembre 1683 arrivarono, con il beneplacito di Papa Odescalchi, le reliquie di S. Ilario martire, dalle catacombe di S. Callisto a Mutignano, presso la chiesa di S. Silvestro Papa. Per l’evento si prodigò il Card. Gasparo Carpegna, porporato romano più tardi Vescovo di Sabina e titolare di diverse Basiliche dell’Urbe, Vicario del Papa. Fu lui a consacrare Vescovo dopo la consegna delle reliquie di S. Ilario, Francesco Acquaviva. La richiesta fu avanzata dal duca Giovan Girolamo Acquaviva d’Aragona, sollecitato dal popolo di Mutignano, passaggio obbligato per tutti quelli che venivano dal porto di Cerrano. La devozione a S. Ilario, semisconosciuto soldato del IV secolo, ma forse uno dei tanti cristiani laici perseguitati, vestito da milite perché aveva ricevuto la palma della vittoria dopo la battaglia della fede, sarebbe stata introdotta a Mutignano nella seconda metà del XV secolo. Il culto si riverberò nella vicina Atri, con la fonte e la contrada S. Ilario, oggi estensione della periferia cittadina. Il nome derivava da una chiesa di cui rimangono esilissime tracce.
S. Ilario prese il posto di S. Silvestro come protettore, con due feste annuali: l’11 maggio, data obituaria e 27 settembre, ricordo dell’arrivo delle reliquie. Attualmente si tiene soltanto la festa settembrina, con programma religioso e ricreativo. La collocazione calendariale della festa di S. Silvestro, primo Papa riconosciuto dallo Stato, non era l’ideale per una festa paesana, non solo per il freddo invernale, ma in quanto ultimo giorno dell’anno civile, privo dei Secondi Vespri (siamo già ai Primi della solennità di Maria SS. Madre di Dio).
Mutignano ottenne anche un’indulgenza connessa a S. Ilario che si aggiungeva a quella legata alla chiesa di S. Maria della Consolazione, dotata di Porta Santa. La stessa cosa di Atri: indulgenze con la porta da attraversare nella Cattedrale di S. Maria e nella chiesa di S. Spirito, per la festa di S. Rita. Il nome del protettore di Mutignano non ebbe grande diffusione come Zopito a Loreto, Nunzio a Pescosansonesco, Panfilo a Scerni. Nel secolo XIX lo portò Ilario Pacchioli, albergatore, imparentato con Felice Barnabei e l’Arcidiacono Raffaele Tini, gli artefici del Museo Capitolare di Atri.
SANTINO VERNA