L'improvvisa scomparsa del Rettore della Basilica del Santo

PADRE ENZO POIANA, UN FRANCESCANO CHE NARRAVA ANTONIO

Meriggio del 16 agosto. Per un po’ di riposo, Padre Enzo Paolo Poiana, Rettore della Basilica del Santo a Padova si trovava nelle acque di Bibione, e la serena nuotata è coincisa con l’arresto cardiaco. Sorella morte ha incontrato il dinamico frate, proprio all’indomani di quello che sarebbe stato il compleanno del Santo di tutto il mondo, Antonio di Padova, nella solennità dell’Assunzione di Maria, sempre celebrata con grande decoro nel Santuario internazionale della città di Antenore.

Padre Enzo era nato a Mariano del Friuli nel 1959, nello stesso comune di Dino Zoff, il portiere della Juve e della nazionale, campione del mondo, alla presenza dell’indimenticabile Presidente Pertini. Proveniva da una famiglia profondamente cattolica, come ce ne sono tante nella sua regione, con il paesaggio simile a quello di Padre David Maria Turoldo, anche lui devoto di S. Antonio. Nell’antivigilia di S. Francesco del 1983, come postulante, entrò nella famiglia conventuale.

Professo semplice nel 1986, nella Basilica del Santo, proseguì la formazione teologica nel vicino Collegio di S. Antonio Dottore. Nel 1991, nella Cattedrale di Gorizia, fu ordinato presbitero, dall’allora Arcivescovo della città friulana, erede del Patriarcato di Aquileia, Mons. Antonio Vitale Bommarco, già Ministro Generale dei Francescani Conventuali, e fraterno amico di Padre Enzo. Per sei anni fu di comunità nella Parrocchia di S. Marco Evangelista all’Agro Laurentino, in Roma, affidata alla Provincia (all’epoca patavina) di S. Antonio di Padova.

Nel 1997 il rientro vero e proprio in Provincia, come Parroco di S. Francesco in Trieste. Nel 2005, subentrando a P. Domenico Carminati, fu nominato Rettore della Basilica di S. Antonio, riconfermato poi nel 2009 e nel 2013. Anni molto intensi per la grande famiglia antoniana perché significarono il restauro dell’Arca e la temporanea collocazione delle spoglie del Santo nella cappella dirimpetto, paradossalmente più bella, perché l’arte regala atmosfere tardomedioevali.

Averlo conosciuto è stata una grazia. Lessi la prima volta il suo nome, all’indomani della nomina a Rettore, perché il MSA, presente nella mia casa, era il filo rosso della devozione a S. Antonio, ereditata da mio nonno Santino. Ad uno degli incalcolabili prodigi antoniani, aveva assistito sua madre, la mia bisnonna Teresa Cipolla, nella Collegiata di S. Remigio in Fara S. Martino, quando un fulmine cadde nel cappellone di S. Antonio, nel lato del Vangelo. Mio nonno era nato proprio lo stesso giorno di S. Antonio, nel 1905, e durante la Scuola per Allievi Ufficiali, a Spoleto, pernottava nei pressi della Cattedrale, dove nel 1232, Gregorio IX, dichiarava Santo, l’umile e in pari tempo dotto francescano di Lisbona. Spoleto fu scelta perché sede del Papa.

Vidi per la prima volta Padre Enzo, da postulante nel convento di S. Francesco in Brescia, nella Basilica del Santo in Padova, dove si andava con il Rettore e i compagni di cammino, in appuntamenti prestabiliti nel corso dell’anno, come la Tredicina. Nel 2007 si annunciava il trasferimento del noviziato dal Santo al Sacro Convento di Assisi, e Padre Enzo ne soffriva, perché significava la perdita di una storica casa di formazione all’ombra di uno dei discepoli più illustri di S. Francesco. Personalmente, desideravo compiere l’anno di noviziato a Padova, sia per la devozione a S. Antonio, sia perché la mia vocazione francescano- conventuale nacque, se così si può dire, anche se troppo piccolo, nella città dei “quattro senza”.

La sede del noviziato, nell’anno nostro, fu prorogata a Padova e lo interpretai, come un segno dal Cielo. Il secondo anno di postulato fu come una partita di calcio da seguire fino all’ultimo minuto, ovvero fino al fischio dell’arbitro. Ed ebbi la gioia di vivere un anno con la comunità dei frati, di cui Guardiano era P. Enzo che ci accolse con una celebrazione nella cappellina del noviziato, il cui Maestro era P. Antonio Bertazzo, ora nella comunità di S. Massimo, pochi giorni dopo l’ingresso, avvenuto il 13 settembre 2008.

Abbiamo fatto tre uscite nel corso dell’anno con Padre Enzo, sempre felice di essere con i futuri professi. In ottobre andammo a Canale d’Agordo, paese natale del Ven. Giovanni Paolo I. La seconda, in gennaio, nel suo paese natale, dopo aver visitato nella mattinata Udine, con la chiesa che custodisce le spoglie del Beato Odorico da Pordenone, presente nel santorale patavino. Apostolo della Cina, con noi c’erano anche due novizi cinesi, della Custodia di Assisi. Al ritorno, passammo per Aquileia, ma la Basilica era chiusa. Ma eravamo contenti di averla vista dall’esterno nella sua maestosità.

La terza, dulcis in fundo, a Trieste, il 21 maggio 2009. Ci portò in un ristorante, dove il gestore aveva realizzato un magnifico dolce per S. Giovanni Paolo II. Il piatto fu il coronamento di un pasto con la saporita antologia dell’Impero Asburgico. A sera, dopo aver visto il castello di Miramare, la sosta in una trattoria friulana, con cibi più saporiti del mezzogiorno.

Una delle ultime Messe che gli ho servito, avevo la croce astile tra le mani. Passando per la provvisoria Arca del Santo, istintivamente lasciai per una frazione di secondo la sinistra dall’asta della croce per metterla sulla lastra. Nel corso delle lunghe giornate in Noviziato, era naturale accarezzare la tomba di S. Antonio. E per poco, in quella sera, la croce non cadde a terra. Padre Enzo mi guardò negli occhi e mi disse: “Non ti dimenticare di noi!”, e mancavano pochi giorni dalla professione temporanea, nel martirio di S. Giovanni Battista, patrono del Noviziato, del 2009, l’anno del terremoto dell’Aquila.

Mai potrò dimenticare Padre Enzo che ora canta le Misericordie del Padre Celeste, assieme al suo papà Felice, ai suoi cari, a numerosi frati, in particolare Padre Olindo Baldassa, suo predecessore come Rettore del Santo e Padre Fulgenzio Campello che mi chiamò per nome, dopo averlo sentito una volta sola, lungo Via Cesarotti. E quella mattina capii che S. Antonio di Padova era più di un amico.

SANTINO VERNA