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- Pubblicato Lunedì, 06 Giugno 2016
- Scritto da Claudio Varani
LA MIA ATRI
PASSEGGIANDO TRA I RICORDI...
VICO PREPOSITI
- Dalla parte destra, a scendere, dopo la casa di Maria Sciolè, c’era la casa di uno dei fratelli Antonelli, detto Mastrene, il cui figlio Celestino, più grande di noi, solo poche volte giocò con noi, perchè purtroppo morì giovanissimo in un tragico incidente durante il servizio militare; poi c‘era la casa dei nonni materni di Gaetano Pallini, quindi Vincenzo “Cacafuch”, poi un certo Belfiore e infine la falegnameria di Antonio Graziosi (detto Falsopiede): non lo ricordo affatto ma, consentitemi, era un soprannome estremamente simpatico, perché rendeva quasi visibile l’imperfezione al piede che sicuramente Antonio aveva.
- Dall’altra parte, dopo casa Mazziotti, c’era il palazzetto di Simone Claudiani, un funzionario comunale che, per molti anni, è stato una vera e propria istituzione per tutti gli atriani; quindi la casa di abitazione di Antonio Graziosi e infine la casa prima abitata da Augusto Di Palma, poi da Trippetta e infine da Appicciutoli.
VIA CHERUBINI
Per la precisa elencazione degli abitanti di questa Via, devo ringraziare di cuore la Signora Lina Franciotti che non solo mi ha aiutato a ricordarne tutti i nomi ed ha colmato altre mie lacune, ma mi ha fornito persino una mappa completa: una perfetta memoria unita ad una squisita gentilezza.
Via Cherubini era la via più lunga di Porta Macelli, lato sud: collegava la Porta, ai cui lati Oreste De Gabrielis ricorda fossero collocate due colonne con sopra i due leoni attualmente messi nella vasca della Villa, ai Cancelli, che una volta separavano il Corso Elio Adriano dalla zona dei Cappuccini e che erano situati all’altezza della clinica Piattelli, dove attualmente c’è lo studio fotografico di Giuseppe Tracanna.
Su tale via transitavano i carri agricoli trascinati dalle vacche, che andavano a scaricare i loro prodotti nei magazzini delle aziende agricole; i carri provenivano da “sott’ li mur”, cioè la via che da Porta Macelli andava verso Teramo ( identica a quella attuale) o dalla Strada per Silvi, che allora passava all’altezza del distributore di Traini, sopraelevata rispetto alla strada attuale. Successivamente, per costruire il quartiere di Sant’Antonio, si fece un uso massiccio di ruspe e scavatrici che abbassarono la zona di parecchi metri; oltre alle macchine stradali, non posso dimenticare una quantità di “spaccapietre”, omoni a petto nudo, sudati, che faticavano tutto il giorno a frantumare con enormi martelli i sassi che servivano sicuramente a coibentare le strade: dalle finestre di casa guardavo stupito, perché era la prima volta che vedevo un lavoro così massacrante.
A causa di queste opere, fu variato il tracciato della via per Silvi, spostato sotto le mura, con prosecuzione verso la Villa (l’ attuale Viale Giovanni Verna) e con una variante che proseguiva da una parte verso il nuovo quartiere di Via Finocchi, con la nuova Scuola Media Mambelli e con il proseguimento poi per Pineto, e dall’altra per il nuovo quartiere di Sant’Antonio, con l’Ospedale ed il campo di calcio, riallacciandosi alla vecchia strada per Silvi.
Vicino alla Porta Macelli, in una casetta appositamente costruita tra due enormi pini, c’erano i due volani che servivano per l’apertura e la chiusura dell’acquedotto comunale e venivano gestiti dal nonno dall’arch. Lucio Pavone..
Fino agli ultimi anni ’50, il percorso di Via Cherubini da Porta Macelli alle attuali scalette sotto Casa Angelini-Pierangeli, era delimitato da inferriate e non da una balaustra, e di sotto c’erano solo campagna e prati, che proseguivano fino a dopo l'attuale edificio del Dr. Mannucci; al posto dei locali, dei garages e dell’attuale distributore, costruiti dopo il 1960, c’era solo un “muraglione”. Ovviamente anche lo slargo che vediamo oggi di fronte al Palazzo Filiani, edificato sopra questi locali, non c’era: la balaustra dei giardinetti proseguiva in rettilineo fino a casa De Luca.
- Dal lato sinistro, a partire da Via Macelli, dopo casa Di Nardo Di Maio veniva l’abitazione di Nicola Pavone “Nicola de li Grotte” con la moglie Mafalda; poi la falegnameria di Antonio Graziosi (Falsopiede); poi ancora la casa di cui gentilmente la signora Franciotti mi ha elencato addirittura tre proprietari: prima Augusto Di Palma, poi Trippetta e infine Appicciutoli. All’interno del piccolo vico chiuso successivo abitava Ilario Castagna ( lu Carefe), il cantiniere di Via Sant’Agostino. Di seguito la casa della sarta Isolina (Sulina), che cuciva anche per mia madre, con il marito Vincenzo Astolfi detto Picciotte ( il figlio Umberto era un altro compagno di giochi); quindi veniva la stanza dove abitava un certo di Catelli, poi la casa de”la Cavalire”, morta solo pochi anni fa ultracentenaria, ed infine, ad angolo, la casa di Anna Pallini e Maria Pavone ( la Succett”).
- A seguire, il palazzo Angelini-Pierangeli che si estendeva per un lungo tratto della via, fino a raggiungere largo Cellinese, con la fontanella.
- Dall’altra parte di casa Angelini, dopo le attuali scalette, proprio a livello della sottostante nuova strada abitavano Domenico Tuttolani e Maria “ la Giuvacchine”, sopra c’era l’abitazione della famiglia del Maresciallo Franciotti, ex carabiniere ed istitutore del Collegio Umberto I, e quella di Camillo e Agnese Spineti, originaria di Villa Petto, con cui abitava anche Giuliett’, la sorella di mio nonno, piccola piccola e piena di rughe. Camillo, come scrive Roberto Ferretti, coltivava gelosamente l’orto di Filiani accanto a casa Ferretti, dal momento che era un ex fattore de li Carubbin; aveva l’abitudine di far pranzo alle dieci e cena alle cinque, utilizzando ampiamente aglio e cipolle ( per cui non parliamo dell’alito); sul terrazzo di casa sua si arrampicava un tralcio di vite-fragola, dal dolcissimo e strano sapore, che da allora non ho provato mai più.
- Poi ricordo la casa dove abitavano prima Breccione, poi Cuncittin’ ed il marito Andrea Marcone; quindi, seguiva l’abitazione di Egidio e Anna De Luca, con i figli Antonio e Gianfranco. Con Gianfranco ( attualmente Monsignor Gianfranco, vescovo di Termoli e Larino), benchè avessi tre anni di meno, ho giocato molte volte nella prima infanzia nel grande giardino sopraelevato di casa Angelini; poi nei primi anni ’60 entrò in seminario e non l’ho incontrato più. I giochi però erano stati interrotti in precedenza, e Gianfranco non era stato più invitato a casa, perché in un pomeriggio di sole, noi due, con un grosso coltello da formaggio, avevamo fatto un profondo buco nella corteccia della paulovnia, un enorme albero esotico del giardino: quanto si arrabbiò l’Avvocato Angelini!!!!
- Nel largo Cellinese, dove attualmente c’è una parrucchiera, abitavano Antonio “ lu Turc” e la moglie “Ndanucc’”, poi c'era la casa di Mastre Lesandre Passarette “Badoglio”, bravo muratore e persona simpaticissima ( era solito scherzare con manovali ed altri artigiani, sussurrando una frase incomprensibile e quando gli chiedevano :-Che è?- era automatica la risposta:- Stu c…..!-. Ma ( l’ho visto in prima persona) con un altro artigiano, Antonio Riti “Stracciate”, sbatteva proprio male, perché la battuta con Tonino gli si ritorceva sempre contro!!). Poi la casa di “Sundella” Schiavone, sotto cui abitava in un piccolo locale Alberto Angelozzi, detto “Ciambrene”, con moglie e molti figli.
- Poi, fino all’angolo c’era la casa di “Lu mulinare”; di fronte, in alcune stanze umide e buie del Palazzo Filiani (Carubbine) abitavano i miei nonni materni: Nonn’Andonie e Nonna Fiurette. A piano terra c’era la rimessa dei cavalli dei Filiani: ricordo un bel calesse e una puzza che non vi dico, perché, oltre ai cavalli, c’era un pollaio interno, con polli e tacchini abilissimi a mangiare i numerosi topi che infestavano il locale.
- Dopo l’enorme palazzo Filiani, con annesso orto, veniva l’abitazione di Rizzire (Rizziero Ferretti), produttore di vini, il cui figlio Roberto è stato un mio caro amico dalle medie in poi. Sotto la balaustra sopraelevata dell’orto lavorava il fabbro Nicola, papà di Alfonso Di Giampietro, compagno di giochi di Roberto Ferretti. Via Cherubini si concludeva con il telefono pubblico della Sig.ra Pirocchi.
- Nei giardinetti di fronte a casa Ferretti si sono svolti tutti i giochi di gruppo dal tempo delle scuole medie in poi: eravamo in tanti e, lontani da abitazioni, potevamo liberamente correre, urlare, litigare, sfogare tutte le nostre energie.
Del periodo, ricordo un episodio simpaticissimo con due protagonisti: mio fratello Alberto e il cane lupo che Roberto Ferretti allora possedeva, che si chiamava Bruto. Dopo averlo legato con un semplice spago ad un canale di scolo, Roberto ci voleva far credere che poteva aizzare il cane urlandogli:-Uloz, Bruto!!-. Ovviamente il cane, sentendo gli schiamazzi e vedendoci avvicinare, si alzava sulle zampe posteriori e abbaiava. Noi pensavamo: -Roberto ha proprio ragione!!!- E così quel pomeriggio, ed eravamo in tanti, passammo a turno davanti al cane, che abbaiava di continuo, gridando:- Uloz, Bruto! Uloz, Bruto!-. Quando venne il turno di Alberto, Bruto ruppe lo spago e si lanciò su di lui, non certo per mordere, ma solo per giocare. Ma Alberto non lo sapeva: spiccò una corsa in direzione della Villa Comunale con uno scatto che, se fosse stato cronometrato, sarebbe diventato il nuovo record mondiale di velocità, benchè mio fratello all’epoca fosse, diciamo così, piuttosto paffutello. Il cane lo raggiungeva, gli annusava i piedi e continuava a rincorrerlo….. Alberto in breve tempo scomparve!! Lo trovai a casa molto tempo dopo, scioccato e ansimante. Il cane tornò poco dopo a casa Ferretti, dove si fece tranquillamente legare di nuovo con lo spago. Da allora nessuno di noi urlò più: -Uloz! Bruto. -.
CLAUDIO VARANI