In occasione della ormai prossima Santa Pasqua

PONZIO PILATO: UN ENIGMA TRA STORIA E MEMORIA

È ormai prossima la ricorrenza della Santa Pasqua di Resurrezione, un evento  intriso anche di sacri misteri sorretti dal dogma della Fede; il tutto in un intreccio di personaggi ed episodi esaltanti  ma  anche crudeli, efferati e dissacranti insieme, financo con folle irrisione del sacro da parte dei centurioni e che concludono il  loro percorso con la Risurrezione, un inno alla gioia cristiana in un’atmosfera di pace, anche se macchiata di sangue. In quell’epoca dell’impero romano, in quella lontana guarnigione, viveva una società civile composita, atipica senza una bandiera etica accomunante, congerie di etnie frammentarie, chiassose in perenne situazione conflittuale, piena di pregiudizi fra i notabili locali. Per chi tiene dietro agli eventi, l’imbarazzo sembra la cifra di questo stato di cose in quella parte  della Palestina compresa tra il  Mar Morto ed il Mediterraneo, così nominato dalla cattività babilonese in poi, corrispondente al regno di Giuda, appunto la Giudea, il cuore del territorio ebraico. All’epoca dell’Impero non era un governatorato ambito quello, tutt’altro. E qui fu mandato Ponzio Pilato, un personaggio la cui ricostruzione è tuttora oggetto di polemiche e ricostruzioni, ambiguo e all’occorrenza crudele e difficile da mettere a nudo. Possiamo solo cercare di  narrare laicamente la storia, quasi una riparazione. Tutta la storia andata in scena sotto Ponzio Pilato è ambigua, enigmatica come dovette essere il personaggio che la interpretava e le remore in questa narrazione riflettono l’imbarazzo, non volendo o potendo connotarla di giudizi negativi netti, tutto svolgendosi in uno scenario quanto mai fosco. Difficile uscire dall’ambigua ed anche squallida penombra con cui egli avvolse le sue irresolutezze ed azioni nella imperante omertà ed equivocità che impediscono  di giungere alla verità finale.

Ponzio Pilato, chi era costui? Il Governatore romano della Giudea che fece crocifiggere  Cristo è talmente famoso da aver generato vocaboli (“pilatesco”) e locuzioni (“lavarsene le mani”), eppure della sua vita sappiamo pochissimo. Anche adesso con il recente libro che lo storico napoletano  Aldo Schiavone gli ha dedicato, non ne sappiamo molto di più: l’enigma non viene sciolto, continua ad essere tale. Non credo esistano nuovi documenti ma solo nuove interpretazioni e non potrebbe essere altrimenti, da quasi due millenni le fonti sono sempre le stesse, innanzitutto i  Vangeli, poi i libri sello storico ebreo Flavio Giuseppe, quindi poche e poco utili righe di Filone, Tacito e Tertulliano. Ci sarebbero anche i Vangeli apocrifi ma Schiavone non è Dan Brown, uno studioso serio non presta attenzione a patacche tardive (anche del VI secolo, figuriamoci ), col sospetto di distorsione del pensiero e di storicità.

La notizia vera più recente risale al 1961: il ritrovamento a Cesarea, sulla costa israeliana, di un’iscrizione smangiucchiata da cui si ricava, dato non proprio decisivo, che il prenome del governatore non era  M. O forse no. È tutto un “forse” il libro di Schiavone, ma anche in questo risiede il suo fascino innegabile. “Non sappiamo in che lingua Pilato e Gesù si parlassero”. Si avanza l’ipotesi dell’aramaico, poi del greco, quindi dell’interprete. “Da dove Pilato venisse non sappiamo“. Forse dal Sannio, forse da un’altra parte: tutte le località abruzzesi (Bisenti e Fontecchio), molisane (Isernia) e laziali (Scauri) che se ne disputano i natali potranno continuare tranquillamente a farlo, mancando sia le conferme che le smentite.

Immergendomi nella nebbia di tante congetture mie e soprattutto degli storici ho pensato  di trovarmi, come per un malvagio incantesimo, in un libro di Sciascia, dentro una di quelle sue inchieste divaganti, di raffinata, letteratissima inconcludenza. Solo che al posto di Aldo Moro, di Raymond Russel  e di Ettore Majorana  c’era Ponzio Pilato. E questo è  un complimento, sia chiaro.

Sarebbe bello che tutti gli storici  scrivessero come il nostro: siccome la storia non è una scienza esatta, specialmente quando tratta di eventi remoti e nebbiosi, allora tanto vale che sia un’arte.  Ponzio Pilato anziché per Einaudi Storia poteva uscire per la Piccola Biblioteca Adelphi o per la Memoria Sellerio e non sarebbe  suonato strano. Se un libro è bello cosa importa il suo genere? E dove si trova il confine tra storia e letteratura?

Appartiene senza dubbio alla storia  la descrizione del contesto, aggrovigliatissimo. Al tempo di Gesù la situazione etnica-politico-religiosa dell’area era, se possibile, ancora più complicata di oggi.  Pilato risiedeva a Cesarea, città a maggioranza  pagana, ovvero greca, e si spostava nell’interno, verso il cuore dell’ebraismo solo occasionalmente e sapendo di non esservi gradito. All’inizio del suo mandato aveva cercato di romanizzare Gerusalemme, di rendere più visibile la presenza dell’impero, ma di fronte alla fermissima risposta identitaria ebraica era stato costretto a fare marcia indietro e ormai si prefiggeva obiettivi minimi, più amministrativi che politici: riscuotere le tasse, evitare le rivolte, etc. etc. Tutta la storia andata in scena a Gerusalemme attorno al personaggio ed i piccoli quadri della sua narrazione insieme mettono in luce ambiguità e irresolutezza in cui nessuno vorrebbe riconoscersi, ma non devono necessariamente riflettere giudizi negativi considerato anche il fosco scenario che si susseguiva fra silenzi ed accuse omertose, quasi tutto fosse guidato da un ritmo ipnotico. Certo è difficile uscire dalla ambigua e squallida penombra con cui ha avvolto i suoi tentennamenti ed azioni. Possiamo solo cercare di intuire laicamente la storia quasi di una riparazione. 

Disponeva di una notevole forza militare visto che nella sola Gerusalemme stazionavano  una coorte di fanteria e un distaccamento di cavalieri, ossia un migliaio di uomini, non pochi per una città di soli 40.000 abitanti. Fatte le proporzioni, è come se oggi la tranquillità dei romani riposasse sulla presenza nelle loro strade di 50.000 militari ben armati e per giunta senza zavorre giuridiche  (con licenza di uccidere, per intenderci). Scommettiamo che furti, scippi e rapine crollerebbero di colpo? Ciò nonostante Pilato cercava di non inimicarsi gli ebrei e in particolare i sadducei che esprimevano il sommo sacerdote e rappresentavano l’elite collaborazionista, religiosamente tiepida e politicamente disponibile.  Ed ecco spiegata la crocifissione di Cristo.

Pilato tentò in tutti modi di evitare la condanna, per non diventare contemporaneamente braccio secolare e marionetta del sinedrio, l’organo dell’autogoverno locale, ma Caifa e gli altri capi non sentirono ragioni e arrivarono a ricattarlo: o condanni quest’uomo che si definisce re o ti denunciamo a Cesare per aver preso sottogamba un potenziale usurpatore. E qui torna in gioco la letteratura, la capacità di Schiavone di riempire i buchi della storia con l’immaginazione e la scrittura suadente. Durante il lungo confronto con Gesù, all’inizio un’interrogazione poliziesca e alla fine un dialogo stellare (“Che cos’è la verità?”), il governatore venne travolto dai dubbi: non solo circa la colpevolezza dell’arrestato,  questione di fondo minore, ma sulla sua reale identità. Possibile che un uomo normale rinunci a difendersi? E dove le trova un uomo normale simili parole? “Pilato capì che Gesù vedeva la sua morte sulla croce come l’unico esito possibile della sua predicazione e decise infine di accogliere l’inspiegabile volontà di chi gli stava innanzi“.

Chi era dunque Ponzio Pilato?    

Il suo nome è oggetto di polemiche e ricostruzioni. Nella Storia il suo ricordo  è legato  al processo contro Gesù. Nella tradizione popolare Pilato è ricordato come uno dei testimoni che furono ostili ai sacri eventi e che ebbero da  Dio l’eterno castigo sulla terra.  Il corpo di Pilato, uccisosi a  Roma, precipitato nel Tevere sarebbe stato rigettato dal mare all’imboccatura del Rodano, risalendo il quale sarebbe giunto ai laghi della Svizzera, scomparendovi con terribile fracasso. Solo leggende, intinte nell’inchiostro velenoso di notizie false o tendenziose, ma pur sempre vive! Secondo altre tradizioni (come testimonia la Chronografia di G. Malala) si sarebbe convertito al Cristianesimo e sarebbe stato decapitato sotto Nerone; la chiesa copta lo venera come santo, ma a mio sommesso avviso non percepisco stimmate della santità, sulla sua persona.

Forse è  verosimilmente solo un convertito.

 Alfio Carta