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- Pubblicato Mercoledì, 17 Febbraio 2016
- Scritto da Alfio Carta
NASCITA E DECLINO DELLE CIVILTA’
SE L’EUROPA RINUNCIA ALLA SUA IDENTITA’ CI SOTTOMETTIAMO ALLA DITTATURA DEL GLOBALISMO
Da qualche tempo la mia mente si apre a riflessioni sul grande tema dell’ascesa e del declino delle Civiltà. Un interessante viaggio a ritroso nella valutazione storica degli eventi che hanno interessato e connotato le varie civiltà. E il grande storico inglese Arnold J. Tojnbee mi offre gli spunti di riflessione con la sua opera maggiore, “A study of History”, non ancora tradotta, ma resa nota da un valido compendio in una collana economica. Negli anni ‘50 del secolo scorso Tojnbee è stato spesso additato dai suoi critici come una sorta di profeta visionario, arrivando a definire addirittura, con sfacciata irriverenza, “speculazione metafisica travestita da storia” il suo sforzo, invece, poderoso e originale di costruire una macro-teoria delle trasformazioni politiche e internazionali della storia umana ripercorrendo vicende millenarie e vastissimi spazi geografici. Accingendomi a ciò, e percependo il peso e l’importanza dell’argomento, nel mio timido approccio mi sento proiettato ad una personale rinnovata attenzione sul grande tema, che è stato sempre oggetto di giudizi contrastanti dei grandi storici da Croce a Castellin a Huntington, Spemgler, Peter Geyl, riguardo proprio alla spiegazione generale sullo sviluppo e la caduta delle Civiltà. E queste riflessioni lasciano intendere come certi aspetti delle osservazioni di Toynbee, soprattutto quelle relative all’analisi comparata delle nascite e della morte delle civiltà, abbiano mantenuto una sorprendente attualità e sono sopravvissute anche nella celebre analisi di Samuel Huntington, contenuta in quel suo famoso saggio “Lo scontro delle civiltà”.
Spigolando nelle mie confuse reminiscenze, il pensiero corre a Tucidide della cui opera “Guerra del Peloponneso” (cosiddetta “archidamica”), ispirata ad una larga visuale storica ed alla intuizione delle cause vere e profonde di quel grande conflitto, mi ha colpito la somiglianza fra le esperienze della civiltà del mio tempo e di quello appena trascorso e quelle dell’antichità: intendo il conflitto che oppose (431-421 a.C.) Sparta – non autoctona con origini dalla migrazione dorica – ed Atene con la sua egemonia – vera causa della guerra – ed anche con la propria autoctonia, esaltata nel discorso di Pericle, basata sull’autosufficienza ateniese senza necessità di ulteriori espansioni, come invece si volle. La guerra a Sparta fu mossa da fini di egemonia per il controllo degli stretti fra il mare Egeo e il mar Nero, come per la guerra di Troia. E la narrazione dello storico greco sembra attuale. Del resto Tucidide, a differenza di Erodoto, si sforzò di intendere gli avvenimenti, di segnarne il posto nello sviluppo storico, con una poderosa intuizione unitaria e pratica perché fossero tratti dalla storia ammaestramenti utili agli uomini politici. E ciò indicò con disincantata freddezza e pessimismo sulla fondamentale cattiveria e stupidità degli uomini, anzi dell’umanità destinata a non imparare nulla dalla storia e, per dirla con Montanelli: “a ripetere sempre, ad ogni generazione, gli stessi errori, le identiche ingiustizie e bestialità“. La crisi di una civiltà era stata già vissuta e raccontata da Tucidide. Che cosa sarebbe accaduto? All’occidente sarebbe stato riservato lo stesso destino della civiltà Ellenica? E poi, perché muoiono le civiltà?
Ho vissuto con mio padre, in felice consonanza, gli approfondimenti culturali umanistici, quasi uno spontaneo spirito di emulazione. Imbevuto di cultura anche greca, sono cresciuto in un clima di ottimismo tardo vittoriano, che concepiva la storia come una sequela di avvenimenti che avevano portato alla supremazia dell’Occidente. E nella mia mente, quasi uno schermo bianco, le immagini e gli avvenimenti della storia scorrevano come in movimento prodotto da una lanterna magica, una fuga di specchi. E i due ultimi conflitti mondiali, specie la prima. Assunse per me il carattere di guerra intestina che minava quell’edificio di certezze. Di qui la spinta ad indagare il passato, a varcare “quella porta della morte” che aveva condotto tante civiltà, una volta fiorenti, alla scomparsa in un’atmosfera da brivido dinanzi all’ampia maestà della storia.
Ho escluso comunque una visione deterministica e ciclica della storia; anzi tutt’altro che deterministica e ciclica è, invece, la concezione per la quale ogni civiltà si configura come una risposta a una sfida, come una vittoria dell’uomo sulle condizioni avverse. Della celebre opera “Il tramonto dell’Occidente” di Spengler, ammiro senz’altro i lampi di genio ma, anche seguendo lo storico Toynbee, ne rifiuto proprio la dimensione deterministica. Non ci sono ragioni perché un susseguirsi di stimolanti sfide non possa essere controbilanciato da un susseguirsi di repliche vittoriose. Si sarebbe potuto evitare, a parere di storici il tramonto dell’Occidente se questo avesse avuto coscienza dei propri limiti.
La storia di una civiltà si presenta nei termini di sfide e risposte. Le civiltà si formano in risposta ad una serie di sfide difficili, nelle quali “minoranze creative” escogitano soluzioni che orientano l’intera società. Sfide e risposte possono essere di natura fisica, come i Sumeri nel sud dell’Iraq organizzando i neolitici in grandi progetti di irrigazione; o di natura sociale, come la Chiesa cattolica risolse il caos dell’Europa post-romana. Quando le civiltà rispondono alle sfide, esse si sviluppano. Le civiltà declinano quando i loro leader smettono di rispondere creativamente. Le civiltà muoiono per “suicidio”, non per assassinio. Esse non sono macchine inalterabili (e sprofondano a causa del nazionalismo, del militarismo e della tirannia o arroganza di minoranze intangibili) bensì reti di relazioni sociali entro i propri confini e sono quindi soggette alle decisioni, buone e cattive, che esse assumono.
All’indomani sia della Prima che della Seconda guerra mondiale, l’attività diplomatica, alla quale Tojnbee non fu estraneo, fu ispirata proprio da questa convinzione e dalla volontà di cercare risposte pragmatiche e innovative per una possibile rigenerazione dell’Occidente, rifiutando però la visione ciclica della storia tipica del pensiero greco e orientale, contrapponendole anzi una visione lineare e profetica derivata dalla tradizione giudaica-cristiana. E così, sulla scia di tali considerazioni, ho sviluppato l’idea secondo la quale la cronologia non è il solo mezzo per guardare la storia, perché esistono periodi storici confrontabili indipendentemente dalla loro appartenenza o meno ad una medesima serie cronologica. Un’idea semplice che non comporta concessioni al determinismo. E, per quanto gli eventi del passato mostrino una regolarità nel succedersi degli avvenimenti, ciò è solo perché non furono controllati dalla scelta e dalla deliberata volontà degli uomini. Credo che gli eventi storici siano in parte pianificati e voluti, in parte non pianificati né voluti, ma causati da forze impersonali, cieche, psicologiche e sociali. Dove queste forze prevalgono, la storia soggiace a una legge naturale nella quale esistono forme e modelli originari. Ma credo che il futuro non sia mai prevedibile. Ci sono sempre abbastanza libere volontà e libere scelte per renderlo imprevedibile.
Non posso in questa sede addentrarmi in una ricerca storiografica che ripercorra, fin dall’antichità, le varie civiltà succedutesi. La storia delle civiltà è come un organismo che lentamente invecchia e degenera mentre altre si affermano sotto spinte di fattori diversi dalle politiche degli Stati-Nazione. Nel mondo post guerra fredda le alleanze determinate da motivi ideologici o da rapporti con le superpotenze hanno purtroppo lasciato il campo libero a nuovi confini, ridisegnati perché coincidano con quelli culturali. E con la scomparsa delle divisioni ideologiche, in Europa in particolare, la faglia fra cristianità occidentale e cristianità ortodossa e Islam è riemersa. Sono quindi da tenere in debita considerazione innanzitutto le divergenze culturali laddove la cultura può divenire luogo di scontro delle Civiltà, la cui definizione oggi si basa su criteri religiosi e culturali, anziché su divisioni in gruppi nazionali o etnici. La nostra civiltà occidentale è come un’unità che “include” le nazioni formatesi dalla caduta dell’impero Romano, (come contrapposta alla civiltà Ortodossa della Russia e dei Balcani e distinta dalla civiltà Greco-romana che la precede) e quella dell’Islam, quest’ultima quale grande civiltà teocratica, contrapposta eventualmente anche per un possibile conflitto sempre incombente, tenuta presente la particolare considerazione della religione nella sua cultura.
Con la fine della guerra fredda le ideologie perdevano il loro potere di mobilitare i popoli e qualcos’altro le avrebbe sostituite. Questo qualcos’altro sarebbe stato un senso di identità culturale basata soprattutto sulla religione. E questo avrebbe messo particolarmente la civiltà islamica in conflitto con l’Occidente. L’Islam è la più forte civiltà in cui molti elementi sono a disagio nella modernità che l’Occidente ha creato e, sotto la spinta della modernizzazione e della globalizzazione, la politica si sta ristrutturando proprio lungo faglie culturali-religiose. Questa può sembrare un’affermazione eccessiva, visto che la più grande nazione mussulmana, l’Indonesia è molto moderna, come l’India (150 milioni di mussulmani) è democratica e tollerante. Ma, siamo realisti, ci sono elementi nell’Islam, soprattutto ed in particolare nel mondo arabo, che considerano assolutamente inconciliabili con la loro religione il rispetto delle altre fedi, i diritti delle donne, il pluralismo. Attualmente, con il pretesto di combattere la discriminazione, abbiamo rinunciato all’ assimilazione, quella virtù civile che vuol dire accogliere chi proviene dall’esterno, ma aspettandosi che accetti il sistema di valori del Paese in cui si trova. Finché le società islamiche non si conciliano con alcuni ingredienti basilari della modernità, come la tolleranza verso le altre religioni e l’eguaglianza dei diritti delle donne, ci sarà una tensione fra loro e l’Occidente,
Anche quanto sta accadendo attorno e dentro di noi, ci fa toccare con mano l’agonia della civiltà laica e liberale dell’Occidente, sia nella sua dimensione economica, il capitalismo, sia nella sua dimensione politica, la democrazia, sia nella sua dimensione spirituale, il cristianesimo. E non si tratta dell’approssimarsi di una morte conseguente al fallimento della nostra civiltà, bensì dell’orientamento parzialmente inconsapevole e totalmente irresponsabile a suicidarsi, scegliendo di sottometterci alla duplice dittatura della finanza speculativa e dell’Eurocrazia, (che stanno uccidendo l’economia reale e la democrazia sostanziale), alla dittatura del globalismo, che abbatte le nostre frontiere e promuove l’ideologia dell’immigrazionismo, alla dittatura del relativismo che scardina i valori fondanti della nostra umanità, favorendo la diffusione dell’ideologia islamica con il suo portato di terrorismo, violenza, odio, distruzione, arbitrio, dissimulazione e cultura della morte. Nell’Occidente progredito e secolarizzato, l’ostilità nei confronti dei cristiani assume forme sempre più subdole, come il tentativo di cancellare la dimensione pubblica della nostra fede, relegandola in una dimensione privata. La cretineria nazionale, succube di quella nordeuropea, (quella per intenderci del genitore uno, due, ecc.) ha abolito in molte scuole il Natale per non turbare la sensibilità dei bambini di religione diversa da quella cristiana.
È cronaca attuale che il presidente russo Putin, ed il presidente siriano Bashar al Assad (personaggi senz’altro molto discutibili, che hanno molto da farsi perdonare ed anche autocratici, ma comunque laici) ed il comandante in capo dell’esercito egiziano Khalil-al Sisi, hanno contenuto l’offensiva del terrorismo islamico, che ha ripetutamente commesso delle inaudite atrocità da fare impallidire i crimini contro l’umanità, hanno impedito che l’intero medio-oriente cadesse nelle mani dei Fratelli Mussulmani scongiurando la scomparsa dei cristiani sulla sponda meridionale ed orientale del mediterraneo ed hanno quantomeno allontanato la prospettiva di un’offensiva su larga scala in Europa. Per contro la difesa dei cristiani d’Oriente e la guerra ad oltranza al radicalismo e al terrorismo islamico si collocano nel contesto della salvaguardia delle nostre radici, della nostra fede, dell’identità nazionale, dei valori tradizionali, a partire dalla centralità della famiglia naturale. L’alternativa sarebbe stata la riesumazione della “UMMA”, la nazione islamica, di natura teocratica che ha come esclusivo riferimento ciò che è scritto nel Corano e ciò che ha detto e fatto Maometto, ossia il mondo intero sottomesso all’Islam.
Alfio Carta