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- Pubblicato Venerdì, 08 Gennaio 2016
- Scritto da Santino Verna
LE NOSTRE BELLE TRADIZIONI
LA FESTA DI S. ANTONIO ABATE IN ATRI
Sempre molto sentita in Atri, la festa di S. Antonio Abate, perché cittadina legata all’agricoltura. Nella Cattedrale tante sono le raffigurazioni del fondatore del monachismo, e il Delitio lo ha immortalato nel santorale per immagini del coro. Colpiscono gli occhiali a molla sul volto, con l’immancabile barba bianca e l’abito cistercense, perché il pittore marsicano con i committenti ecclesiastici non erano preoccupati molto dell’esattezza dei vestiti. Una statua si trovava in casa Prosperi, lungo Corso Elio Adriano, anche se ora il luogo ha diversa fisionomia.
La rappresentazione musicata del S. Antonio, diffusa in tutto l’Abruzzo, da Giulianova a Roccamorice, da Roccamontepiano a Scafa, da Villavallelonga a Francavilla, in Atri ha avuto uno sviluppo particolare. Già nella seconda metà del XIX secolo era una delle principali tradizioni popolari dell’anno, perché menzionata dal Canonico Luigi Illuminati ne “Un paese d’Abruzzo nella seconda metà dell’Ottocento”, ma non parla degli interpreti. Lo ricordava il Dott. Loreto Tini, ed era una rappresentazione in vernacolo. Non sappiamo a chi era affidato il ruolo di S. Antonio Abate, ereditato da Umberto e Paolo Sacripante, santantoniari di spicco, per l’interpretazione, la voce e l’aspetto fisico adatto. I personaggi del S. Antonio di Atri sono ridotti al minimo, S. Antonio e il diavolo tentatore, mentre in altri luoghi si aggiungono tante figure come l’angelo (identificato in S. Michele), gli eremiti che aiutano l’Abate nella lotta e il loro corrispettivo dei diavoli, la donzella e ruoli aggiunti per impegnare altri componenti.
Il S. Antonio di Atri, composto in due versioni, in italiano, da Antonio Di Jorio, portato da Umberto in tutta Europa suscitando numerosi applausi ed eseguito dal Prof. Cav. Concezio Leonzi, segue lo schema delle tante rappresentazioni nella regione: prologo recitato e saluto, le tentazioni, richiesta di materiale alimentare (prevalentemente suino), commiato. Un melodramma in un solo atto, portato nelle case facoltose, dove si radunavano parenti, compari e amici, per un piccolo rinfresco, compenso dell’esibizione. Qui assistiamo ad un cambiamento culturale, perché la funzione originaria del S. Antonio non era attuare un melodramma con meravigliosi virtuosismi, ma riequilibrare i rapporti tra ceti egemone e subalterno (per dirla con Alberto Cirese), nel nome del fondatore del monachismo. La famiglia più abbiente doveva dare, ma non solo nella festa di S. Antonio, formaggio, salsicce, dolci, uova e vino, per sfidare i rigidi inverni, mitigati oggi dal riscaldamento nelle case.
La compagnia “ufficiale” del S. Antonio, con Umberto fondamentale protagonista, aveva tentativi di imitazione in paese e in campagna, con gruppi di ragazzi, itineranti per ricevere doni in natura o in denaro, ma era il S. Antonio, di autore anonimo, trascritto da Ettore Montanaro e rielaborato da Ennio Vetuschi per il coro “G. Verdi” di Teramo, dove quest’ultimo si alterna con il solista, narratore delle vicende riplasmate del fondatore del monachismo. Viene fuori un eremita che vuol mangiare in santa pace ed è infastidito dal demonio, lontano dall’asceta che conduceva vita di penitenza. Un S. Antonio vicino alla gente d’Abruzzo quando si parlava di società semplice, con i morsi della fame, la difficoltà di comunicazione, le poche medicine, le calamità naturali, l’oppressione. Questo S. Antonio ha avuto una versione diffusa da ‘Nduccio, il cabarettista di S. Silvestro, molto conosciuto grazie ai media regionali. E anche un’interpretazione di Amalia Rodrigues.
Anche Antonino Anello ha interpretato il diavolo e ha scritto un S. Antonio, con la musica di Stefano Bizzarri, uno dei migliori fisarmonicisti d’Italia. Inserito nel repertorio del coro folkloristico, riprende lo schema della tradizione. Anello non digerisce il S. Antonio delle compagnie di canto popolare, presenti in Atri il 17 gennaio 2002, per le vie del centro storico. Atri non era abituata a quella vecchissima soluzione, rimasta nei paesi più sperduti e timidamente riemersa grazie all’attivazione di insegnamenti di storia delle tradizioni popolari negli atenei della regione. Di grande importanza rimane la monografia del Prof. Carlo Di Silvestre, sul canto rituale di questua (2002), riproposto nell’imminenza della festa del Santo, nel borgo antico di Mutignano.
La benedizione degli animali si svolgeva sul sagrato di S. Maria. Come tante altre tradizioni, anche questa si spense. Nel 2000 su “Comunità in cammino”, periodico della Parrocchia di S. Gabriele in Atri, diretto da Don Paolo Pallini, il Prof. Antonio Pavone, docente di discipline artistiche, pittore e tra i fondatori della sezione locale di “Italia Nostra”, propose la benedizione degli animali, in Piazza Mambelli, sul sagrato della chiesa di S. Gabriele. L’artista atriano aveva assistito, da studente a Roma, alla festa di S. Antonio Abate, all’ombra della Basilica di S. Maria Maggiore. Ha una grande passione per gli animali, anche esotici, avendoli incontrati durante la non breve parentesi extraeuropea.
La scelta del sagrato di S. Gabriele non fu casuale, perché anticamente in quel luogo vi erano la chiesa e il convento di S. Antonio Abate e quando fu eretto il nuovo edificio sacro, qualche atriano voleva la denominazione di S. Antonio. Vinse poi il Santo patrono d’Abruzzo, per volere del Servo di Dio Amilcare Battistelli, Vescovo di Atri e Teramo, biografo e responsabile del periodico “L’Eco di S. Gabriele”.
La fiera degli animali si svolgeva pure il 17 gennaio, nel campo boario, all’ombra della chiesa di S. Giovanni. Era un momento di incontro e di stupore per i bambini. In questi ultimi anni ha avuto un revival, nell’ambito delle celebrazioni della Porta Santa, ma con il trasferimento lungo il Belvedere Vomano, inaugurato nel 1991, per interessamento di Domenico Martella, luogo di passeggio e socializzazione dove per pochi giorni in agosto si rievoca una tradizione molto cara al popolo atriano.
SANTINO VERNA