UNA TRADIZIONE CARA AL POPOLO ABRUZZESE

RITORNA IL SANT’ANTONIO A MUTIGNANO

Il 9 gennaio prossimo, dal pomeriggio alla tarda serata, si rinnova la tradizione del Sant’Antonio Abate, cara al popolo abruzzese, in quanto protettore degli animali della campagna. Ora lo è diventato pure di quelli d’appartamento, dato che ad essi viene data una grande attenzione.

Il fondatore del monachismo, vissuto tra il III e il IV secolo in Egitto, amico dell’imperatore Costantino, si è ritrovato protettore delle bestie, perché, secondo la tradizione, nel lungo eremitaggio, gli tenevano compagnia gli animali. Era un veterinario ante-litteram. S. Antonio, secondo quanto conferma l’antropologo frentano Emiliano Giancristofaro, non è solo protettore “degli” animali, indispensabili un tempo nella vita agreste, ma pure “dagli” animali, ovvero dagli agguati di cani e lupi, o quando si presentava il caso di un cavallo sbizzarrito o un toro inferocito. L’animale associato tradizionalmente al Santo del deserto è il maiale, forse ricordo degli allevamenti di suini degli Antoniti (Ordine ora estinto), per sostenere nel Medioevo l’accoglienza dei pellegrini.

S. Antonio si è ritrovato patrono morale d’Abruzzo, perché terra agrosilvopastorale e marginalmente marinara. La regione pur avendo più di 100 km. di costa è associata in un batter d’occhio alle montagne e ai campi. Una delle raffigurazioni più antiche del Santo si trova a Sulmona.

Nella Cattedrale di Atri, tante sono le raffigurazioni di S. Antonio Abate, una delle quali si trova nei pressi della Porta Santa, aperta ogni anno la sera del 14 agosto (la porta dell’Anno della Misericordia è invece il portal maggiore di Piazza Duomo). La Cattedrale era un po’ il centro della sua devozione, tanto che sul sagrato veniva fatta, il 17 gennaio, la benedizione degli animali. Nel Museo capitolare, si conserva il simulacro in legno dorato, scolpito e dipinto (XVI sec.), proveniente dall’omonima diruta chiesa atriana, nell’iconografia tradizionale, seduto in trono, per sottolineare la dignità abbaziale, in abito monastico, con l’immancabile barba fluente, la ferula alla cui estremità è applicato il campanello e la vampa di fuoco ai piedi, in luogo del trafugato maialino.

Mutignano da qualche anno è il centro, per le Terre del Cerrano, del Sant’Antonio “di jennare”. La specificazione calendariale, non sminuisce la dignità di Abate. Stilando una fantasiosa classifica verrebbe fuori S. Antonio Abate in cima, per il primo mese dell’anno civile. Gli altri Santi hanno celebrazioni minori sotto il profilo antropologico. S. Sebastiano e S. Agnese, martiri dei primi secoli, festeggiati rispettivamente il 20 e il 21 gennaio, hanno un peso piuttosto modesto nell’almanacco abruzzese. Ci sarebbe il 22, S. Domenico Abate, quello dei serpari, ma in questo giorno è solo festa liturgica, con qualche pittoresco aspetto esterno, senza l’emozione dell’antico primo giovedì di maggio.

La kermesse mutignanese, condotta dalla locale associazione, è stata preceduta da un concorso dove i bambini dovevano disegnare il Sant’Antonio. E sono venuti fantasiosi e simpatici lavori, dove è stata messa in risalto la lotta del Santo contro il maligno. Come premio, la fornitura di materiale didattico. Una provocazione per la società di oggi, dove rimbomba l’idea di Vittorio Sgarbi per i regali di Natale: basta con sciarpe e guanti, regalate e regalatevi libri.

La Va edizione del S.Antonio a Mutignano, è curata dal C.E. d’A. (Centro Etnomusicologico d’Abruzzo) di Pineto, con la solerte guida dell’etnomusicologo Carlo Di Silvestre, fondatore del “Passagallo”, compagnia di canto popolare che ripropone brani di tradizione orale. La piccola compagine con Guerino Marchegiani e Graziella Guardiani, dotata di strumenti dell’antropologia della musica, ha cantato nella Cattedrale di Atri, il 20 agosto scorso, nell’ambito dell’ottava dell’Assunta, con le celebrazioni della Porta Santa.

Tra i riti del 9 gennaio, l’accensione dell’ “afaca”, fuoco la cui etimologia araba rimanda alle farchie, accesi la notte di S. Antonio Abate a Fara Filiorum Petri. Appartengono come i “faugni” ai rituali del solstizio invernale, quando si celebra la fine della fase discendente del sole. E’ l’annuncio della primavera. Afaca, sottolinea Carlo Di Silvestre, significa fascio di canne, torcia. C’è pure la benedizione degli animali, sul sagrato della chiesa di S. Silvestro Papa, con l’opera di Andrea Delitio, la cui facciata ha l’insolita torre campanaria sul portal maggiore. E poi, le rappresentazioni musicate e i canti di questua, le prime rievocanti il conflitto tra il Santo e il demonio, i secondi, filastrocche con il racconto riplasmato della vita di S. Antonio e la richiesta di doni alimentari, come compenso dell’esibizione.

Qualcuno potrebbe storcere il naso, per la data del 9 gennaio. Siamo ancora nel clima natalizio, con la domenica del Battesimo del Signore il giorno seguente che lo conclude. Nelle parrocchie ancora è presente il presepe in un angolo della navata e la statua di Gesù Bambino domina in presbiterio. Nelle case il Mistero della Natività già è stato messo nei pacchi della dispensa, ma si considera, inconsciamente, ancora una data connessa al Natale.

Il Prof. Di Silvestre spiega che i gruppi dei “santantoniari”, provenienti da vari paesi della regione, hanno così la possibilità di fare il S. Antonio, nella tradizionale funzione spontanea, proprio il 16 e il 17 gennaio, o comunque nei giorni vicinissimi alla festa.

L’esordio del Passagallo, nell’ormai lontano 1998, è legato a S. Antonio Abate, perché Padova, con il sodalizio abruzzese-molisano guidato da Armando Traini, di S. Margherita di Atri, fu la prima trasferta della compagnia. La città di S. Antonio, questa volta di Lisbona, proprio per rinnovare il legame con la terra d’origine, organizza in gennaio, la rimpatriata del S. Antonio, con l’arrivo di tante pietanze dall’Abruzzo. Dieci anni fa la tradizione fu illustrata da Emiliano Giancristofaro, allievo di Alfonso Maria Di Nola.

E nella sala del Circolo Ufficiali di Padova, sul Prato della Valle, una delle piazze più grandi del mondo, antico campo boario, veniva diffuso da un altoparlante il S. Antonio, con la voce di Raffaele Fraticelli, il poeta ultranovantenne, vicino sempre alla gente d’Abruzzo.

SANTINO VERNA